domenica 12 giugno 2016

IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE ANNO C

Le domeniche dopo Pentecoste, nel rito ambrosiano, ci fanno ripercorrere da Adamo ed Eva in avanti gli eventi principali della storia della salvezza così come vi ene raccontata dalla Bibbia, per scoprire ogni volt a in che modo Gesù ha realizzato, compiuto, spiegato le pagine dell’An tico Testamento. Per cui le letture sono tra di lor o collegate ed è sempre dalla prima lettura che bisogna partire per
individuare il tema di ogni domenica. E il brano di oggi è molto famoso, però occorre interpretarlo bene, come del r esto tutti i racconti dei primi undici capitoli del libro della Genesi, che ho giusto spiegato negli incontri di ca techesi degli adulti di quest’anno. Per farla breve : Caino e Abele, come Adamo ed Eva, non sono singoli personaggi stor ici, ma rappresentano tutti e ciascuno di noi: la l oro storia è la nostra storia. Il peccato di Adamo ed Eva letto dom enica scorsa qual è? Fuggire da Dio, pensarlo come nemico della gioia e non come Padre, essere noi a decidere il be ne e il male, facendo diventare bene il male e male il bene. Qual è la conseguenza? Che facendo così diventiamo come Ca ino: se Dio non è un Padre che ci vuol bene come fi gli e io lo fuggo, di conseguenza Abele non è mio fratello, e q uesto genera odio, guerra, violenza, prevaricazione , omicidi. Abele, il cui nome “hebel”, in ebraico, significa s offio, alito di vita, rappresenta la vita umana che è fragile e transitoria e soccombe davanti alla forza e alla vi olenza del più forte. Di lui nel breve brano della lettera agli Ebrei si dice che per la fede offrì a Dio un sacrificio più prezioso di quello di Caino, e nel capitolo success ivo a quello che abbiamo letto viene addirittura paragonato a Gesù, l’uomo giusto per eccellenza che viene ucciso sulla croce. Invece Caino è presentato come esempio da non imitare. Ma perché Dio gradisce l’offerta di Abele e non quella di Caino, scatenando così la sua ira nei confronti di Abele? A quei tempi, come presso molti popoli primitivi, l e offerte e i sacrifici venivano fatti per ottenere la benedizion e di Dio. Nonostante questo, poi c’erano persone a cui le cose andavano bene e quelli a cui andavano male. E allor a, coloro a cui le cose andavano male, pensavano ch e le loro offerte non fossero state gradite al Signore. Anche oggi noi spesso viene da ragionare come Caino quan do le cose vanno male, come vedete ci siamo dentro tutti. Cain o vede il benessere di suo fratello, è invidioso e si chiede: perché a lui va tutto bene e a me va tutto storto? Evident emente Dio mi sta castigando perché i miei sacrific i non gli sono graditi. Vado a Messa, prego, faccio il bene, e poi guarda cosa mi succede. Ecco l’errore di fondo. Cr edere che queste cose siano dei sacrifici e dei piaceri che noi facc iamo a Dio e per i quali egli ci debba pagare. Se n on ci paga o è perché non sono sufficienti o è perché Dio è cattiv o, per cui molti perdono poi la fede. Perché si dim entica che è esattamente il contrario: celebrare i sacramenti e compiere il bene non sono favori e dei sacrifici ch e facciamo a Dio per ottenere qualcosa, ma sono l’unico modo per res tare nel suo amore, per vivere una vita vera e aute ntica e per ricevere la forza di affrontare le croci della vita . Se invece di pensare Dio come Padre io lo penso c ome un datore di lavoro che non mi da la paga, ecco il delitto: Dio non è Padre, Abele non è mio fratello, e infatti Ab ele viene ucciso. Dov’è Abele tuo fratello? Gli chiede il Signore. No n lo so, sono forse io il custode di mio fratello? Vedete? Se non si rimane nel giusto rapporto con Dio, di conseguenza gli altri non sono miei fratelli, ma diventano nemi ci da combattere. Ma così facendo si esce dalla società, si diventa come Caino raminghi e fuggiaschi, destin ati a propria volta a subire la vendetta degli altri. Per cui c’è solo un modo per frenare il dilagare della violenz a: che nessuno tocchi Caino, che anche Caino torni ad essere consi derato un fratello, altrimenti si diventa come lui. Ecco in che modo Gesù realizza e porta a compimento tutto quest o. Ecco perché Gesù è paragonato ad Abele, il giust o, che muore per gli ingiusti, perdonando. Il perdono è l’ unica arma che può fermare il proliferare del male. Questo significa amare i nemici, come dice Gesù nel vangel o di oggi. Questo è l’autentico significato del qui nto comandamento che Gesù viene a svelare. Certo, non u ccidere: per forza, perché è il minimo che io possa fare verso l’altro. Se io uccido è impossibile la relazione. N on devo uccidere perché l’altro è mio fratello, anc he se si chiama Caino. A volte, in confessione, capita di sentire q ualcuno che dice: io sono a posto, non ho ucciso, n on ho rubato, ecc. E no, dice Gesù, io vi dico: non uccidere non significa soltanto non ammazzare qualcuno fisicamen te, ma amare i propri nemici. E tra il non uccidere fisicamente qu alcuno e l’amare i nemici vi sono in mezzo un’infin ità di sentimenti, di parole e di gesti che dimostrano concretamente s e siamo o no custodi dei nostri fratelli. Gesù ne s tigmatizza alcuni. Il sentimento dell’ira, che non a caso è un vizio capitale. L’ira è omicidio del cuore, perché nego che l’altro sia mio fratello, e allora uccido me stesso perché non mi considero figlio. E poi ci sono le parole che uc cidono più della spada. E non sono le parolacce. Stupido vuol dire d isprezzare, considerare l’altro inferiore a me, non un uomo, e quindi posso ucciderlo. Pazzo, nel senso di empio, come se l’altro fosse il male in persona da elimina re. Chi dice al fratello “pazzo” sarà gettato nel fuoco della Geenn a. La Geenna era una valle fuori le mura di Gerusal emme, dove c’era un altare al dio Moloch al quale si sacrifica vano vittime umane. Gli ebrei lo avevano dissacrato bruciandovi le immondizie. Gesù sta dicendo: chi non considera l’a ltro come fratello e lo vuole eliminare, ha sacrifi cato la propria vita di figlio e la butta nell’immondizia. Certamen te qui si aprirebbero molti discorsi circa la legit tima difesa dagli aggressori ingiusti che può comportare anche la leg ittima uccisione dell’altro, ma non possiamo addent rarci perché il discorso, molto interessante, sarebbe anche molto l ungo. Soffermiamoci solo su questa domanda: in che modo io di fatto mi sento figlio di un Dio che è Padre e cerco di amare ogni uomo come mio fratello, come ha fatt o Gesù?