domenica 14 febbraio 2021

ULTIMA DOMENICA DOPO EPIFANIA (14/02/21)

Nel vangelo di domenica scorsa i protagonisti erano un fariseo e una prostituta, e in quello di oggi i protagonisti sono ancora un fariseo, ma stavolta un pubblicano. Proviamo a capire chi erano i farisei. Lo si capisce fin dall’inizio, perché Luca scrive che Gesù disse questa parabola per alcuni che avevano 

l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: questi erano i farisei. Giusti vuol dire essere a posto con Dio. I farisei, per sentirsi a posto con Dio, rispettavano tutte le regole della religione, anche quelle che non c’erano. Un po’ come lo studente secchione che per acquistare punti davanti all’insegnante si mette a fare più compiti di quelli che dovrebbe, si fa bello di fronte ai compagni e disprezza quelli che non sono bravi come lui. Tanto è vero, lo abbiamo letto, che il fariseo dice di sé stesso, con orgoglio: “Digiuno due volte alla settimana”, mentre la Legge prevedeva il digiuno una volta l’anno; “e pago le decime di tutto quello che possiedo”. La decima era una tassa che si pagava solo su alcuni alimenti, non su tutti: lui, invece, scrupoloso, pagava tutto quanto, cioè faceva cose che Dio non aveva mai detto di fare. Così facendo, i farisei si separavano da tutti gli altri uomini, infatti la parola fariseo significa separato. Per i farisei, l’amore di Dio bisogna meritarselo, conquistarlo: se io faccio così, Dio mi ama, io sono salvo e lui mi ascolta, altrimenti mi castiga. Per cui, ragionavano, se il mondo va male, è per colpa di tutti quelli che non fanno come me, che sono ladri, adulteri, ingiusti, pubblicani. Ed eccoci allora al pubblicano. Chi erano i pubblicani? Erano gli esattori delle tasse, ebrei al soldo dei romani, quindi traditori. Già gli esattori delle tasse, allora come oggi, non erano visti di buon occhio, figuriamoci se riscuotevano le tasse da dare ai romani e, naturalmente, i pubblicani ne approfittavano per fare la cresta e arricchirsi loro, quindi erano anche ladri. Nel vangelo di Luca, se ricordate, c’è lo stupendo incontro di Gesù col pubblicano Zaccheo che, infatti, dopo essersi sentito amato da Gesù, decide di restituire quattro volte tanto alle persone che aveva derubato. Secondo i farisei, i pubblicani erano trasgressori di tutti i comandamenti, erano marchiati come impuri e per loro non c’era speranza di salvezza, per cui, anche se un pubblicano si fosse convertito, non avrebbe più potuto cambiare mestiere e per lui non c’era nessuna speranza di salvezza. Quindi, vedete, in questa parabola Gesù presenta i due opposti: il più vicino a Dio e l’escluso da Dio. Ma lo fa per mostrare che invece è vero il contrario: è proprio il fariseo ad essere quello più lontano da Dio perché non ha capito chi è Dio. I farisei di oggi sono quelle persone molto pie, religiose, scrupolose, che non si sentono a posto in coscienza se non hanno detto bene tutte le preghiere, anche più di quelle richieste, che vanno a messa o a confessarsi per dovere, non perché ne sentono il bisogno, che si scandalizzano e condannano tutti quelli che non sono devoti come loro. Timorati di Dio nel senso che hanno paura di Dio, e quindi vivono la fede con angoscia, pensando che Dio è lì col suo occhio a fare le pulci, a vedere ogni loro mossa, pronto a prendere in fallo chi sgarra e a punire, e infatti sono sempre tristi, cupi, con la faccia smorta, brontoloni con gli altri, chiedendosi poi perché molte persone, anche tra i loro familiari, non vanno più in chiesa, senza rendersi conto che anch’io, quando vedo qualcuno così, non mi viene voglia di essere cristiano. Se io vivo tutta la vita cercando di meritarmi l’amore non solo di qualcuno, ma soprattutto di Dio, sarò sempre in angoscia, mi sentirò sempre in colpa sentendomi perennemente indegno. Gesù, invece, ha insegnato tutto il contrario, ed è per questo che, se doveva dire parolacce, e ne ha dette, le diceva contro i farisei, e infatti i farisei lo odiavano. Gesù li accusava di non capire che essi facevano cose che Dio non aveva mai chiesto e dimenticavano di fare l’unica cosa che ci rende giusti davanti a Dio, l’unica cosa che ci mette in una relazione giusta col Signore: ovvero accogliere il suo amore, sentirsi tutti figli amati dal Padre e imparare di conseguenza non a separarsi dagli altri, ma ad amare gli altri come fratelli, facendo come Lui. È interessante perché anche la parola “santo” significa separato. Dio è santo e tutti noi siamo chiamati a diventare santi come Dio, ma Dio è santo perché è separato dal male, non dai suoi figli che commettono il male, anzi: non ha disdegnato di farsi uno di noi, per farci diventare come lui. Gesù non loda il pubblicano perché era un ladro, ma perché si era messo davanti a Dio nel modo giusto, a differenza del fariseo, cioè con fede, fede nella misericordia di Dio, infatti gli dice. “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, letteralmente “sii benevolo, mostrami la tua misericordia”. Lui sa che è in una situazione disperata, per lui non c’è perdono, per lui non c’è salvezza, ma nonostante questo dice “mostrami la tua misericordia”. “Tu vedi, Signore, che vita faccio, non posso cambiare, questa è la mia situazione, tu la conosci. Ebbene, nonostante questo, mostrami il tuo amore e la tua misericordia”. Gesù mostra che Dio dirige il suo amore non a chi lo merita, ma a chi ne ha bisogno, come nei confronti della prostituta di cui parlava il vangelo domenica scorsa. Perciò, come cristiani, questo deve essere sempre il nostro atteggiamento. E dobbiamo stare bene attenti a non correre un altro rischio, quello di metterci frettolosamente nella parte del pubblicano, contro quel presuntuoso del fariseo: così facendo, diventiamo esattamente come lui. Condannando, infatti, il fariseo, scambiamo i personaggi: noi ci mettiamo in piedi davanti a Dio, dichiarando di non essere come il fariseo. Se così fosse, saremmo noi a essere umiliati, per esserci esaltati.