domenica 30 ottobre 2016

II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE ANNO C

Ci stiamo avviando alla conclusione dell’anno litur gico: domenica prossima sarà la solennità di Cristo Re e poi inizierà l’Avvento. Il nostro rito ambrosiano ha messo al ce ntro delle liturgie di queste ultime domeniche il m istero della Chiesa: siamo partiti due domeniche fa contemplando la dedicazione del Duomo di Milano per riscoprire che tutti noi facciamo parte della Chiesa e siamo
dedicati, c onsacrati al Signore dal giorno del nostro Battesim o; domenica scorsa era la giornata missionaria mondiale che ci ricordava che tutta la Chiesa, e quindi ciascuno di noi, è chiamato ad essere missionario, e cioè a testimoniare la sua fede in Cristo a tutti quelli che incontra, con le parole e con la vita; la solennità dei santi che celebreremo tra poco ci mostra come la Chiesa non è fatta solo da noi viven ti, ma anche dai morti che sono in Paradiso, cioè i santi; e oggi è la domenica nella quale ci viene detto che la Chies a è chiamata ad annunciare che Dio vuole la salvezza di tutti i pop oli della terra, nessuno escluso. Lo spiegano bene le letture che abbiamo ascoltato. Ma anzitutto cos’è la salvezza? Isaia, nella lettura, paragona la salvezza ad un ba nchetto di grasse vivande, di vini eccellenti e raffinati, di cibi su cculenti. Nel vangelo Gesù, con la parabola che abb iamo letto, riprende questa immagine parlando della salvezza come di una festa di nozze in cui il Figlio è lo sposo e tutti noi siamo gli invitati. Della sposa non si parla, perché in realt à siamo sempre noi, invitati ad essere la sposa. Le nozze sono la più bella immagine del nostro rapporto con Dio: in Gesù , vero Dio e vero uomo, si celebrano le nozze tra c ielo e terra: la nostra unione con Cristo mediante lo Spirito ci ren de una cosa sola col Padre. Dunque la salvezza è la nostra unione con Dio, ed è qualcosa che riguarda il mio presente , non solo il futuro quando sarò morto. L’unione co n Dio mi salva perché mi fido della Parola del Signore (questa è l a fede) e non delle mie paure, per cui sono salvo, libero dalle mie paure: so che il mio destino è la vita eterna, che la vita non muore, che io sono amato per quello che sono così come sono da un Dio che è Padre, che non sono solo in me zzo alle croci della vita e che esse sono temporane e, e che lo scopo della vita, ciò che rende bella la vita, è am are senza misura gli altri nel modo in cui Dio ama me. I servi mandati dal re a portare a tutti l’invito alle nozze rappre sentano i profeti fino a Gesù, che annunciano la Pa rola di Dio. E l’invito di questi servi viene rifiutato, addirittu ra essi vengono uccisi. Dunque i servi simboleggian o appunto la Parola di Dio che ci annuncia la salvezza, ma che noi poss iamo rifiutare o accogliere. Per mille motivi. Su t utti quello di credere che la salvezza stia da un’altra parte, se i miei affari vanno bene, se ho la salute e i soldi , e così rifiuto l’invito a nozze del Signore, come i protagonisti della para bola. Non è forse così che ragioniamo anche noi? Po i, chissà perché, siamo sempre in crisi di fronte a qualunque problema, da quelli più gravi a quelli da poco. La cosa grave è quando ad andare in crisi siamo noi che pur apparen temente, non fosse che per il fatto che siamo batte zzati e siamo qui in chiesa, abbiamo accolto l’invito a queste no zze. Invece non è così. Perché? Perché siamo al ban chetto senza la veste nuziale. La veste nuziale è quella del Figlio , che compie la volontà del Padre. Noi possiamo ess ere qui senza renderci conto di cosa vuol dire, e infatti poi viv iamo la vita lontani dall’unione col Signore. Potre bbero spaventarci le parole che il re pronuncia al termine della parabol a verso quel tale trovato senza veste: legatelo e g ettatelo fuori nelle tenebre! In realtà non sono parole fatte per spaventarci, ma per farci convertire. Infatti il re si rivolge a quel tale chiamandolo “amico”, come Gesù aveva chiamato amico Giuda mentre lo stava tradendo, come Gesù chi ama ciascuno di noi: amici. Cosa vuol dire? Che la salv ezza è possibile e nasce proprio quando mi accorgo di essere nudo, indegno, non meritevole di nulla, eppure mi scopro graziato, misericordiato, come continua a ripetere il Papa. La salvezza non è quando mi sento giusto, ma quando ca pisco e ammetto di essere peccatore, e dunque bisog noso di un Dio che mi salvi, perché lontano da lui sono nel le tenebre. Molti sono i chiamati, cioè tutti siamo chiamati alle nozze, Dio chiama tutti i suoi figli all’unione con lui, perché li ama. Ma pochi sono gli eletti, perc hé gli eletti non sono i giusti o coloro che si credono tali, ma proprio q uei chiamati che sanno di aver rifiutato, di essere fuori, di non avere la veste nuziale: per questo scelgono di convertirs i e di rispondere alla misericordia di Dio, usando a loro volta misericordia verso gli uomini. Quindi davvero c’è s alvezza per tutti. A tutti è data la possibilità di vivere la pace del cuore in mezzo alle tempeste della vita, di sperime ntare un angolo di Paradiso in questa vita di infer no che ci costruiamo quando invece di accogliere la Parola di Dio e di viverla, la rifiutiamo. E il primo modo p er riuscirci è accorgerci che siamo senza veste, che non siamo arr ivati, che non ci basta essere qui. E la missione d ella Chiesa è precisamente quella di credere che l’amore che Dio ha per noi che abbiamo creduto nel suo amore di Pad re, è l’amore che Dio ha per tutti gli uomini del pianeta , e questa fede la Chiesa, cioè io, la manifesta e la annuncia prendendosi cura degli altri come Gesù, diventando misericordiosi come lui che è stato misericordioso come il Padre. Io non mi permetto di giudicare nessuno perché altr imenti condannerei me stesso. Ma mi chiedo ad esemp io con che coraggio celebreranno la messa, se ci andranno, quei cristiani cattolici di quel paese della Romag na che hanno aderito alla manifestazione contro l’accoglienza di quelle 12 donne rifugiate? Solo se si renderanno c onto di essere senza veste nuziale, non giusti, nudi, potrà esserc i speranza che cambino idea, altrimenti resteranno nelle tenebre. E questo potrebbe valere anche per me e per ciascuno di noi.