domenica 7 maggio 2017

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO A

Nel vangelo di domenica scorsa, se ricordate, Giovanni Battista diceva che Gesù è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, una frase che durante la messa viene sempre ripetuta dal prete prima della comunione. Il peccato del mondo, spiegavo, è pensare che Dio non ci ama e che noi dobbiamo fare i bravi per meritarci il suo amore. Gesù, col suo sangue sulla croce, toglie questo peccato, lo
cancella, perché fa vedere che non è vero, che è vero il contrario: quelli che lo uccidono vengono perdonati, a quelli che gli tolgono la vita, lui gliela dona. Come un povero agnello innocente: viene ucciso e con la sua carne fa mangiare chi lo ha ucciso. Vale anche per gli altri animali che noi mangiamo. Ma a differenza degli animali che noi uccidiamo senza chiedergli il permesso e senza che essi lo vogliano, Gesù ci fa vedere che Dio non si difende, ma proprio si dona: più facciamo il male, più lui risponde dandoci amore, perché uno che fa il male vuol dire che non si sente amato, e allora Dio ragiona così: se fai il male perché non ti senti amato, se tu mi fai il male io ti amo ancora di più, così ti riempio del mio amore che è proprio quello che ti manca, e in questo modo forse prima o poi smetterai di fare il male. E nel vangelo di oggi, invece, Gesù dice di essere non un agnello, ma un pastore, che sembra il contrario, perché il pastore è quello che invece guida gli agnelli, li porta al pascolo. Gesù dunque è insieme sia l’agnello sia il pastore. Ma non un pastore qualunque, e neanche il buon Pastore, come abbiamo letto, perché i vangeli sono scritti in greco e poi tradotti in tutte le lingue, e spesso le traduzioni sono sbagliate. In greco non c’è scritto “agatos” che vuol dire buono, ma “kalos”, che vuol dire bello, che significa “il vero”. Gesù è il pastore vero. Vuol dire che ci sono anche i pastori falsi, quelli che egli chiama mercenari. Il mercenario è chi agisce per proprio tornaconto: vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, perché non gli importa delle pecore e dice: io non voglio mica fare la loro fine, morire mangiato dai lupi. Il vero pastore, invece, dice Gesù, dà la propria vita per le pecore. Una cosa che, se ci pensate, è strana, perché un pastore normale, per quanto buono, è difficile che preferisca morire lui al posto delle sue pecore se vede venire un lupo. Un pastore normale, però. Infatti Gesù è il vero pastore. Che da la vita sia ai lupi perché si lascia mangiare da loro, e lasciandosi mangiare da loro salva gli agnelli dai lupi. E perché lo fa? Lo abbiamo detto prima: perché Gesù si identifica con gli agnelli, con le pecore. Vedete, sono tutte immagini per parlare di una cosa sola: dello smisurato amore di Dio che sempre tutti perdona perché lui per primo si è fatto uno di noi. Ci può guidare come un pastore guida le pecore perché lui per primo ci conosce: come il Padre conosce me e io conosco il Padre, così io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. “Conoscere”, nella Bibbia, è un verbo importante. Non vuol dire sapere come uno si chiama, ma è il verbo della relazione, dell’intimità. Dio ci conosce non nel senso che sa tutto e ci guarda storto se sgarriamo, ma nel senso che proprio perché ci ha fatto lui e lui stesso si è fatto uno di noi, proprio perché è insieme agnello e pastore, ci ama per quello che siamo e quindi, belli o brutti, non abbiamo motivi per nasconderci, per vergognarci, per sentirci fuori posto, per fare finta di apparire migliori di quello che siamo. Ci sono persone, ne sento sempre tante, che quando si sentono fuori posto non vengono più in chiesa, non si sentono di entrare. Perché succede? Perché non hanno capito che Dio non è un legislatore che da leggi, ma è un Padre che da l’amore. Davanti a una legge io mi nascondo se mi sento fuori posto, davanti a chi mi ama no. Gesù conosce l’amore del Padre e lo comunica a noi perché lo conosciamo anche noi e viviamo con Dio un intimo rapporto d’amore. Il cristiano si comporta come Gesù perché lo ama, non perché c’è una regola da seguire. Se vengo a messa perché la domenica si va a messa, per seguire una regola, io esco di chiesa uguale a prima. Se vengo a messa per incontrare l’amore di Dio, uscirò risorto, diverso. (Ma Gesù, poi, aggiunge che ci sono altre pecore che deve portare fuori dal recinto, per dire che egli è venuto a tirar fuori ogni uomo da ogni recinto, ad abolire tutti gli steccati e fare di tutta l’umanità un popolo di persone libere che sono figli tutti diversi e tutti fratelli nella diversità. Perché Dio non ha nemici, non fa guerra a nessuno, ha solo dei figli da amare ai quali dona la sua stessa vita e il suo stesso amore). E, aggiunge, “ascolteranno la mia voce”. Non la mia parola. La parola è un messaggio, la voce non è un contenuto, ma un’emozione, una musica. La parola posso scriverla, la voce no. Quante volte diciamo a qualcuno che amiamo di aver bisogno di ascoltare la sua voce, non la sua parola. Così deve essere il rapporto col Signore. (E saranno un solo gregge, virgola, un solo pastore. I discepoli di Gesù si rapportano con lui col cuore prima di tutto. Non si dice un solo gregge e un solo pastore, ma un solo gregge, virgola, un solo pastore, perché pastore e gregge sono la stessa cosa: un gregge di persone tutte libere e figlie che sono uguali al Pastore che si è fatto agnello. Insomma, Gesù sta dicendo che l’amore di Dio si manifesta quando tutti gli uomini imparano ad amarsi come fratelli e a farsi servi gli uni degli altri. Punto. Questa è la volontà di Dio. Per questo la Chiesa fin dall’inizio, lo abbiamo letto nel brano degli Atti degli Apostoli, istituì da subito i sette diaconi per servire alle mense, e il sette è un numero simbolico che indica la totalità: tutta la Chiesa, come ripete il Papa, ha lo scopo di manifestare l’amore di Dio accogliendo e servendo ogni uomo, abbattendo ogni muro di separazione). Vedete, e concludo, purtroppo penso che queste cose molti fanno fatica a capirle perché per troppo tempo la Chiesa, nella persona di vescovi o preti, non tutti, ha educato a seguire delle leggi, forse pensando che se uno fa le cose per amore è troppo libero e c’è pericolo che non le faccia, con la legge si. Oggi è la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Vocazione vuol dire chiamata: Gesù che ci chiama a seguirlo, ognuno in modo diverso. Il prete, in particolare, è colui che è chiamato ad essere nella chiesa come Gesù, agnello e pastore. Chissà perché i preti, le suore, i missionari sono così pochi? Eppure, caspita, di questi tempi, permettetemi una battuta, c’è il posto di lavoro garantito, crisi lavorativa non ce n’è. Purtroppo penso che la risposta sia più semplice di quello che sembra. Perché sono ancora troppi i cristiani che vivono la fede, il rapporto con Dio, non come rapporto d’amore che dona gioia, ma con una legge e una serie di regole che generano solo frustrazione. E quindi se uno non capisce com’è bello essere discepolo di Gesù, come si può pensare che possa essere bello donare a lui tutta la vita?