domenica 19 febbraio 2017

PENULTIMA DOMENICA DOPO EPIFANIA ANNO A

Proviamo a immaginare la scena. Gesù, al mattino, nel tempio, con tutta la gente intorno a lui che lo ascolta, e improvvisamente in mezzo al tempio viene portata una donna sorpresa in adulterio, cioè una donna che era stata beccata con un altro uomo che non era suo marito, e certamente non stava prendendo un gelato o bevendo un caffè. Noi a volte non ci rendiamo conto che a quei tempi una
persona diventava adulta a 12 anni, e le ragazze si sposavano a quell’età, e non c’era pietà: hai tradito, vieni ammazzata a colpi di pietre, lapidata, anche se hai 12 anni. Una scena davvero drammatica, che a noi oggi per fortuna fa ribrezzo, ma che a quei tempi era normale, e purtroppo ci sono paesi nei quali queste cose accadono ancora. Bene, vanno da Gesù a chiedergli: questa ragazzina va uccisa o no? Ma non glielo chiesero perché a loro interessava qualcosa di quella ragazzina, ma perché volevano incastrare Gesù. Sapevano bene che Gesù non sarebbe stato d’accordo. Per cui se avesse detto di lapidarla avrebbe smentito tutto il suo messaggio e così tutti quelli che avevano creduto in lui lo avrebbero abbandonato. Ma se avesse detto di non lapidarla si sarebbe messo contro la legge e dunque lo avrebbero condannato a morte. Quindi era una buona trappola. E Gesù come risponde? In modo sorprendente, come sempre. “Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra”. Perché? Nel libro del profeta Geremia c’è scritto: i nomi di coloro che si allontanano dal Signore saranno scritti nella polvere. Quindi è come se Gesù cercasse di far capire a quella gente: guardate che se nutrite in voi sentimenti di morte, siete lontani da Dio, perché Dio è amore, e quindi siete voi ad essere già morti. E chi ha scritto la Legge è Dio, e Dio non vuole la morte. La Legge certo che serve, per far capire dove sta il peccato, ma non per uccidere il peccatore. La legge ci dice che facciamo il male. Ma Dio non l’ha data per coglierci in fallo e condannarci come trasgressori, ma per condannare il male. Se io faccio il male, faccio già il mio male, e quindi Dio vuole guarirmi da questo male, togliermelo, non aggiungere altro male. È come se io andassi dal dottore dicendo che mi sono spaccato una mano perché ho preso a pugni una persona, e il dottore, invece di curarmi, mi punisse spaccandomi anche l’altra mano. Certo che è giusto non tradire il marito o la moglie, e quando accade è un male, ma se al male si risponde facendo un male ancora più grande, uccidendo il peccatore, pensando oltretutto che così Dio è contento, non avete capito niente, anzi. Come quelli che anche oggi pensano che la pena di morte, qualunque sia il reato, sia una cosa giusta, che ci vuole. In realtà è solo un modo per trovare un capro espiatorio contro cui scagliarsi, tolto il quale si pensa vada tutto bene, e serve solo sfogare la propria violenza in modo legittimo. E poi, è un modo ipocrita per nascondere la propria invidia. Magari sono io che avrei voluto essere con quella donna, non l’ho fatto, qualcuno è stato più fortunato di me, adesso deve pagare. Vedete, Gesù, scrivendo per terra, lasciando tutti in silenzio, sta facendo una seduta psicologica. Pensavano di riuscire loro a metterlo con le spalle al muro, e invece è lui che mette loro con le spalle al muro e li costringe a guardarsi dentro. Infatti alla fine come risponde? Con la celebre frase: chi di voi è senza peccato, sia lui per primo a scagliare la prima pietra su di lei. Cioè, prima di lanciare il sasso, prima di lapidare, prova a guardare dentro di te e a chiederti perché vuoi lapidare quella persona. Per sentirti a posto? Ognuno guardi la sua coscienza. Se io guardo me stesso, non condanno più nessuno, perché capisco che il male è dentro di me. Finchè non vinco il male dentro di me, è inutile che faccia finta di risolvere il problema facendo del male agli altri. Se io imparo a giudicare me stesso nel modo in cui Dio mi giudica, capisco che Dio mi giudica come suo figlio amato, non come peccatore, e allora giudico me stesso con amore e giudico gli altri come miei simili, figli amati da Dio come me, miei fratelli, tutti sulla stessa barca, che dunque il tuo peccato potrebbe essere il mio, e se Dio dovesse rispondere al male che facciamo nel modo che faremmo e che facciamo noi, con dell’altro male, a quest’ora l’umanità sarebbe già estinta da millenni. Ed essi allora se andarono, ma probabilmente non perché capirono, ma solo perché delusi di non essere riusciti ad incastrarlo. E la scena si conclude in modo stupendo. Gesù rimase solo con la donna nel mezzo. Prima la donna era in mezzo a chi la voleva lapidare, ora è sola con Gesù. S.Agostino commenta: Sono rimasti in due, la misera e la misericordia. Cosa c’è di noi che rimane alla fine della nostra vita? Rimane la misericordia di Dio, l’amore gratuito di Dio. Ed io chi sono? Sono colui che riceve questo amore gratuito, questa è la mia essenza; alla fine resta solo questo al centro. Non più la legge, non più la condanna, non più la morte, ma la misericordia. E allora, a sto punto, c’è speranza di salvezza, quella ragazza si sente amata, viene chiamata Donna, che vuol dire Sposa, ma prima che di suo marito, sposa di Dio, e sentendosi amata così, condannata da nessuno e nemmeno da Gesù, ma solo amata, perdonata addirittura prima di essersi pentita, c’è speranza che riesca a vivere l’invito di Gesù ad andare e non peccare più, perché quando uno si sente accettato e voluto bene e perdonato è un uomo nuovo, può ricominciare a vivere. Fede, speranza e carità. Su queste virtù abbiamo riflettuto in queste giornate eucaristiche che oggi si concludono. La fede, credere in un Dio così meraviglioso, mi apre alla speranza, perché fa capire che non c’è nessuna situazione che sia senza speranza, neanche la mia, e mi permette di vivere verso gli altri la stessa carità che Dio ha per me e che continua a manifestare facendosi mangiare da me per riempirmi del suo amore e farmi diventare come lui. Tra poco più di un mese, Papa Francesco, verrà a visitare la diocesi di Milano, ma non per suscitare qualche emozione come perché è un papa simpatico, come se fosse un divo della TV, ma come colui che viene a confermare la nostra fede, a rafforzare la speranza e come colui che presiede la carità di tutta la Chiesa, per ripeterci, cioè: si, è questo è il Dio meraviglioso nel quale abbiamo fede; sulle promesse di questo Dio si fonda la nostra speranza; è Dio stesso che ci rende capaci di diventare come Lui vivendo la carità. E l’insegnamento di papa Francesco in questi anni è stato proprio su questi punti che il vangelo di oggi in qualche modo riassume tutti. Chiediamo al Signore che continui a scrivere col suo dito nella polvere del nostro cuore e a scuotere le nostre coscienze con la sua Parola di salvezza.