Voi sapete che le letture del nostro rito ambrosian
o nelle domeniche dopo Pentecoste sono legate tra l
oro da un
tema comune, ma il punto di partenza è sempre la pr
ima lettura che di domenica in domenica fa passare
in ordine
cronologico personaggi ed eventi dell'Antico Testam
ento per farci vedere poi nel Vangelo e nelle lette
re di San Paolo
in che modo Gesù ha rivelato il vero significato di
questi avvenimenti. Siamo partiti tre domeniche fa
con Abramo,
poi è stata la volta di Mosè, poi di
Giosuè domenic
a scorsa, e oggi la prima lettura parla dei Giudici
di Israele. Con
Giosuè il popolo d’Israele finalmente entra nella t
erra promessa, e da popolo nomade divenne popolo se
dentario.
Col passare degli anni, abbiamo letto, le generazio
ni successive a Giosuè dimenticarono gli insegnamen
ti del Signore,
lo abbandonarono e si misero ad adorare gli idoli.
Una situazione simile a quella in cui viviamo oggi
dopo circa 3000
anni da quando accaddero queste cose, seppure in un
contesto molto diverso da quello degli ebrei. Quel
la che fino a
qualche decennio fa veniva considerata società cris
tiana, cioè una società che aveva sviluppato la sua
cultura, i suoi
modi di vivere e le sue tradizioni a partire dal va
ngelo, oggi non lo è più: il punto di riferimento o
ggi, in tutta la civiltà
occidentale, europea e americana, non è più il vang
elo, la stessa voce del Papa è solo una fra le tant
e. Ebbene, di
fronte a questa situazione, abbiamo letto che l’ira
del Signore si accese contro Israele e Dio li mise
in mano ai popoli
stranieri che li depredarono. Cioè, Israele interpr
eta i mali che gli capitano come castigo mandato da
Dio per farli
ravvedere. In realtà, come capiremo nel vangelo, di
fronte al nostro male, Dio agisce in ben altro mod
o. Semmai il
castigo è la conseguenza insita nel male stesso, ne
l senso che il frutto del male è altro male. Dopo i
l castigo, ecco che
il Signore faceva sorgere dei giudici che in sostan
za erano capi militari per liberare Israele dai nem
ici (quelli più
famosi furono Debora, Gedeone, Sansone). Ciò nonost
ante la storia si ripete: moriva quel giudice, e il
popolo tornava
ad essere infedele. E tutta la Bibbia è in sostanza
il racconto della travagliata storia di amore tra
Dio e il suo popolo,
che è poi la storia di ciascuno di noi, come si rip
eteva nelle parole del salmo: noi ci dimentichiamo
di Dio, ma lui non
si dimentica di noi e continua a fare di tutto per
salvarci dal male. Il male c’è, noi lo facciamo, ci
facciamo del male e
lo facciamo agli altri e Dio cosa fa? Continua a li
berarci, e questo è il tema delle letture di oggi.
Ma come il Signore ci
libera dal male? Eccoci al vangelo. Purtroppo i ver
setti che abbiamo letto non si capiscono se non sap
piamo quello
che era accaduto prima. Gesù aveva spiegato per tre
volte ai discepoli cos’è la Gloria di Dio. In ebra
ico gloria vuol
dire peso, quindi la gloria è la consistenza di una
persona, il suo valore. In cosa consiste il valore
di Dio? Nel fatto che
ci ama senza condizioni e ci libera dal male prende
ndo su di sé il male che facciamo e restituendoci i
l contrario. Il
male c’è e lui lo prende su di sé, e così noi siamo
liberi dal male perché scopriamo di essere amati l
o stesso così come
siamo. Ebbene, per due volte essi non avevano capit
o queste parole. Dopo averlo detto per la terza vol
ta, ecco che
Giacomo e Giovanni gli dicono: vogliamo che tu facc
ia quello che ti chiediamo. Una richiesta bella, pe
rché Gesù è
venuto apposta per fare quello che gli chiediamo, e
infatti disse loro: Che cosa volete che io faccia
per voi?, ma
sperava che finalmente avessero capito cosa domanda
rgli, e cioè la liberazione dal male che accade se
ci sentiamo
amati da Dio. Invece essi gli risposero: «Concedici
di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e
uno alla tua
sinistra». Cioè non avevano capito ancora nulla, es
attamente come noi. Per loro la gloria, il peso, il
valore di una
persona, e dunque il senso della vita risiedeva nel
l’avere, nel potere, nel diventare grandi: adesso a
ndiamo a
Gerusalemme, a Gerusalemme inizierà il Regno di Dio
e Lui sarà il re capo, quindi speriamo di diventar
e suoi primi
ministri. Perché per l’uomo la gloria è quella dei
capi delle nazioni che spadroneggiano, che dominano
; è fare il male,
è l’egoismo, è la realizzazione dell’egoismo, è ess
ere apprezzati, e infatti ci si ammazza per questo,
perché nascono
invidie e gelosie. Per Dio invece la gloria è esatt
amente il contrario, è la realizzazione dell’amore.
