Voi sapete che le domeniche dopo Pentecoste del nostro rito ambrosiano sono scelte in base a un tema che le tiene
unite, che viene introdotto presentando di volta in volta, in ordine cronologico, un personaggio e un avvenimento
dell’AT per far vedere come il volto di Dio che il popolo d’Israele pian piano riesce ad intuire, ancora con molte luci
ed ombre, poi si svela in pienezza con la venuta di
Gesù, e infatti i brani di vangelo sono collegati con la prima
lettura. E così, dopo aver incontrato Abramo due domeniche fa e Mosè domenica scorsa, oggi è la volta di Giosuè, il
successore di Mosè, che conduce il popolo d’Israele nella terra promessa e, dopo aver attraversato il fiume
Giordano, fa erigere dodici pietre come memoria perenne del fatto che Dio aveva salvato il suo popolo dall’Egitto,
come ripetevano le parole del salmo con cui abbiamo pregato, e quindi oggi il tema è quello della salvezza, da cui
nasce la domanda che viene rivolta a Gesù nel vangelo: sono pochi quelli che si salvano? E cioè: chi si salva? Al
tempo di Gesù il popolo di Israele pensava di essere l’unico a salvarsi. Cos’è la salvezza? È il problema principale di
ogni uomo. Salvezza vuol dire salvarsi la pelle, è questo è del resto il motore di ogni nostra azione. Noi vogliamo
esser salvati da tante cose, tutte le cose che non ci piacciono, le malattie, le miserie, le cattive relazioni, le ingiustizie,
il male, la malattia e, da ultimo, la morte. Tutte cose che ci mettono paura. E’ dalla paura che abbiamo bisogno di
essere salvati. La paura che ci sia sempre qualcosa che guasta la nostra vita. Siamo schiavi di mille paure. Quindi la
salvezza è qualcosa che riguarda la nostra vita presente, la nostra felicità adesso, e non solo se andremo in Paradiso
o all’Inferno dopo la morte. E allora vediamo come risponde Gesù alla domanda “sono pochi o tanti quelli che si
salvano?”. E le sue prime parole, di primo acchito, lasciano basiti perché in sostanza dice che c’è il serio rischio che la
porta della salvezza sia chiusa, però dice anche si sforzarsi (di lottare) per passare attraverso questa porta quando è
aperta, perché è una porta stretta. Non solo: quelli rimasti fuori dalla porta sembra che siano proprio quelli che
pensavano di essere in comunione con Dio, e tra questi possiamo esserci noi che siamo qui a mangiare e bere con lui
partecipando all’eucaristia, ad ascoltare i suoi insegnamenti, e anche tutti gli appartenenti al popolo d’Israele fedeli a
tutti i dettagli prescritti dalla Legge di Mosè. Dice Gesù: “Dio dirà: Non so di dove siete”, cioè non vi conosco, e
citando le parole del salmo 6 aggiunge: “Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”, cioè tutti voi che fate
il male. Eppure noi chiamiamo Gesù col titolo di Salvatore. Vedete, purtroppo anche oggi sono troppi i cristiani ad
essere vittime e succubi di un’educazione religiosa ancora simile a quella che si viveva ai tempi di Gesù e proprio
dalla quale Gesù è venuto a salvarci, questo è il paradosso. Quella di credere che Dio sia un padrone da temere, che
ci premia (e cioè ci salva) se da bravi servi mettiamo in pratica tutte le sue leggi, che dunque guarda i nostri meriti e
pretende sacrifici per poi premiarci. E così, o ci sentiamo sempre indegni ed esclusi dalla salvezza quando
trasgrediamo le sue leggi oppure ci arrabbiamo con Dio quando, mettendole in pratica, poi vediamo che le cose
vanno male lo stesso, tanto è vero che molti dicono: ho pregato, sono venuto a Messa, ho fatto questo e quest’altro
e a cosa è servito se poi mi sono capitate delle disgrazie? Dov’è la salvezza di Dio se a quelli che invece fanno il male
poi va tutto bene? (il che poi non è vero, però si dice così) Ecco, Gesù è venuto proprio a salvarci da queste
diaboliche idee, mostrandoci che Dio non è questo. Diaboliche perché menzognere. Gesù è il Dio che si è fatto uomo
per farci vedere che Dio è in noi col suo Spirito non per premiarci o castigarci o per cambiare le cose che non vanno
bene, ma per farci sentire che non siamo suoi servi, ma suoi amici, suoi simili; che non siamo servi, ma figli amati da
un Dio che è Padre; che non siamo noi che dobbiamo servire lui, ma che è lui ad essere venuto a servire noi; che non
dobbiamo essere degni per accoglierlo, ma è lui che ci rende degni, riempiendoci del suo amore che non ci
abbandona nemmeno nel momento della morte, e così ci salva dalla paura della morte. E il suo amore ci fa diventare
simili a Lui. Per cui io sono salvo quando mi sento amato gratis da Dio e amo gli altri gratis come Dio ama me. Questa
è l’unica Legge di Dio che ci salva, come dice san Paolo nell’epistola ai Romani, che uno sia circonciso come gli ebrei o
non circonciso. Per cui la porta della salvezza è stretta perché da essa ci passa non chi è gonfio di orgoglio e di
egoismo, ma si svuota perché ama. Si salva non chi crede in lui, ma chi ama come lui. Chi partecipa all’eucaristia, ma
poi non è capace di farsi pane, di fare della sua vita pane, alimento di vita per gli altri, chi ascolta il suo
insegnamento, ma la sua esistenza non si trasforma, per lui ci sarà “pianto e stridore di denti”, un’immagine che
indica il fallimento della propria vita. Noi in italiano diciamo “mettersi le mani nei capelli”. “Quando vedrete Abramo,
Isacco e Giacobbe (i grandi patriarchi) e tutti i profeti nel regno di Dio (i profeti sono coloro che hanno denunciato il
culto verso Dio e il disinteresse verso i poveri) e voi invece cacciati fuori”. La comunione con Dio che ci salva si
realizza solo quando si trasforma in amore verso gli altri. E questo vale per tutti: “Verranno da oriente e da
occidente, da settentrione e da mezzogiorno (i quattro punti cardinali indicano tutte le parti del mondo pagano) e
siederanno a mensa nel regno di Dio.” Gesù, quando deve presentare il regno di Dio non lo presenta con simboli
liturgici religiosi, ma sempre conviviali, quindi una mensa. Ebbene a questa mensa sono esclusi i primi, cioè quelli che
ritengono di esserlo per diritto, e vi partecipano gli ultimi, quelli ritenuti esclusi. Noi normalmente interpretiamo
questa espressione nel senso che gli sfortunati (gli ultimi) un giorno saranno premiati in Paradiso. Ma non è così.
Tanto è vero che siccome il problema è la sofferenza che uno vive al presente, si è coniata la frase: beati gli ultimi se i
primi sono onesti. Che poi in fondo è proprio questo che vuol dire Gesù: la salvezza, la gioia è adesso per tutti se tutti
impariamo a vivere amandoci come fratelli. Non sono salvo perché sono battezzato e vengo a messa e nemmeno
perché mi sforzo di amare gli altri, come se Dio premiasse chi fa così e castigasse gli altri che non hanno la mia
cultura, la mia fede, le mie idee. Io vengo a messa per alimentare la consapevolezza del dono del battesimo che mi
ha reso figlio amato e poter così ricevere la forza di amare, perché è solo vivendo secondo la legge dell’amore,
sentendomi amato da Dio e amando i fratelli, che io realizzo la mia esistenza. E questo vale per ogni uomo sulla
faccia della terra.