lunedì 15 aprile 2024

14/04/24 III DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

Le letture di questa domenica non sono facili. Mi limito a spiegare alcune frasi, soprattutto del Vangelo, che se vengono capite bene, cambiano radicalmente il nostro modo di vedere le cose, altrimenti se vengono fraintese, come accade normalmente, provocano disastri. Ai suoi discepoli scoraggiati per ciò 

che gli sarebbe capitato, Gesù dice: non sia turbato il vostro cuore, ma abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. E, poco dopo, dice a Filippo: chi ha visto me, ha visto il Padre. Cosa significa? Che Dio nessuno lo ha mai visto: Gesù ce lo ha fatto vedere. Per me, questa, è una delle frasi più importanti di tutta la Bibbia. Siccome Dio nessuno lo ha mai visto e conosciuto, ognuno se lo raffigura a modo suo. Solo guardando Gesù, crocifisso e risorto, noi possiamo dire qualcosa di Dio. Infatti, Gesù prosegue dicendo: io sono la via, la verità e la vita. Gesù è via che conduce al Padre, cioè: Gesù ci ha fatto vedere qual è la strada da percorrere per diventare figli del Padre come lui, e così avere il suo stesso destino. E questa via è quella dell’amore senza confini, fino alla croce. Gesù è la verità perché ha amato così veramente, non per finta. Infatti, chiede ai discepoli di credere in lui non solo per le parole che ha pronunciato, ma per le opere che ha compiuto. Ogni parola che Gesù ha pronunciato viene dal Padre perché lui l’ha realizzata: per questo è credibile. E Gesù è la vita perché, con la sua risurrezione, ci ha fatto vedere che, vivendo così, si riceve dal Padre una vita indistruttibile. Fin da adesso. Perciò, la fede in Gesù, credere in Gesù, vuol dire fidarsi di quello che Gesù ha detto, e farlo. Noi, spesso, obiettiamo dicendo: “eh, ma lui era Gesù, io come faccio?”. Ebbene, sappiate che quando noi facciamo questo pensiero, stiamo vanificando, cioè stiamo rendendo inutile, l’incarnazione di Dio in Gesù. Dio, in Gesù, ha preso la nostra carne perché anche noi, seguendo la via di Gesù, possiamo diventare come lui. E questo è possibile perché ha donato a ciascuno il suo Spirito. Se noi entriamo in contatto con lo spirito di Dio che dentro di noi e gli permettiamo di agire, anche noi possiamo fare le stesse cose che ha fatto Gesù. Per questo la liturgia ci propone in tutto il tempo pasquale la lettura degli atti degli apostoli, perché gli atti degli apostoli non sono altro che il racconto di tutto quello che i discepoli di Gesù dopo aver accolto il suo spirito hanno potuto fare. Guardiamo per esempio il brano di oggi. Paolo e il suo amico Sila si trovano in carcere, legati, un’immagine usata da Luca, l’autore degli Atti, che richiama Gesù nel sepolcro. Nel primo versetto della lettera ai Colossesi, abbiamo ascoltato le parole di Paolo che dice: io sono lieto di queste sofferenze perché partecipo agli stessi patimenti di Cristo, e quindi perché sto seguendo la via di Cristo che porta alla vita e alla risurrezione. E infatti cosa accade? Che un terremoto, come quello che nella notte di Pasqua fa uscire Gesù dal sepolcro, libera tutti i prigionieri dalle catene. E quando la guardia vuole suicidarsi per paura di essere punita, Paolo e Sila la rassicurano, e questo prendersi a cuore il destino proprio del loro carceriere fa si che questi addirittura si converta, chieda il battesimo e si metta a curare le loro ferite. Pensate la forza del circolo virtuoso del bene, e confrontatelo con la spirale viziosa della risposta al male col male che sta portando a tutte le guerre in corso. Tutto dipende da quale spirito noi uomini decidiamo di lasciarci guidare. Perché tutti siamo abitati dallo spirito di Dio, in tutti Dio vuol prendere dimora: occorre rendersene conto ed entrare in contatto con questo spirito. E questo è anche il senso delle prime parole sempre di questo vangelo che, purtroppo, vengono sempre fraintese, tanto è vero che spesso vengono lette quando ci sono i funerali, quando Gesù dice che, nella casa di suo Padre, ci sono molte dimore, che lui sta per raggiungerla per prepararci un posto e poi verrà a prenderci per portarci dove si trova lui. Non sta parlando del Paradiso. Non sta dicendo che la casa del Padre è in cielo e la raggiungeremo dopo la morte, come spesso si dice quando muore qualcuno: è tornato alla casa del Padre. Per questo, anche se il Paradiso è un bel posto, a noi viene spontaneo dire a Gesù: non avere fretta a venirci a prendere, per adesso stiamo bene qui dove siamo. Invece, di cosa sta parlando Gesù? Per scoprirlo dovremmo andare avanti a leggere tutto il capitolo, e al versetto 23 Gesù dirà: “se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui”. Perciò, Gesù sta dicendo che Dio vuole abitare in noi, che siamo noi la casa di Dio. Le dimore di Dio sono tante, tante quante sono i suoi figli, perché l'immensità di Dio non si può manifestare in una sola persona o in una sola comunità, ma ha bisogno di molteplici forme per poter fiorire: ognuno di noi, con tutti i suoi limiti, se entra in contatto con lo spirito Santo può diventare una manifestazione di Dio. Quindi, Gesù non va dal Padre per preparare a ciascuno di noi un appartamento, ma ci indica la via per diventare anche noi, come lui, una cosa sola col Padre, cosa che avverrà in modo completo e definitivo con la morte del nostro corpo. Penso che siano pagine della Scirttura, quelle che oggi ci offre la liturgia, che davvero, se comprese bene, come dicevo all’inizio, possono cambiare davvero il nostro modo di vivere il rapporto col Signore.