domenica 18 giugno 2017

CORPUS DOMINI

Le parole di Gesù che abbiamo appena letto sono talmente gravi che, al termine di queste, gran parte dei suoi discepoli lo abbandonerà e non tornerà più con lui. Vediamole allora da vicino. Siamo nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni che è tutto un insegnamento sull’Eucaristia. Gesù inizia dicendo «Io sono», e tutte le volte che nel Vangelo di Giovanni Gesù dice “Io sono” è per dire: Dio sono io,
perché “Io sono” era il modo col quale Dio aveva pronunciato il suo nome a Mosè, e quindi già questa cosa mandava su tutte le furie i capi dei Giudei perché per loro era una bestemmia, un uomo che diceva di essere Dio. «Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno»”. Il cielo indica Dio, il pane è l'alimento che serve per vivere, come la manna mandata da Dio al popolo di Israele quando era nel deserto, e la vita eterna non è un premio che ci aspetta un giorno se oggi facciamo i bravi, ma è la vita stessa di Dio. Dunque Gesù sta dicendo: se voi vi nutrite di me, diventate anche voi Dio come me. Pensiamoci: questa è una cosa pazzesca anche per noi oggi. Ma cosa vuol dire nutrirsi di Lui? Se lo chiedevano anche i Giudei: “come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Infatti Gesù aveva detto: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». La carne rappresenta l'uomo nella sua debolezza. Quello che Gesù sta dicendo è molto importante: non sono gli uomini con la loro fragilità che devono cercare Dio, ma è Dio che ci viene incontro nella nostra fragilità. Dio non è fuori di noi, ma è dentro di noi, nella nostra carne, e si è fatto uomo in Gesù proprio per farci vedere questa cosa. Ed ecco che Gesù prosegue: «In verità, in verità io vi dico»”, e quando Gesù dice così è perché sta per dire una cosa fondamentale: «Se non mangiate la carne del figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita». Gesù si rifà all’immagine dell’agnello, l’agnello pasquale. La notte dell’Esodo, Mosè aveva comandato agli ebrei di mangiare la carne dell’agnello perché avrebbe dato loro la forza di iniziare questo viaggio verso la liberazione, e di aspergere il sangue sugli stipiti delle porte perché li avrebbe risparmiati dal passaggio dell’angelo della morte. Quindi Gesù sta dicendo: dovete mangiare la mia persona, cioè dovete assimilarvi a me per poter così diventare come me, sono io che vi do la forza di farlo, e dovete bere il mio sangue per avere il mio sangue, come una trasfusione, perché il sangue è la vita, e se avete il mio sangue avete la vita di Dio dentro di voi, e siete liberi non dalla morte terrena, ma dalla morte definitiva, e questo sangue è lo Spirito santo che ci è stato dato. E per essere ancora più chiaro ripete: “Chi mangia la mia carne”. Ma il verbo greco non è mangiare, bensì masticare, spezzettare, per mostrare appunto che aderire a lui è qualcosa di molto concreto. Infatti ripete: «Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna». E la vita eterna, abbiamo detto, è la vita stessa di Dio, non è un premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma una possibilità di vivere adesso una vita vera. Infatti Gesù non dice “avrà la vita eterna”, ma “ha la vita eterna”. La vita eterna c’è già. E si ottiene quando si diventa come Gesù facendo della propria vita un dono d’amore per gli altri. «E io lo risusciterò nell’ultimo giorno». L’ultimo giorno non è la fine dei tempi. L’ultimo giorno, nel vangelo di Giovanni, è il giorno in cui Gesù, morendo, comunica il suo Spirito, il suo sangue, la sua vita, che ci fa risorgere, che ci fa diventare come Lui. Insomma, qui Gesù sta dicendo che Dio non è qualcosa di astratto, di lontano, non è un legislatore a cui obbedire con delle regole, ma Dio è dentro di noi, vuole fondersi con noi, prendere la nostra carne per darci la sua vita, per farci diventare come Lui: «chi mastica la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui». Dio è qualcosa di così concreto come il pane e il vino che diventano la sua persona di cui nutrirci. Quando viviamo il rapporto con Dio come un dovere o un qualcosa in più, per cui anche l’Eucaristia diventa un peso perché si aggiunge alle tante cose da fare la domenica, è perché non abbiamo capito le cose dette da Gesù, non abbiamo capito che Dio non è uno che assorbe le nostre energie, ma colui che le potenzia perché ci da la sua forza, la sua vita. Quello di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con gli uomini e dilatarne la capacità d’amore. «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me per manifestare il suo amore senza limiti, e io vivo per il Padre, così anche colui che mastica me, vivrà per me». E vivere per lui vuol dire diventare come lui dando a nostra volta la vita ai fratelli, diventando noi stessi eucaristia. Dicevo all’inizio che queste parole di Gesù sono talmente gravi che, al termine di queste, gran parte dei suoi discepoli lo abbandonerà e non tornerà più con lui. Certo, perché è più facile vivere il rapporto con Dio in modo esteriore: Dio è lì, io sono qui, cerco di fare quello che chiede così sono a posto e sarò ricompensato, vengo a messa e sono a posto. E no, non è così: Dio è dentro di te, prende la tua carne per assimilarti a lui e farti diventare come lui, e se diventi come lui hai una vita che non muore mai, ma diventare come lui vuol dire amare i fratelli come lui, vivere nell’amore, ed è lui a dartene la forza. E’ più facile chiedere a Dio di fare lui quello che dovremmo fare noi. Gesù ci da la forza di fare noi quello che noi chiediamo di fare a Dio. Per questo molti se ne andarono. E noi che invece siamo qui, abbiamo davvero capito?