domenica 21 aprile 2024

21/04/24 IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

Vorrei proporvi tre brevi riflessioni sulle tre letture di oggi, rileggendole a partire da quanto scrive il Papa nel suo messaggio in occasione di questa giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Parto dal vangelo, dove Gesù dichiara che le sue pecore ascoltano la sua voce e lo 

seguono. Più che ascoltano, riconoscono la sua voce, in mezzo a tutte le altre voci. Non piace a nessuno essere chiamato pecora. E’ giusto, perché ognuno deve seguire la sua coscienza. Ma la nostra coscienza si forma in base al pensiero e alle voci degli altri. Sappiamo riconoscere e seguire la voce di Gesù in mezzo a tutte le altre? È davvero Gesù il nostro Maestro interiore? Avere Gesù come Maestro e seguirlo, vuol dire avere come programma di vita, scrive il Papa, quello di Gesù, cioè amarci gli uni gli altri come lui ama noi: questa è la vocazione di tutti i battezzati e cresimati, qualunque cosa poi uno decida di fare nella vita. Scrive il Papa: chiamati a diventare pellegrini di speranza, soprattutto oggi, in un mondo segnato da sfide epocali. Pellegrini, non vagabondi. Il vagabondo non ha una meta, il pellegrino si. Conosce la meta, e vuole arrivare lì. E quindi non si abbatte mai, non si rassegna di fronte alle fatiche, alle difficoltà e a tutte le sfide del nostro tempo. Perché sa che Cristo è risorto e che niente e nessuno, dice Gesù, può strapparci dalla sua mano. A quanti lo seguono, Gesù dona loro la sua stessa vita: «Io do loro la vita eterna». Non dice “darò”: la vita eterna non è un premio futuro, ma una realtà già presente: è la stessa vita di Dio in noi, adesso, una vita indistruttibile, capace di superare anche la morte. E qui mi collego, per una seconda riflessione, con il pittoresco racconto degli Atti degli Apostoli che, in apparenza, sembra quasi tragicomico: san Paolo sta facendo la predica, la tira talmente lunga, fino a mezzanotte, che un ragazzo, seduto sul davanzale della finestra, si lascia prendere dal sonno, come succede a tanti durante la messa mentre il prete sta parlando, e cade dal terzo piano, sembra morto, Paolo si getta su di lui, lo fa risorgere e poi, come se niente fosse, tornano tutti di sopra e Paolo va avanti a far la predica fino all’alba. Una messa abbastanza lunga, direi. In realtà, questo, è un brano che vuole spiegare cosa accade quando i cristiani, la domenica, si ritrovano a celebrare l’eucaristia, a spezzare il pane. La scena, infatti, si svolge in una stanza al piano superiore, come Gesù con gli apostoli nel cenacolo. E’ illuminata da molte lampade, che rappresentano la luce della Parola di Dio che si proclama nella Messa. Paolo sarebbe partito il giorno dopo, come Gesù che, dopo l’ultima cena, sarebbe partito per andare a morire. E, come Gesù, prima di andarsene, fece lunghi discorsi agli apostoli, così fa Paolo. Paolo è diventato come Gesù. Ma c’è un ragazzo che stava alla finestra, che non si lascia coinvolgere, non si lascia illuminare, e cade nel sonno della morte. Allora Paolo scende per abbracciarlo, come Gesù scende nel sepolcro per farci risorgere e, sempre come Gesù, dice a tutti: non temete. E la celebrazione continua, come se niente fosse, per indicare che l’eucaristia serve proprio per farci risuscitare, per far diventare ciascuno di noi una manifestazione dell’amore di Dio per gli altri, anche per quelli, e sono tanti, che stanno alla finestra. Ecco un modo concreto per diventare pellegrini di speranza. Perciò concludo con un terzo brevissimo pensiero che, più che una riflessione, è semplicemente riproporre a me e a tutti voi l’invito che Paolo rivolge a Timoteo e a ciascuno di noi nell’epistola: non trascurare il dono che ti è stato conferito e vigila su te stesso. E così sia.