Infatti dice loro:
non sapete quello che chiedete, perché non avete ca
pito qual è la mia gloria, e cioè l’amore, che si r
ealizza nel
battesimo della croce, perché sulla croce Dio viene
“immerso” in tutto il nostro male. Potete bere que
sto calice? Essi
gli rispondono: possiamo, anche se non avevano capi
to nulla, e Gesù gli dice: sì, è vero, lo berrete i
l mio calice,
riceverete il mio Battesimo, perché di fatto avrete
la mia sorte, ma non spetta a me darvi il potere d
i farvi sedere alla
mia destra e alla mia sinistra. Sedere alla destra
e alla sinistra vuol dire avere lo stesso potere di
Gesù, e il potere di
Gesù è amare, ma questo potere viene dato dal Padre
a chi diventa umile e piccolo come Gesù. Interessa
nte a sto
punto vedere che gli altri apostoli si indignano co
n loro, ma perchè? Perché volevano lo stesso posto,
e quindi anche
loro non avevano capito nulla. E allora Gesù da l’a
ffondo spiegando cos’è il male da cui viene a liber
arci, il male
comune a tutti, quello di pensare che la gloria sia
comandare, tiranneggiare, avere gli altri sotto di
sé, realizzare il
proprio egoismo distinguendosi e mettendosi sopra g
li altri. E gli dice: non così fra voi. È giusto re
alizzarsi, è giusto
essere grandi e noi ci dobbiamo realizzare ed esser
e grandi, ma c’è un altro modo di essere grandi che
è un modo
divino. “Il più grande tra voi si farà servo”. La v
era grandezza, che è quella di Dio, è essere servo.
Servire è nel NT, la
traduzione concreta di amare. Amare vuol dire servi
re l’altro. Come l’egoismo vuol dire servirsi dell’
altro. Capire che
il male non è quando viene fatto del male a me, ma
quando io faccio del male a un altro, e io imparo a
non fare il
male, ma il bene, quando scopro che il più grande d
i tutti, Dio, per primo ha fatto così con me, prend
endo il mio di
male, e quindi mi sento amato così come sono, e all
ora divento a mia volta capace di fare altrettanto.
E dunque
questo va chiesto a Dio nella preghiera perché ce l
o conceda: che impariamo a renderci conto di quanto
siamo amati
per poter amare a nostra volta di questo stesso amo
re e così diventare uomini e donne veramente liberi
, capaci
come Dio di amare tutti anche se siamo odiati da tu
tti perché ci sentiamo amati così da Dio. E così ar
riviamo alle
parole di Paolo ai Tessalonicesi che dimostrano com
e l’apostolo capì davvero e visse queste cose, e in
fatti scrive di
essere stato per loro amorevole come una madre, fin
o al dono della vita, e premuroso e forte come un
padre che si
cura dell’educazione esigente nei confronti dei fig
li. Disinteressato, senza cercare favori o approvaz
ioni, con la
discrezione e la delicatezza di non approfittare di
niente, con un comportamento “santo, giusto e irre
prensibile”,
senza arrivismi. Parole che suonano di monito e di
esempio prima di tutto per noi sacerdoti. Ma che de
vono
raggiungere il cuore di ciascuno.