domenica 22 aprile 2018

IV DOMENICA DI PASQUA

 “Un ragazzo di nome Eutico, seduto alla finestra, mentre Paolo continuava a conversare senza sosta, fu preso da un sonno profondo, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto”. Così leggevamo nel brano degli Atti degli Apostoli. Un episodio che potrebbe apparire un macabro aneddoto scritto per dire a noi preti di non essere troppo lunghi nelle prediche perché i risultati potrebbero essere letali
per qualche fedele. In realtà questi versetti parlano di quello che faceva Paolo in ogni comunità che visitava. Paolo non faceva addormentare la gente che lo ascoltava, ma celebrava con loro l’eucaristia. Si, questo racconto è una delle più antiche descrizioni dell’eucaristia. Anzitutto, se andiamo a rileggerlo, vediamo che la scena si svolge il primo giorno della settimana, che è la domenica, il giorno del Signore, della Pasqua, della risurrezione, dove la comunità era riunita a spezzare il pane (così era chiamata la cena del Signore). E si celebrava dalla sera, finito il lavoro, all’alba. Il luogo della celebrazione è chiamato “stanza superiore”, come “il Cenacolo” dove gli apostoli fecero l’ultima cena con Gesù, dove poi lo incontrarono risorto per 40 giorni e ricevettero lo Spirito santo. Adesso Paolo, che sta viaggiando e visitando le prime comunità cristiane, giunge a Troade, che è la regione di nord ovest dell’odierna Turchia. Anche Troade ha il suo Cenacolo. Si trova in alto, al terzo piano: mentre fuori è buio perché è notte, nella stanza c’era un buon numero di lampade che la illuminavano, e c’è Paolo che senza sosta conversa con tutti i fedeli riuniti. Le lampade rappresentano la Parola di Dio che, come dice il salmo, è lampada che guida i nostri passi, quindi stavano facendo esattamente quello che stiamo facendo noi adesso: abbiamo ascoltato la Parola di Dio e io la sto spiegando, anche se vi assicuro che sarò più breve di Paolo. La Parola di Dio è luce che illumina la nostra vita, altrimenti, che sia giorno o notte, è sempre buio. Ebbene, c’è un ragazzo di nome Èutico, che si chiama così non per caso, ma perché Eutico significa fortunato, seduto alla finestra, perché la finestra è la soglia tra la luce interna e le tenebre esteriori. Invece di ascoltare la Parola, cade in un sonno profondo che lo afferra e lo tira giù dal terzo piano nella notte, e viene raccolto morto. Non parrebbe molto fortunato. E inizialmente è così, perché questo ragazzo rappresenta tutti noi se siamo qui col corpo, ma con la testa no, se siamo qui e non accogliamo la Parola, non la ascoltiamo, non cerchiamo di farla entrare nella nostra vita: senza la Parola di Gesù noi siamo morti. Senza la sua Parola non possiamo nemmeno celebrare l’eucaristia, perchè è la Parola di Gesù che ci fa capire cosa vuol dire celebrare l’eucaristia. Da sempre, nella Chiesa, il momento della consacrazione e della comunione è preceduto dall’ascolto della Parola di Dio. Ed ecco che Paolo, scende anche lui nella notte, si getta sul ragazzo, lo abbraccia e dice a tutti: “Non vi turbate, è vivo!”. E clamorosamente, lo lascia lì per terra, risale, spezza il pane, mangia e, dopo aver parlato ancora per tutta la notte, partì. Dopo essere partito, ecco che riportano il ragazzo nella stanza e tutti si sentirono consolati. Come mai? Pare strano tutto questo. Certo che è strano se, come dicevo all’inizio, fosse solo un raccontino folkloristico. In realtà si vuole spiegare quello che succede nell’eucaristia. Prima di tutto si diventa come Gesù. Di fatto Paolo è diventato come Gesù. Anche Gesù, nella notte in cui fu tradito, abbandonato e rinnegato, è sceso nel nostro male, nel nostro peccato per abbracciarci, per ridarci la vita, a noi che siamo morti se, come Eutico, non ascoltiamo la sua Parola. E questa parola ci fa risorgere. E ci fa andare come Paolo a dare la vita per quelli che sono morti. L’eucaristia non la celebriamo solo per noi. Nell’eucaristia noi riceviamo la vita di Dio e dobbiamo poi comunicarla agli altri. Non è un rito magico l’Eucaristia: è nutrirci di Gesù, della sua Parola, del suo pensiero, del suo corpo, è assimilare lui, diventare come lui, bere il suo sangue, cioè ricevere la sua vita, per risorgere a vita nuova e per uscire di qui dando la vita agli altri. Per questo il ragazzo non viene riportato subito in casa, ma solo dopo che tutti, risalendo, ebbero mangiato il pane. Attenzione a non fraintendere. Non si sta dicendo che se uno sta male, allora io prima devo celebrare la messa e poi soccorrerlo, anzi, è vero il contrario. Si sta dicendo a cosa serve l’eucaristia: che ho bisogno di nutrirmi di Gesù per diventare come lui e soccorrere i fratelli. Parola e Pane gustato dai fratelli “in alto” restituisce vita anche a chi è caduto in basso. Ciò che avviene al giovane Èutico è il passaggio da morte a vita che nell’eucaristia tutti viviamo, a consolazione nostra che stiamo dentro e a vantaggio di chi sta fuori. Penso che adesso possiamo comprendere meglio le parole di Gesù nel vangelo di oggi, quando dice: le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e nessuno potrà strapparle dalla mia mano. Sentirci chiamati pecore è sempre fastidioso, però, se siamo onesti, dobbiamo ammettere che tutti spesso viviamo addirittura come pecoroni, perché nella vita ognuno segue sempre dei modelli. Gesù, invece, è il pastore buono, che vuol dire bello, autentico, vero. Diventare sue pecore è il contrario di pecoroni. Vuol dire diventare persone libere di amare perché si sentono amate, perché ricevono da lui la vita eterna, e la vita eterna è l’amore di Dio che ci fa sentire amati e ci dà la forza di amare. È eterna perché è la vita di Dio che ci fa risorgere. Se però, e così torniamo daccapo, ascoltiamo la sua voce, la sua Parola, se non ci addormentiamo, ma la facciamo entrare dentro di noi perché ci trasformi.