domenica 12 febbraio 2017

VI DOMENICA DOPO L’EPIFANIA ANNO A

Noi conosciamo il terzo comandamento nella sua traduzione più banale: ricordati di santificare le feste, che poi tradotto vuol dire ricordati di andare a messa la domenica. In realtà il comandamento dice: "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio,
né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro". Il comandamento dunque si riferisce al riposo, non ad andare a messa. Dio vuole che ci riposiamo come anche lui si è riposato. Il riposo dunque fa parte della creazione, e quindi della vita. E vuole che riposiamo con lui. Perché Dio, il settimo giorno, il sabato, dopo aver creato tutto, si fermò per godere di tutto quello che aveva fatto. E vuole che noi lo imitiamo, non che seguiamo un comandamento, che godiamo con lui per tutto quello che Egli ha fatto e che noi abbiamo fatto durante gli altri giorni. E così il settimo giorno, col riposo, Dio ha creato la pace, la lode, la gioia, e vuole che noi ci ricordiamo di lui, che lui c’è, che ci vuol bene, che non siamo schiavi del lavoro e di nessuno, e infatti il sabato per gli ebrei diventò anche il ricordo di quando Dio li aveva liberati dalla schiavitù degli egiziani. Ma cosa successe? Che per concretizzare questa cosa, furono inventati più di 1000 divieti, cioè più di 1000 lavori che in quel giorno non si potevano fare, neanche far da mangiare o accendere un fuoco o fare una scampagnata: erano solo consentiti i passi che portavano dalla propria abitazione alla sinagoga. C’erano delle eccezioni, come aiutare una donna a partorire o curare un malato, ma solo se era in pericolo di vita, altrimenti no. E chi faceva il contrario, rischiava punizioni o addirittura di essere messo a morte. Nei vangeli sono raccontati tanti episodi nei quali Gesù, vedendo questo modo di fare, si ribella, e proprio di sabato si mette a fare cose che erano proibite. Come abbiamo letto oggi nel vangelo, dove guarisce un uomo che non era in pericolo di vita perché aveva soltanto una mano paralizzata, e lo fece come provocazione, per far capire che di sabato non solo si può e si deve salvare una vita, ma in generale si deve sempre fare il bene, perché riposare in Dio, che è amore, vuol dire vivere nell’amore, che il Regno di Dio deve cominciare qui, adesso. Non fare il bene in giorno di sabato a un uomo malato è già un male. Infatti dirà: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato”. Come anche dirà che si deve lavorare per vivere, e non vivere per lavorare. C’è solo un lavoro da non fare il sabato: fare il male. E per Gesù, non fare il bene, è un male. Per i cristiani, il giorno del Signore non è più il settimo, cioè il sabato, ma il primo giorno della settimana, che era la domenica, perché in questo giorno, "il primo dopo il sabato" Gesù è risuscitato e ci ha liberato dalla schiavitù non degli Egiziani, ma dei nostri peccati e della paura della morte. Per i cristiani, la domenica diventa così non solo il primo giorno della settimana, ma addirittura l’ottavo, quello che non c’è, quello che già ci immette nell’eternità di Dio. Ebbene, I farisei avevano trasformato il dono di santificare il sabato in un obbligo, quello che era il segno della libertà, in una forma di schiavitù che rendeva impossibile la vita (e noi ripetiamo lo stesso errore quando trasformiamo in un obbligo l’andare a messa la domenica). Gesù insegna che non siamo sudditi di Dio, ma suoi figli amati. Per cui c’è un’unica legge da seguire, la legge dell’amore. Gesù fa vedere che la volontà di Dio è che noi siamo felici, e quindi tutto quel che fa bene all’uomo è buono e benedetto da Dio, mentre tutto quel che fa male non è volere di Dio, e se osservando una Legge si fa il bene, allora ok, altrimenti va ignorata. Come già fece il re Davide di cui parlava la prima lettura. La Legge prevedeva che i pani del santuario non potevano essere mangiati perché erano destinati ai sacrifici