lunedì 1 aprile 2024

28/03/24 GIOVEDI' SANTO

 LA NOTTE DEL FALLIMENTO

Sapete che la scena del Cenacolo di Leonardo da Vinci rappresenta la reazione degli apostoli quando Gesù, nell’ultima cena, annuncia il tradimento di Giuda. Nel racconto dell’ultima cena secondo Luca, si dice che, mentre Gesù si dona come pane e vino e annuncia che uno dei commensali lo tradirà, i discepoli si mettono a discutere per sapere chi di loro potesse essere considerato il più importante, dimostrando così di non aver capito niente dell'insegnamento di Gesù sul servizio reciproco. L’evangelista Giovanni, che spiega il significato dell’eucaristia raccontando la lavanda dei piedi, riporta lo scontro di Gesù con Pietro che rifiuta di farsi lavare i piedi. Sempre Pietro, lo abbiamo appena proclamato nel racconto di Matteo, per due volte contraddice Gesù asserendo con presunzione che lui, a differenza di tutti gli altri, non si sarebbe mai scandalizzato di Gesù, che non lo avrebbe mai rinnegato, che sarebbe morto per lui, poi, subito dopo, nell’orto, con gli due campioni (si fa per dire) Giacomo e Giovanni, si addormenta, invece di vegliare e pregare insieme a Gesù; poi, nella colluttazione con le guardie, impugna la spada e colpisce il servo del sommo sacerdote, contraddicendo l’insegnamento di Gesù di amare anche i nemici; quindi, insieme a tutti gli altri apostoli, abbandona Gesù, fugge e, mentre Gesù viene processato, non solo lo rinnega, ma dichiara di non conoscerlo, e alla fine piange amaramente non perché pentito di aver rinnegato Gesù (altrimenti avrebbe potuto benissimo tornare sui suoi passi), ma per la delusione di aver seguito un Messia perdente. Infine, ci sono tutti gli altri personaggi: la folla che arriva con spade e bastoni per arrestare Gesù, come fosse un ladro e un assassino; i capi dei sacerdoti, gli scribi, gli anziani, tutte le autorità che, dopo aver ordinato il suo arresto, cercano falsi testimoni contro di lui, e ne trovano parecchi, e alla fine gli sputarono in faccia, lo percossero, lo schiaffeggiarono e lo presero in giro. Ebbene, come potremmo chiamare quella notte, se non la notte del fallimento? Pazienza la gente, la folla, ma proprio i più vicini a lui, gli intimi, che con lui hanno condiviso giorni e giorni di avvenimenti intrisi di Dio, proprio questi non hanno capito niente del suo messaggio. Così come capì niente della misericordia di Dio il profeta Giona. È vero che il racconto di Giona è una favola, ma è una favola che racconta, anche questa, il fallimento di Dio nel far comprendere al profeta la sua misericordia capace di abbracciare tutti, perché per Giona, come per tante persone, Dio è buono, ma è anche giusto, nel senso che, alla fine, dovrà pur punire chi non fa giudizio, cioè chi la fa franca in questo mondo, chi noi, che siamo quelli bravi, non siamo riusciti a punire come si dovrebbe. Ma Dio non è questo: Dio è giusto perché è fedele al suo amore, e siccome Dio è solo fonte di vita, può solo donare vita e amore a chi non ce l’ha, non punirlo. Ma non è finita. La notte del fallimento di Dio è continuata anche qualche anno dopo quando la comunità di Corinto si ritrovava per celebrare l’eucaristia. San Paolo, nel brano che abbiamo ascoltato prima, usa dure parole contro di loro. Nei primi tempi delle comunità cristiane, l’eucarestia non aveva l’aspetto rituale che poi prenderà nel tempo. I cristiani si riunivano in casa di qualcuno e portavano da mangiare e condividevano. A Corinto, però, questo non accadeva, ma capitava che i ricchi portavano abbondanza di cibi e di bevande e mangiavano e bevevano per conto loro, e i poveri stavano a guardare. Per questo Paolo dice: non va bene che uno ha fame e l’altro è ubriaco, state a casa vostra a mangiare e bere, perché altrimenti fate questa cena in modo indegno, mangiate e bevete la vostra condanna, e infatti tra voi ci sono ammalati, infermi e morti. Cosa vuol dire? Vuol dire che, mentre si celebra l’eucarestia, che è l’amore del Padre che ci dà il Figlio e il Figlio che dà la vita per noi per farci fratelli, se noi celebriamo questo con le parole, nutrendoci del suo corpo, dimenticando che il corpo di Cristo è fatto dai fratelli e dalle sorelle, non stiamo facendo la comunione con Dio, ma siamo una comunità malata, già morta, non siamo risorti, la vita di Dio non abita in noi. Il Dio di Gesù chiede a ciascuno di essere accolto per fondersi nella sua esistenza e dilatare la sua capacità d’amore. Dio si manifesta non quando alziamo le mani al cielo per invocarlo, ma quando le abbassiamo per servire. Siccome non dobbiamo sentirci estranei a questi racconti, perché siamo qui a rivivere questa notte, perciò dobbiamo domandarci con quali sentimenti noi siamo qui e chiederci se, dopo duemila anni, stiamo aumentando, oppure riscattando il fallimento di quella notte. Però, c’è una meravigliosa notizia capace, in ogni caso, di illuminare questa  atmosfera così fallimentare: che Gesù non si scoraggia. In mezzo alla più completa incomprensione e ostilità, Gesù aumenta la sua capacità d'amore e ama i suoi discepoli sino all'estremo. Non rimprovera, non rinfaccia, ma neanche si rassegna, e offre loro, e anche a noi, non dei discorsi, ma trasforma il suo amore in dono, offrendo tutto se stesso: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo; prendete, bevete, questo è il mio sangue”. Ai discepoli che sono carenti di vita, invischiati in orizzonti meschini fatti d’ambizioni, interessi e rivalità, Gesù dona tutta la sua capacità d'amare: quel pane è lui. Gesù si offre come colui che alimenta e mantiene in vita l'uomo, perché ci offre la stessa vita indistruttibile di Dio, capace di superare anche la morte. E questa offerta di vita è sempre valida per tutti. A questa cena c’è posto per tutti. A Gesù non interessa il passato delle persone, ciò che hanno combinato, ma offre a tutti la possibilità e la forza di realizzare pienamente la loro vita. A chi lo accoglie dona la capacità di diventare come lui. Sapremo accoglierla anche noi?