domenica 23 luglio 2017

VII DOMENICA DOPO PENTECOSTE ANNO A 2017

Voi sapete che le domeniche dopo Pentecoste del nostro rito ambrosiano sono scelte in base a un tema che le tiene unite, che viene introdotto presentando di volta in volta, in ordine cronologico, un personaggio e un avvenimento dell’AT per far vedere come il volto di Dio che il popolo d’Israele pian piano riesce ad intuire, ancora con molte luci ed ombre, poi si svela in pienezza con la venuta di
Gesù, e infatti i brani di vangelo sono collegati con la prima lettura. E così, dopo aver incontrato Abramo due domeniche fa e Mosè domenica scorsa, oggi è la volta di Giosuè, il successore di Mosè, che conduce il popolo d’Israele nella terra promessa e, dopo aver attraversato il fiume Giordano, fa erigere dodici pietre come memoria perenne del fatto che Dio aveva salvato il suo popolo dall’Egitto, come ripetevano le parole del salmo con cui abbiamo pregato, e quindi oggi il tema è quello della salvezza, da cui nasce la domanda che viene rivolta a Gesù nel vangelo: sono pochi quelli che si salvano? E cioè: chi si salva? Al tempo di Gesù il popolo di Israele pensava di essere l’unico a salvarsi. Cos’è la salvezza? È il problema principale di ogni uomo. Salvezza vuol dire salvarsi la pelle, è questo è del resto il motore di ogni nostra azione. Noi vogliamo esser salvati da tante cose, tutte le cose che non ci piacciono, le malattie, le miserie, le cattive relazioni, le ingiustizie, il male, la malattia e, da ultimo, la morte. Tutte cose che ci mettono paura. E’ dalla paura che abbiamo bisogno di essere salvati. La paura che ci sia sempre qualcosa che guasta la nostra vita. Siamo schiavi di mille paure. Quindi la salvezza è qualcosa che riguarda la nostra vita presente, la nostra felicità adesso, e non solo se andremo in Paradiso o all’Inferno dopo la morte. E allora vediamo come risponde Gesù alla domanda “sono pochi o tanti quelli che si salvano?”. E le sue prime parole, di primo acchito, lasciano basiti perché in sostanza dice che c’è il serio rischio che la porta della salvezza sia chiusa, però dice anche si sforzarsi (di lottare) per passare attraverso questa porta quando è aperta, perché è una porta stretta. Non solo: quelli rimasti fuori dalla porta sembra che siano proprio quelli che pensavano di essere in comunione con Dio, e tra questi possiamo esserci noi che siamo qui a mangiare e bere con lui partecipando all’eucaristia, ad ascoltare i suoi insegnamenti, e anche tutti gli appartenenti al popolo d’Israele fedeli a tutti i dettagli prescritti dalla Legge di Mosè. Dice Gesù: “Dio dirà: Non so di dove siete”, cioè non vi conosco, e citando le parole del salmo 6 aggiunge: “Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”, cioè tutti voi che fate il male. Eppure noi chiamiamo Gesù col titolo di Salvatore. Vedete, purtroppo anche oggi sono troppi i cristiani ad essere vittime e succubi di un’educazione religiosa ancora simile a quella che si viveva ai tempi di Gesù e proprio dalla quale Gesù è venuto a salvarci, questo è il paradosso. Quella di credere che Dio sia un padrone da temere, che ci premia (e cioè ci salva) se da bravi servi mettiamo in pratica tutte le sue leggi, che dunque guarda i nostri meriti e pretende sacrifici per poi premiarci. E così, o ci sentiamo sempre indegni ed esclusi dalla salvezza quando trasgrediamo le sue leggi oppure ci arrabbiamo con Dio quando, mettendole in pratica, poi vediamo che le cose vanno male lo stesso, tanto è vero che molti dicono: ho pregato, sono venuto a Messa, ho fatto questo e quest’altro e a cosa è servito se poi mi sono capitate delle disgrazie? Dov’è la salvezza di Dio se a quelli che invece fanno il male poi va tutto bene? (il che poi non è vero, però si dice così) Ecco, Gesù è venuto proprio a salvarci da queste diaboliche idee, mostrandoci che Dio non è questo. Diaboliche perché menzognere. Gesù è il Dio che si è fatto uomo per farci vedere che Dio è in noi col suo Spirito non per premiarci o castigarci o per cambiare le cose che non vanno bene, ma per farci sentire che non siamo suoi servi, ma suoi amici, suoi simili; che non siamo servi, ma figli amati da un Dio che è Padre; che non siamo noi che dobbiamo servire lui, ma che è lui ad essere venuto a servire noi; che non dobbiamo essere degni per accoglierlo, ma è lui che ci rende degni, riempiendoci del suo amore che non ci abbandona nemmeno nel momento della morte, e così ci salva dalla paura della morte. E il suo amore ci fa diventare simili a Lui. Per cui io sono salvo quando mi sento amato gratis da Dio e amo gli altri gratis come Dio ama me. Questa è l’unica Legge di Dio che ci salva, come dice san Paolo nell’epistola ai Romani, che uno sia circonciso come gli ebrei o non circonciso. Per cui la porta della salvezza è stretta perché da essa ci passa non chi è gonfio di orgoglio e di egoismo, ma si svuota perché ama. Si salva non chi crede in lui, ma chi ama come lui. Chi partecipa all’eucaristia, ma poi non è capace di farsi pane, di fare della sua vita pane, alimento di vita per gli altri, chi ascolta il suo insegnamento, ma la sua esistenza non si trasforma, per lui ci sarà “pianto e stridore di denti”, un’immagine che indica il fallimento della propria vita. Noi in italiano diciamo “mettersi le mani nei capelli”. “Quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe (i grandi patriarchi) e tutti i profeti nel regno di Dio (i profeti sono coloro che hanno denunciato il culto verso Dio e il disinteresse verso i poveri) e voi invece cacciati fuori”. La comunione con Dio che ci salva si realizza solo quando si trasforma in amore verso gli altri. E questo vale per tutti: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno (i quattro punti cardinali indicano tutte le parti del mondo pagano) e siederanno a mensa nel regno di Dio.” Gesù, quando deve presentare il regno di Dio non lo presenta con simboli liturgici religiosi, ma sempre conviviali, quindi una mensa. Ebbene a questa mensa sono esclusi i primi, cioè quelli che ritengono di esserlo per diritto, e vi partecipano gli ultimi, quelli ritenuti esclusi. Noi normalmente interpretiamo questa espressione nel senso che gli sfortunati (gli ultimi) un giorno saranno premiati in Paradiso. Ma non è così. Tanto è vero che siccome il problema è la sofferenza che uno vive al presente, si è coniata la frase: beati gli ultimi se i primi sono onesti. Che poi in fondo è proprio questo che vuol dire Gesù: la salvezza, la gioia è adesso per tutti se tutti impariamo a vivere amandoci come fratelli. Non sono salvo perché sono battezzato e vengo a messa e nemmeno perché mi sforzo di amare gli altri, come se Dio premiasse chi fa così e castigasse gli altri che non hanno la mia cultura, la mia fede, le mie idee. Io vengo a messa per alimentare la consapevolezza del dono del battesimo che mi ha reso figlio amato e poter così ricevere la forza di amare, perché è solo vivendo secondo la legge dell’amore, sentendomi amato da Dio e amando i fratelli, che io realizzo la mia esistenza. E questo vale per ogni uomo sulla faccia della terra.