domenica 19 luglio 2015

VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Voi sapete che le letture del nostro rito ambrosian o nelle domeniche dopo Pentecoste sono legate tra l oro da un tema comune, ma il punto di partenza è sempre la pr ima lettura che di domenica in domenica fa passare in ordine cronologico personaggi ed eventi dell'Antico Testam ento per farci vedere poi nel Vangelo e nelle lette re di San Paolo in che modo Gesù ha rivelato il vero significato di questi avvenimenti. Siamo partiti tre domeniche fa con Abramo, poi è stata la volta di Mosè, poi di
Giosuè domenic a scorsa, e oggi la prima lettura parla dei Giudici di Israele. Con Giosuè il popolo d’Israele finalmente entra nella t erra promessa, e da popolo nomade divenne popolo se dentario. Col passare degli anni, abbiamo letto, le generazio ni successive a Giosuè dimenticarono gli insegnamen ti del Signore, lo abbandonarono e si misero ad adorare gli idoli. Una situazione simile a quella in cui viviamo oggi dopo circa 3000 anni da quando accaddero queste cose, seppure in un contesto molto diverso da quello degli ebrei. Quel la che fino a qualche decennio fa veniva considerata società cris tiana, cioè una società che aveva sviluppato la sua cultura, i suoi modi di vivere e le sue tradizioni a partire dal va ngelo, oggi non lo è più: il punto di riferimento o ggi, in tutta la civiltà occidentale, europea e americana, non è più il vang elo, la stessa voce del Papa è solo una fra le tant e. Ebbene, di fronte a questa situazione, abbiamo letto che l’ira del Signore si accese contro Israele e Dio li mise in mano ai popoli stranieri che li depredarono. Cioè, Israele interpr eta i mali che gli capitano come castigo mandato da Dio per farli ravvedere. In realtà, come capiremo nel vangelo, di fronte al nostro male, Dio agisce in ben altro mod o. Semmai il castigo è la conseguenza insita nel male stesso, ne l senso che il frutto del male è altro male. Dopo i l castigo, ecco che il Signore faceva sorgere dei giudici che in sostan za erano capi militari per liberare Israele dai nem ici (quelli più famosi furono Debora, Gedeone, Sansone). Ciò nonost ante la storia si ripete: moriva quel giudice, e il popolo tornava ad essere infedele. E tutta la Bibbia è in sostanza il racconto della travagliata storia di amore tra Dio e il suo popolo, che è poi la storia di ciascuno di noi, come si rip eteva nelle parole del salmo: noi ci dimentichiamo di Dio, ma lui non si dimentica di noi e continua a fare di tutto per salvarci dal male. Il male c’è, noi lo facciamo, ci facciamo del male e lo facciamo agli altri e Dio cosa fa? Continua a li berarci, e questo è il tema delle letture di oggi. Ma come il Signore ci libera dal male? Eccoci al vangelo. Purtroppo i ver setti che abbiamo letto non si capiscono se non sap piamo quello che era accaduto prima. Gesù aveva spiegato per tre volte ai discepoli cos’è la Gloria di Dio. In ebra ico gloria vuol dire peso, quindi la gloria è la consistenza di una persona, il suo valore. In cosa consiste il valore di Dio? Nel fatto che ci ama senza condizioni e ci libera dal male prende ndo su di sé il male che facciamo e restituendoci i l contrario. Il male c’è e lui lo prende su di sé, e così noi siamo liberi dal male perché scopriamo di essere amati l o stesso così come siamo. Ebbene, per due volte essi non avevano capit o queste parole. Dopo averlo detto per la terza vol ta, ecco che Giacomo e Giovanni gli dicono: vogliamo che tu facc ia quello che ti chiediamo. Una richiesta bella, pe rché Gesù è venuto apposta per fare quello che gli chiediamo, e infatti disse loro: Che cosa volete che io faccia per voi?, ma sperava che finalmente avessero capito cosa