che dovevano fare i sacerdoti. Ma quando Davide coi suoi compagni entrarono nel santuario, siccome stavano morendo di fame, li mangiarono lo stesso. Ma perché Gesù guarisce proprio un uomo con la mano paralizzata? Perché la mano rappresenta le nostre azioni. Per mostrare che siamo tutti paralizzati, senza vita, senza gioia, smorti, incapaci di fare il bene e di gioire se viviamo il rapporto con Dio per senso del dovere, per paura, come un obbligo, invece che per amore, per essere cioè riempiti del suo amore ed essere dunque felici di sentirci amati, così da godere e vivere a nostra volta nell’amore verso i fratelli. Gesù è qui anche oggi per ripetere lo stesso miracolo verso ciascuno di noi. Giudicando le facce che molti hanno quando vengono a messa, il modo in cui rispondono con le parole e col canto, dove ad essere paralizzata sembra la lingua, verrebbe da chiedersi quanti sono qui a messa per dovere e quanti per amore, per ricevere l’amore di Dio, per ringraziarlo, per farsi riempire del suo amore e per imparare ad amare come Dio. E questo vale anche per tutte le altre cose della vita. Col senso del dovere non andiamo da nessuna parte se dimentichiamo lo scopo per il quale facciamo una cosa. E’ l’amore che DEVE muovere le nostre azioni, non la paura di trasgredire una norma, una legge, dimenticando a cosa serve quella legge, e magari è una legge che abbiamo deciso noi e che invece di essere giusta è sbagliata, e ci si fa poi sensi di colpa senza che vi sia nessun peccato. Faccio un esempio. Se fin da bambino sono stato continuamente spinto da mio padre a lavorare, da buon brianzolo mi sento in colpa se mi riposo e se concedo riposo a me stesso, quando invece il peccato è lavorare sempre e non concedere riposo a se stesso. Vedete? I sensi di colpa poi mi fanno stare male perché mi accorgo di non essere come vorrei, come Dio mi vorrebbe o come gli altri vorrebbero che io fossi, sto male pensando di aver deluso le aspettative di Dio e degli altri, e quindi non sono soddisfatto di me, non mi accetto come sono e penso di non essere accettato così come sono, con le mie debolezze, quando trasgredisco una legge. L’amore, invece, fa nascere il senso del peccato, perché il peccato è quando io con le mie azioni non amo Dio e gli altri, faccio del male a qualcuno che mi ama, e allora mi pento sapendo che il Signore mi accoglie lo stesso per quello che sono perché sono suo figlio amato, che egli mi ama comunque, non è deluso di me, mi perdona, e quindi l’unica cosa che devo fare è accogliere il suo amore che pian piano mi trasforma, mi redime. Per cui non vado a Messa la domenica perché altrimenti mi sento in colpa per aver trasgredito un comandamento. Ci vado per amore e solo per amore, perché capisco che è un peccato pensare di avere qualcosa di più importante da fare che andare a ricevere l’amore di Dio. Allo stesso modo, non faccio del male a qualcuno, ma gli faccio del bene, non per paura di essere punito, ma perché lo voglio amare. Capite che con questa prospettiva cambia tutto il nostro modo di agire? E anche lo spirito con cui veniamo a messa? E uno sarebbe qui con lo spirito non di chi spera che la predica sia breve così la messa finisce presto e può andare a casa a preparare il pranzo. AVVISO Venerdì, sabato e domenica prossima ci sarà la proposta delle giornate eucaristiche dove ci saranno molte occasioni per stare davanti al Signore per adorarlo, per sentirsi amare da Lui. Alcuni purtroppo, soprattutto i più anziani, magari le vivranno per senso del dovere, per tradizione, se no si sentono in colpa se non vengono. Alcuni non verranno neppure perché avranno cose più importanti da fare che passare anche solo qualche minuto con Dio. Beati coloro che invece avranno permesso al Signore di guarire le loro paralisi non alla mano, ma ai piedi, impediti a muoversi dal divano di casa per venire in chiesa non per ricevere bastonate, ma per godere dell’amore di Dio.