lunedì 1 aprile 2024

31/03/24 DOMENICA DI PASQUA

Ieri sera, con la proclamazione della risurrezione di Gesù nella veglia pasquale, siamo entrati nell’Ottava di Pasqua. Liturgicamente, la Pasqua non finisce stasera. Domani non è “pasquetta”. Il lunedì dell’Angelo non è una “piccola pasqua”, ma è il secondo giorno dell’Ottava di Pasqua, a cui 

segue il martedì, il mercoledì, fino a domenica prossima, perché il giorno di Pasqua dura otto giorni. Otto giorni perché l’8 è simbolo dell’eternità. Noi contiamo i giorni suddividendoli in settimane: l’ottavo giorno è quello che va oltre il tempo e lo spazio. Per noi cristiani, la domenica, il giorno della risurrezione di Gesù, non è solo il primo giorno della settimana, ma è l’ottavo giorno, perché, celebrando l’eucaristia, noi entriamo già nell’eternità di Dio: ogni volta che celebriamo l’eucaristia, entriamo nell’ottavo giorno, perché Cristo risorto, attraverso lo Spirito santo, si rende presente nel pane e nel vino e ci fa pregustare in anticipo la piena comunione col Padre che vivremo dopo la morte del nostro corpo insieme a tutti i nostri fratelli e sorelle che hanno già terminato il loro pellegrinaggio terreno e che sono qui con noi, adesso, a rendere grazie al Dio della vita. Da ieri sera fino a domenica prossima, nelle Messe dell’ottava di Pasqua, la liturgia proclama i racconti evangelici della risurrezione di Gesù, che sono tutti diversi gli uni dagli altri. Perché ogni racconto vuole provare a descrivere in che modo anche noi oggi possiamo incontrare Gesù risorto, perché non basta credere che è risorto. Occorre sperimentare sulla nostra pelle e nel nostro animo che è risorto, altrimenti non c’è differenza tra chi crede e chi non crede. Risorto, attenzione, non vuol dire che il suo cadavere è tornato in vita, ma che la carne di Gesù, il suo corpo, cioè la sua persona, dopo la morte del suo corpo, si è trasformata, è entrata nell’eternità, ma non per questo si è resa assente, e nemmeno invisibile, anzi: continua ad apparire e a farsi vedere, ascoltare, toccare, in un modo del tutto nuovo. E ogni racconto della risurrezione ci dice in che modo. Proviamo allora, brevemente, a guardare da vicino cosa vuol dirci l’evangelista Giovanni col racconto del vangelo di oggi. Brevemente, perché le cose da dire sarebbero tantissime. Giovanni ambiente la scena in un giardino, dove avviene l’incontro tra un uomo e una donna (si capisce che è un giardino perché Maria di Magdala scambia Gesù per un giardiniere). Giovanni ci sta dicendo: come nel giardino dell’Eden, Dio collocò Adamo ed Eva, così la risurrezione è una nuova creazione. Risorgere vuol dire diventare nuove creature, non un giorno, ma già adesso. Non riguarda solo Gesù, ma anche noi. E cosa vuol dire diventare nuove creature? Per spiegarlo, l’evangelista costruisce il racconto facendo compiere a Maria di Magdala, a Gesù e agli angeli le stesse azioni dei protagonisti di un bellissimo poema dell’Antico Testamento, il Cantico dei Cantici, dove c’è una donna malata d’amore che cerca disperatamente il suo amato da tutte le parti, chiede alle guardie se lo avevano visto, e, alla fine, lo trova proprio in un giardino. Allo stesso modo, Maria viene chiamata “donna”, che vuol dire sposa, ed è disperata perché il corpo di Gesù è sparito, e chiede informazioni alle guardie del sepolcro, che qui sono gli angeli. Quando poi riconosce nell’uomo che aveva scambiato per il giardiniere il volto del suo amato, Gesù, lo chiama “Signore”, che vuol dire marito. L’evangelista non sta dicendo che la Maddalena e Gesù fossero fidanzati: questo lo dicono quelli che interpretano il vangelo in modo sbagliato. Ci sta dicendo, invece, che fu l’amore che Maria aveva verso Gesù, generato da tutto l’amore che Gesù aveva manifestato verso tutti nel corso della sua vita, a farle capire che, uno così, non poteva essere stato inghiottito dalla morte ed essere sparito, e quindi che l’amore è più forte della morte, come c’è scritto nel Cantico dei Cantici. Gesù stesso aveva detto: “se il chicco di grano caduto per terra non muore, non porta frutto”. Il frutto è il seme che è germogliato, trasformato, è sempre quel seme, ma è diverso. E dunque, quali sono le indicazioni che ci sta dando l’evangelista? Che se noi impariamo a ricordare le parole di Gesù e a fidarci, e se impariamo a sentire dentro di noi quanto è grande l’amore col quale ci ha amato, possiamo sentire dentro di noi che Gesù è vivo, è risorto, e cominciamo a risorgere anche noi, diventando nuove creature, piene di gioia, e questo amore ci rende pian piano una cosa sola con Lui, come accade per gli sposi nelle nozze. Pian piano, dicevo. Perché? Nel Cantico dei Cantici, l’innamorata, quando trova l’amato del suo cuore, dice: “Lo strinsi fortemente e non lo lascerò finché non l'abbia condotto in casa di mia madre”. Qui l’evangelista cambia il finale: Gesù dice alla Maddalena: “non mi trattenere”. Non è lei a doverlo portare a casa di sua madre, ma è lui che vuole portarla nella casa di suo Padre: la festa di nozze non è in questa vita. Questa vita è il tempo del fidanzamento col Signore, nel quale dobbiamo camminare dietro di lui. La Maddalena rappresenta la nuova comunità dei discepoli di Cristo, la Chiesa, che ascoltando la voce del buon pastore, vive la sua esistenza come tempo di fidanzamento durante il quale trasmettere agli altri l’amore che Dio ha riversato su ciascuno di noi: per questo la manda ad annunciarlo ai suoi discepoli. E così fece. Allo stesso modo, anche noi siamo chiamati a fare lo stesso.