domanda rgli, e cioè la liberazione dal male che accade se ci sentiamo amati da Dio. Invece essi gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Cioè non avevano capito ancora nulla, es attamente come noi. Per loro la gloria, il peso, il valore di una persona, e dunque il senso della vita risiedeva nel l’avere, nel potere, nel diventare grandi: adesso a ndiamo a Gerusalemme, a Gerusalemme inizierà il Regno di Dio e Lui sarà il re capo, quindi speriamo di diventar e suoi primi ministri. Perché per l’uomo la gloria è quella dei capi delle nazioni che spadroneggiano, che dominano ; è fare il male, è l’egoismo, è la realizzazione dell’egoismo, è ess ere apprezzati, e infatti ci si ammazza per questo, perché nascono invidie e gelosie. Per Dio invece la gloria è esatt amente il contrario, è la realizzazione dell’amore. Infatti dice loro: non sapete quello che chiedete, perché non avete ca pito qual è la mia gloria, e cioè l’amore, che si r ealizza nel battesimo della croce, perché sulla croce Dio viene “immerso” in tutto il nostro male. Potete bere que sto calice? Essi gli rispondono: possiamo, anche se non avevano capi to nulla, e Gesù gli dice: sì, è vero, lo berrete i l mio calice, riceverete il mio Battesimo, perché di fatto avrete la mia sorte, ma non spetta a me darvi il potere d i farvi sedere alla mia destra e alla mia sinistra. Sedere alla destra e alla sinistra vuol dire avere lo stesso potere di Gesù, e il potere di Gesù è amare, ma questo potere viene dato dal Padre a chi diventa umile e piccolo come Gesù. Interessa nte a sto punto vedere che gli altri apostoli si indignano co n loro, ma perchè? Perché volevano lo stesso posto, e quindi anche loro non avevano capito nulla. E allora Gesù da l’a ffondo spiegando cos’è il male da cui viene a liber arci, il male comune a tutti, quello di pensare che la gloria sia comandare, tiranneggiare, avere gli altri sotto di sé, realizzare il proprio egoismo distinguendosi e mettendosi sopra g li altri. E gli dice: non così fra voi. È giusto re alizzarsi, è giusto essere grandi e noi ci dobbiamo realizzare ed esser e grandi, ma c’è un altro modo di essere grandi che è un modo divino. “Il più grande tra voi si farà servo”. La v era grandezza, che è quella di Dio, è essere servo. Servire è nel NT, la traduzione concreta di amare. Amare vuol dire servi re l’altro. Come l’egoismo vuol dire servirsi dell’ altro. Capire che il male non è quando viene fatto del male a me, ma quando io faccio del male a un altro, e io imparo a non fare il male, ma il bene, quando scopro che il più grande d i tutti, Dio, per primo ha fatto così con me, prend endo il mio di male, e quindi mi sento amato così come sono, e all ora divento a mia volta capace di fare altrettanto. E dunque questo va chiesto a Dio nella preghiera perché ce l o conceda: che impariamo a renderci conto di quanto siamo amati per poter amare a nostra volta di questo stesso amo re e così diventare uomini e donne veramente liberi , capaci come Dio di amare tutti anche se siamo odiati da tu tti perché ci sentiamo amati così da Dio. E così ar riviamo alle parole di Paolo ai Tessalonicesi che dimostrano com e l’apostolo capì davvero e visse queste cose, e in fatti scrive di essere stato per loro amorevole come una madre, fin o al dono della vita, e premuroso e forte come un padre che si cura dell’educazione esigente nei confronti dei fig li. Disinteressato, senza cercare favori o approvaz ioni, con la discrezione e la delicatezza di non approfittare di niente, con un comportamento “santo, giusto e irre prensibile”, senza arrivismi. Parole che suonano di monito e di esempio prima di tutto per noi sacerdoti. Ma che de vono raggiungere il cuore di ciascuno.