domenica 30 luglio 2017

VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE ANNO A

Le letture di oggi ci parlano della vocazione: Samuele chiamato da Dio ad essere profeta; Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni chiamati da Gesù a diventare pescatori di uomini; Paolo chiamato ad annunciare alle genti, cioè ai popoli pagani, il Vangelo. Non dimentichiamo mai che ogni volta che leggiamo queste storie dobbiamo ascoltarle non come racconti riferiti a personaggi del passato, ma
come Parola che il Signore dice a ciascuno di noi oggi, e quindi questi personaggi siamo noi. Prima di tutto cerchiamo di chiarire cosa è la vocazione, una parola che significa chiamata. Chiamata presuppone uno che chiama e un altro che è chiamato e deve rispondere. Ed è qualcosa che riguarda tutti. La vita non ce la siamo data da soli, il mondo dove viviamo nemmeno, gli altri, le persone che ci circondano neppure. Quindi la vita, il mondo, gli altri, tutto ci interpella, tutto ci chiama. Vocazione dunque è il mestiere di vivere, è come vivere la vita, come rispondere al dono della vita, come rispondere agli altri, come interagire con le persone che mi circondano, insomma, come vivere la propria vita. E capirlo non è facile, occorre molto discernimento, bisogna anche essere umili per farsi aiutare, magari non basta nemmeno una vita per capire fino in fondo qual è la propria vocazione. Eppure è fondamentale impiegare sforzi ed energie per farlo, altrimenti il rischio è di essere infelici tutta la vita, vivere la vita come portando addosso degli abiti sbagliati. Capite bene, dunque, come sia stupido continuare a pensare la vocazione come qualcosa che riguarda solo chi diventa prete o suora. Bene. Detto questo, la vocazione cristiana nasce dal rapporto col Signore Gesù. Un rapporto d'amore. Gesù ci chiama a diventare suoi fratelli sentendoci come lui figli amati da un Dio che è Padre, ad essere uomini e donne liberi da ogni paura, prima di tutto la paura della morte, a far diventare la nostra vita un capolavoro imparando a viverla nell'amore dei fratelli, vincendo ogni forma di egoismo, e quindi a vivere nella gioia, ad essere beati, non dopo la morte, ma adesso, in questa vita. Per cui il punto non è diventare preti o suore, sposarsi, fare il medico o l'imbianchino. Il punto è imparare a conoscere Gesù, ad ascoltare la sua Parola per conoscerlo, e poi in ciascuno questa Parola darà il suo frutto e piano piano uno capirà quale forma deve assumere la sua vita perché diventi un capolavoro, capendo qual è la strada che fa per lui decidendosi a percorrerla. Se noi tutti che siamo qui non impariamo ogni giorno, come per anni ci ha insegnato il cardinale Martini, a fare come Samuele (lo leggevamo nella prima lettura) a dire: Parla Signore che il tuo servo ti ascolta; se anche i genitori non insegnano ai figli, come Eli con Samuele, fare così; se non siamo noi per primi a metterci con questo atteggiamento davanti a Dio, anche ora che siamo qui in chiesa; cosa succede? Succede non tanto che non ci saranno più vocazioni particolari come diventare preti o suore, ma che non esiste più il cristianesimo. Detto ciò, vorrei concludere provando a spiegare tre aspetti della vocazione che emergono dalle letture di oggi. Dicevo che ognuno di noi deve identificarsi sempre in tutti i personaggi di cui parlano le Scritture: è così che il Signore parla a ciascuno, è così che ci chiama, poi ognuno deve rifletterci su e pregarci. Bene, Samuele, dicevo, è chiamato a diventare profeta. Anche noi. Siamo tutti diventati profeti dal giorno del Battesimo. Profeta vuol dire una cosa bellissima: non predire il futuro, ma parlare al posto di qualcuno, in questo caso al posto di Dio, e parlare più con testimonianza della vita che non con le parole. Una bella responsabilità. Ma come si fa a parlare al posto di Dio, nel suo nome, e soprattutto a evitare di far dire a Dio cose che Dio nè pensa nè ha mai detto? Esattamente facendo quello che dicevo: imparando ad ascoltare la sua Parola per conoscerlo. Qui uno potrebbe dire: ma io non ce la faccio, sono un poveretto, questo devono farlo altre persone. Ecco l'errore. Proprio ascoltando la Parola di Dio scopriamo una cosa meravigliosa. In tutta la Bibbia in che modo il Signore sceglie le persone? Giusto per fare qualche esempio. Per liberare il suo popolo dalla schiavitù in Egitto Dio chi sceglie? Mosè, che era un ricercato per omicidio e per di più balbuziente. E i profeti? Uno dice io sono troppo giovane, un altro io non sono capace di parlare. Il criterio del Signore è che lui sceglie quello che noi avremmo scartato. Quando a san Francesco uno dei suoi frati, forse per gelosia, chiese come mai avesse scelto proprio lui che non era bello, non era colto, non era nobile, Francesco rispose perché il Signore guardando sulla terra non aveva trovato uno più disgraziato di lui. E il Vangelo di oggi cosa ci fa vedere? Che Gesù sceglie quattro semplici pescatori della Galilea. La Galilea, la regione a nord di Israele, era abitata da poveri, bifolchi e da gente violenta. Nazaret e Cafarnao, i luoghi dove Gesù abitavano, guarda caso erano in Galilea. Quindi nessuno deve sentirsi autorizzato a dire: io non sono degno di questa chiamata. Nessuno è degno, è Dio che col suo amore ci rende tutti degni. Bene, questi pescatori di pesci sono chiamati a diventare pescatori di uomini. Che significa pescatori di uomini? Mentre pescare il pesce significa tirar fuori il pesce dal suo habitat naturale per dargli la morte, pescare gli uomini significa 8rarli fuori dall’acqua, simbolo del male, simbolo della morte, per salvarli, per dare loro vita. Quindi la proposta di Gesù è di andare dietro di lui per comunicare vita a tu:a l’umanità. Meraviglioso. A questo siamo chiamati tutti noi che siamo qui in chiesa, io come prete, voi come laici, a fare la stessa cosa, seppur in modi diversi. Questa cosa la capisce molto bene San Paolo che nel brano di oggi dice proprio bene di essere stato chiamato ad annunciare questa cosa oltre i confini di Israele, a tutte le genti. È quello che ha fatto la Chiesa da sempre e che continua a fare. E la Chiesa appunto siamo noi.