sabato 31 marzo 2018

VEGLIA PASQUALE

Le 6 letture dell’Antico Testamento che abbiamo ascoltato in questa Veglia sono la prova di quello che scrive san Paolo nella lettera ai Romani letta poco fa, cioè che il vangelo realizza tutte le promesse di Dio preannunciati dagli eventi del popolo di Israele, basti vedere come la Pasqua ebraica, che è la memoria della liberazione di Israele dalla schiavitù in Egitto, è la prefigurazione della nuova
Pasqua realizzata da Cristo, ovvero la liberazione di tutta l’umanità dalla schiavitù della paura della morte. Certo, perché noi siamo schiavi di questa paura: è dalla paura di morire che nascono tutte le nostre altre paure e quindi tutti i peccati. Se la mia vita finisce nel nulla, il cammino della vita non è un bel camminare. E vivo come tutti gli animali che, seppur non hanno coscienza di dover morire, vivono di fatto seguendo l’istinto che li ha programmati per cercare di sopravvivere e riprodursi al fine di conservare la specie, a scapito di tutti. Se invece la vita non finisce con la morte del corpo, le prospettive cambiano decisamente. In realtà non è che la vita continua dopo la morte da quando Gesù è risorto. La risurrezione è passare da una vita mortale a una vita immortale, e la vita di Gesù, i suoi insegnamenti, la sua passione e la sua morte che abbiamo rivissuto in questi giorni del triduo pasquale rivelano il progetto eterno di Dio, ovvero che Dio chiama tutti ad una vita immortale, e Gesù ci ha indicato la via che ci consente di risorgere. Ma non dopo la morte, già adesso. Perché o adesso sono risorto, o non risorgerò mai. Questa è una cosa molto bella da capire. La morte è come il momento in cui un bambino viene partorito. È un’immagine molto bella che cercavo di spiegare anche ai ragazzi a scuola. Pensate se nella pancia della mamma vi fossero due gemelli e se questi bambini avessero coscienza come un adulto. Penserebbero che il mondo comincia e finisce dove si trovano. Non sanno di vivere grazie alla mamma, non la conoscono, non sanno di essere avvolti da lei, possono solo percepire qualcosa della mamma e basta. Sarà nel momento del parto che la vedranno. Ma prima esce uno e poi esce l’altro. E mentre quello che è ancora dentro pensa che l’altro, ormai uscito, sia morto, non ci sia più, ancora non sa che in realtà il fratello è vivo che lo aspetta insieme alla mamma. Ecco, penso che questa immagine rappresenti bene la dinamica della vita. Non ci sono la vita e la morte, ma la vita è fatta da nascita e morte. Si nasce due volte, la prima quando veniamo partoriti, e l’altra quando moriamo, e questa seconda nascita non dura qualche anno, ma per sempre. Ma c’è un ma, quello a cui mi riferivo prima. Cosa accade se il bimbo nella pancia della mamma è morto? Che viene partorito morto, è triste, ma è così. Per questo, dicevo, o siamo già risorti in questa vita, o altrimenti non risorgiamo più quando muore il nostro corpo. Ecco perché la Risurrezione è qualcosa che riguarda non il nostro futuro, ma il nostro presente. Gesù è venuto a farci risorgere adesso, a darci una vita immortale adesso, perché così la morte possa non infondere più paura. E come facciamo a risorgere adesso? Ecco il Battesimo, segno del fatto che siamo già uniti a Cristo, immersi nell’amore di Dio (battesimo significa immersione). Ma essere immersi nell’amore di Dio cosa vuol dire? Vuol dire prendere coscienza che siamo figli amati di un Dio che è Padre, e un Padre non vuole la morte dei suoi figli, altrimenti sarebbe non un padre, ma un assassino. E che questo Padre pensa ciascuno di noi come suo figlio, come Gesù nostro fratello. E Gesù nostro fratello ci ha insegnato a vivere da fratelli. Se viviamo come Gesù, guidati dal suo Spirito, noi diventiamo come Gesù, come Dio, siamo vivi adesso e quindi il momento della morte sarà come il parto di un bambino vivo. A questo proposito è illuminante proprio la pagina di vangelo proclamata questa notte. Nessun evangelista descrive la risurrezione di Gesù. L'immagine classica tradizionale di un Cristo trionfante, che esce dalla tomba, non appartiene ai vangeli. I vangeli vogliono darci indicazioni su come incontrare il Cristo vivente, per far capire che l'esperienza del Cristo risorto non fu un privilegio concesso duemila anni fa ad un piccolo gruppo di persone, ma una possibilità per i credenti di tutti i tempi. A tal riguardo, senza analizzarla nei dettagli, vediamo cosa ci dice questa pagina di Matteo. “Dopo il sabato, all’alba del primo giorno”, il primo giorno richiama il primo giorno della creazione, la domenica: vuol dire che con Gesù si realizza la nuova definitiva creazione. Il primo giorno della settimana è il giorno ottavo, e il numero otto, nella chiesa primitiva, sarà il numero che avrà il significato del Cristo risorto: di otto lati erano fatti i battisteri, e otto è il numero delle beatitudini raccontate da Matteo. Ebbene, le donne vanno al cimitero pensando di trovare un morto e viene loro detto: “non è qui, è risorto, come aveva detto”, e qui c’è un velato rimprovero: ve l’aveva già detto, perché non capite? Lo ripete anche a noi: perché andate al cimitero a trovare i morti? Non sono lì, sono risorti. Bene, alle donne viene detto che i discepoli vedranno Gesù in Galilea, e si dice alla fine che essi andarono sul monte che Gesù aveva loro indicato. E qual è questo monte? È il monte delle beatitudini. Dunque qual è il messaggio dell'evangelista? Che la prova che Gesù è risorto siamo noi se, accogliendo le beatitudini, vivendo cioè il messaggio d’amore proclamato da Gesù, ci sentiamo contenti, beati, realizzati o, detto altrimenti, vivi, risorti. Dunque la verità della fede non è un annuncio fatto di parole, dicendo che Cristo è risorto, ma se siamo risorti noi. Il grande filosofo Nietsche scriveva che non è vero che il Signore è risorto, altrimenti i cristiani avrebbero un’altra faccia. Cerchiamo allora di far vedere che Nietsche aveva torto! È questo l’augurio di Pasqua che vogliamo e dobbiamo farci.