domenica 21 maggio 2017

VI DOMENICA DOPO PASQUA ANNO A

Il Vangelo di oggi è proprio il seguito di quello di domenica scorsa, e infatti comincia con Gesù che dice: vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Già, ma qual era il vangelo di domenica scorsa? E quali erano queste cose? Questo è il nostro problema di sempre: che siccome è già tanto se ci ricordiamo quello che abbiamo mangiato a pranzo, figuriamoci se ci ricordiamo del
vangelo di domenica scorsa. Peccato che in questo modo la Parola di Dio rischia di passarci sopra la testa anziché trasformarci. Le parole conclusive del brano della lettera ai Corinzi di oggi, spesso riprese dal nostro cardinale, sono molto eloquenti: noi abbiamo il pensiero di Cristo! Certo, il problema è che se la Parola del Signore non penetra in noi perché noi ce ne dimentichiamo appena usciti di chiesa, questo pensiero sarà dura che si radichi in noi! Eppure è proprio il vangelo di oggi a venire in soccorso a questo tragico deficit che ci portiamo appresso, e infatti si dice che lo Spirito santo che il Padre manda nel nome di Gesù ci insegna ogni cosa e ci ricorda tutto ciò che Gesù ha detto. Cerchiamo di capire bene questa cosa. Gesù, nel vangelo di domenica scorsa aveva detto: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Gesù sta dicendo: “la prova che mi amate non è il fatto che siete qui adesso, ma che vi amate tra voi come io vi ho amati, se fate della vostra vita un dono d’amore a servizio degli altri. E se fate così, io e il Padre veniamo ad abitare in voi”. E’ fondamentale questa cosa. Vuol dire che Dio non è esterno a noi, ma dentro di noi, e l’amore di Dio si manifesta quando e se noi ci amiamo a vicenda. Noi, anche quando preghiamo, siamo portati a pensare Dio e a rivolgerci a Lui come se fosse un’entità estranea a noi. È vero che noi adoriamo il santissimo sacramento che è esterno a noi, ma quando ce ne nutriamo diventa interno a noi, il suo corpo nutre il nostro corpo perché noi diventiamo come lui, il suo sangue diventa la nostra vita. Ma questa affermazione di Gesù non riguarda soltanto la vita dell’individuo, ma anche il passaggio attraverso la morte. Si usa dire che quando muore una persona va in cielo, è tornata alla casa del Padre, invece no, non si va in cielo, perché il cielo è in noi, non si va alla casa del Padre, perché noi siamo già ora questa casa. Quindi questa è l’affermazione straordinaria di Gesù. Se la comprendiamo, cambia il nostro rapporto con Dio. Capiamo che Dio non assorbe le energie dell’uomo, ma gli comunica le sue, le potenzia, e soprattutto che Dio non chiede di vivere PER lui (come siamo abituati a dire), ma di vivere DI LUI, di diventare come Lui, e possiamo farlo se (ed eccoci alla frase del vangelo di oggi) ci RICORDIAMO che il suo amore ci precede. Ed è lo Spirito santo a ricordarcelo, perché Dio è spirito, il Padre e il Figlio sono dentro di noi con il loro Spirito, lo Spirito santo, che è appunto l’amore di Dio. Gesù lo chiama Paraclito, cioè consolatore, dove consolare vuol dire non far sentire solo chi si sente solo, e lo Spirito non ci fa sentire soli perché ci fa sentire abitati dall’amore di Dio, ci fa ricordare il suo amore che mai abbandona. Per cui, la preghiera non è, come facciamo troppo spesso, chiedere a Dio (entità esterna), di fare qualcosa per i nostri bisogni, ma è prendere contatto con il suo Spirito in noi, sentirlo presente, ricordare la sua Parola, venirne consolati e ricevere la forza che ne deriva, e così gustarne gli effetti. E gli effetti quali sono? Lo dice chiaramente Gesù: la pace. Ed è proprio quando non mi sento in pace il momento giusto per ricordare che invece sono abitato dallo Spirito di Dio. Il nostro problema, dicevo all’inizio, è proprio la dimenticanza, e infatti noi conosciamo molto bene l’inquietudine e la tristezza. Ebbene, paradossalmente sono proprio quelli i momenti che aiutano a non dimenticare questa presenza e così sperimentare questa pace che si trasforma in gioia, perché la pace e la gioia ci sono quando mi sento amato e non mi sento più solo. Se non ho amore, sono inquieto e non ho gioia. Ma Gesù spiega bene cos’è questa pace. Non è quella del mondo. Perché, vedete, per pace si può intendere tante cose. Ad esempio l’intervallo tra una guerra e un’altra. Quando domina il violento e il più debole non ha ancora la forza per ribellarsi e sta in pace per forza se no gli va peggio. Questa non è pace, è morte. La pace non è neanche quella stoica che se anche il mondo crolla, io sono impassibile e insensibile a tutto. E nemmeno quella del “chi si accontenta gode”. È la pace di chi sa che c’è un amore più grande della morte, che non sono abbandonato, che Dio è in me, che io divento come Dio quando in mezzo al male continuo a rispondere col bene. L’esempio più eloquente ci viene dato dalla testimonianza di Pietro e degli apostoli che viene raccontata in questi giorni pasquali dal libro degli Atti. E’ pazzesca questa cosa, se riusciamo a capirla. Pietro è stato arrestato perché? Perché aveva guarito un uomo nel nome di Gesù. E’ accusato per il bene che ha fatto. Uno fa il bene e viene punito. Perché? Perché il bene intacca in radice il criterio del male, che è l’egoismo, cioè il dominio sugli altri. Tu mi fai il male, e io ti rispondo non facendotene altrettanto o di più, ma facendoti del bene, e così il male si arresta. Si, però sono io a subirlo. Esatto. Allora non ne vale la pena?. Invece si. Perché faccio come Gesù, e quindi divento come Dio, il suo amore dimora in me, come si diceva all’inizio, e io sono nella pace, la vera pace.