lunedì 13 settembre 2021

II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO (ANNO B) 12/09/21

Era accaduto che Gesù aveva guarito un uomo che era paralizzato da trentotto anni e, dopo averlo guarito, gli aveva ordinato di tornarsene a casa portando con sé il lettuccio sul quale era stato sdraiato. Il problema era che tutto questo era successo di sabato, e di sabato non era consentito fare nessun lavoro, 

come dice il terzo comandamento: “ricordati di riposare il sabato, come anche Dio si è riposato il sesto giorno”. E’ bellissimo pensare che Dio ci comanda di riposare: vuol dire che ci vuol proprio bene, non ci vuole schiavi del lavoro, del profitto, vuole che impariamo anche a goderci la vita, che non viviamo sempre pieni di stress, non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere. Evidentemente gli ebrei erano un po’ come noi milanesi e brianzoli sempre indaffarati, arrivando a sentirsi addirittura in colpa se si resta con le mani in mano almeno un giorno alla settimana. Oggi, nella nostra società cristiana, la domenica non è più il giorno della festa e del riposo, ma quello in cui molti si stressano ancora di più perché devono fare tutte le cose che non riescono a fare in settimana, e la sete del guadagno fa sì che molte attività commerciali siano aperte anche la domenica. Davvero, se Dio arriva a comandarci il riposo, è proprio perché ci vuol bene e non vuole vederci conciati così. Ma il riposo del sabato era diventato un incubo perché, prendendo alla lettera questo comandamento che Dio aveva dato a Mosè, non era consentito fare proprio nessun lavoro, neanche curare una persona malata o portare un lettuccio, e chi trasgrediva queste regole rischiava la morte. Gesù trasgrediva sempre questo comandamento del riposo, e lo faceva apposta, perché capissero che comunque c’è un lavoro che nemmeno Dio smette di compiere, quello di fare il bene, e per fare il bene non bisogna guardare il calendario. Risultato? Che si ritrovò contro tutti i capi religiosi che lo accusavano di essere un bestemmiatore. E allora Gesù si difende con le parole che abbiamo letto nel vangelo di oggi, dove dice: “Voi vi riempite la bocca di Dio, delle sacre scritture, di Mosè e della sua legge, ma non avete capito niente dei comandamenti che Dio ha dato a Mosè, altrimenti non mi accusereste: se Dio è amore, come potete scandalizzarvi se io di sabato faccio il bene? E’ proprio facendo il bene che io testimonio chi è Dio. Dentro di voi non avete l’amore di Dio!”. Parole durissime che costringono anche noi a guardarci dentro e a chiederci: ma chi è Dio e come vivo il rapporto con lui? A me ha colpito molto la pagina del profeta Isaia perché è una preghiera molto simile alle nostre e, dal modo col quale uno prega o non prega, si capiscono tante cose. Isaia scrive questa preghiera in un momento difficile, quando gli ebrei, dopo l’esilio a Babilonia, erano tornati in patria e dovevano ricominciare tutto daccapo, e allora si rivolge al Signore dicendogli, in sostanza: “Tu sei un Padre che ha sempre compiuto prodigi per il tuo popolo, ma noi ci siamo ribellati a te, non abbiamo seguito le tue leggi, quindi tu ti sei arrabbiato con noi, ci hai castigato, ma adesso non essere insensibile, sei nostro padre, ricordati del tuo amore per noi, fai qualcosa!”. Se ci pensate, anche noi preghiamo così il Signore. Tutte le nostre preghiere sono finalizzate a chiedere a Dio perdono dei nostri peccati al fine di ottenere misericordia e quindi le grazie e gli aiuti di cui abbiamo bisogno nelle difficoltà. Chiamiamo Dio col nome di Padre, ma di fatto lo consideriamo un padrone, e noi i suoi servi che devono ubbidirgli per paura di essere puniti e con la speranza di essere aiutati nel momento del bisogno. Nel brano della lettera agli Ebrei c’è scritto che Mosè era considerato un servo obbediente di Dio; invece, Gesù viveva il rapporto con Dio come quello di un figlio verso un padre: Gesù ci fa vedere che a Dio non dobbiamo ubbidire, ma dobbiamo assomigliargli nell’amore accogliendo il suo amore. Dio è spirito fonte di vita, di energia, di amore, è l’adrenalina capace di muovere i nostri passi nella direzione giusta, di infonderci forza e speranza, che vuole darci la sua stessa vita immortale, al punto che, sempre il brano della lettera agli Ebrei, si conclude dicendo che “la casa di Dio siamo noi”. Per questo Gesù diceva ai suoi accusatori: agendo così voi dimostrate di non avere dentro di voi l’amore di Dio. Questo vuol dire, allora, che la preghiera non deve servire per convincere Dio a cambiare idea e a farci andar bene le cose di cui abbiamo bisogno, ma serve per cambiare noi, per diventare come vasi che si lasciano riempire dal suo spirito, per entrare in sintonia col suo amore, per accorgerci della sua presenza dentro di noi capace di trasformarci.