domenica 16 febbraio 2020

PENULTIMA DOPO EPIFANIA

La tematica di questo celebre episodio, riassunta dal titolo che la liturgia dà a questa penultima domenica dopo l’Epifania, ovvero “domenica della divina clemenza”, pone a ciascuno di noi un interrogativo fondamentale che è questo: in quale Dio crediamo o in che Dio vogliamo credere? Il Dio legislatore di cui avere paura che punisce chi trasgredisce le sue Leggi oppure il Padre
unicamente buono che non guarda i meriti delle persone, ma che ama sempre e comunque tutti i suoi figli? Non è un interrogativo da poco. Anche oggi, dopo 2000 anni, la misericordia di Dio, la divina clemenza, continua a scandalizzare. C’è chi oggi non si scandalizza più di niente, nemmeno del male. Però ci sono ancora persone che si dicono cristiane e che continuano a scandalizzarsi della Misericordia di Dio, che faticano ad accettare che il Dio che Gesù rivela sia solo ed unicamente buono. Sebbene Gesù avesse detto: beato chi non si scandalizzerà di me. Come si fa a scovare queste persone? È facile. Proviamo anche adesso a fare un esperimento. Sentendo ripetere l’annuncio di un Dio misericordioso, che non guarda i meriti, che sempre perdona, che mai condanna (come ci mostra il vangelo di oggi), che ama tutti, potrebbe esserci anche qui qualcuno che ad un certo punto si sentirebbe in dovere di dire: “si, ma Dio è anche giusto!”. Guardate che in questa critica ci siamo tutti noi! Quando una persona, un farabutto, scampa alla giustizia, cosa dice solitamente la persona devota e timorata di Dio? “Sì, ma non scamperà alla giustizia divina!”. Ebbene, si, Dio è giusto, ma nel linguaggio biblico, il giusto è colui che resta fedele alle sue promesse. Per cui, certo che Dio è giusto, ma non nel senso che intendiamo noi, che premia e castiga chi se lo merita, ma nel senso che resta sempre fedele alla sua promessa d’amore, per cui Dio è giusto proprio perchè è sempre misericordioso. Noi potremo essere infedeli, ma egli continua ad esserci fedele. Non si lascia condizionare dal nostro comportamento. Già, ma allora (ecco un’altra obiezione), tanto vale: uno fa quello che vuole, va avanti tutta la vita a comportarsi male, tanto poi alla fine Dio perdona sempre e comunque! Molte volte mi sono sentito rivolgere questa obiezione, come se per altro fossi io a sostenere questa cosa non fosse invece Gesù ad avere detto queste cose. Come rispondere a questa obiezione? In un modo solo. Convertendoci e credendo al Vangelo, alla Parola di Gesù, cioè cambiando mentalità e imparando a vedere le cose come le vede Dio. Dio vuole il nostro bene, la nostra gioia, e la gioia, nella vita, è quando ci sentiamo amati e impariamo ad amare a nostra volta. Il nostro bene, la nostra gioia, sta nel fare il bene, non il male. Il male noi umani lo facciamo per tristezza, per mancanza di amore. Ciò che realizza la nostra vita, ciò che ci rende veramente umani, è quando la nostra libertà sceglie per il bene. L’egoismo che porta a pensare solo a sè stessi fregandosene degli altri o compiendo il male verso gli altri, nasce dalla tristezza, da una mancanza d’amore. Chi compie il male ha già la sua punizione, quella di distruggere la propria umanità e, purtroppo, anche quella degli altri. È come se uno mangia un cibo scaduto o velenoso: non ha bisogno di ulteriori punizioni, ma del medico. E non ha bisogno di un medico che gli dica: ben ti sta, adesso muori, ma di un medico che lo curi. Ecco perché Dio perdona sempre, perchè a fronte della tristezza provocata dalla mancanza d’amore che porta a compiere il male, siccome vuole il nostro bene, cosa fa? Reagisce precisamente donando gratuitamente l’unica medicina in grado di guarire, cioè il suo amore. Se poi, una volta ricevuta questa medicina, io continuo lo stesso a fare il male, perchè tanto Dio mi perdona, sono io ad essere scemo, perchè non ho capito che se voglio realizzare la mia umanità ed essere felice non devo compiere il male, ma il bene. È proprio donando amore all’adultera del vangelo, è proprio non condannandola, che a quella donna viene donata la possibilità di mutare atteggiamento. Ci sarebbero un’infinità di cose stupende da spiegare riguardo questa pagina evangelica. Lo farò nell’incontro del lunedì. Ma uno dei due punti centrali di questo episodio è precisamente quello che ho cercato di dire. Ce n’è un secondo, collegato a questo, e che forse è ancora più importante. E cioè il fatto che Gesù voglia smascherare l’ipocrisia di tutti coloro che erano lì per condannare a morte quella donna. Perchè è vero che il male lo sente sempre non chi lo fa, ma chi lo subisce. Se io ti pesto un piede, il male lo senti tu, non io. Ma è proprio per questo che, siccome il male non lo sente chi lo fa fino a quando poi è lui a subirlo a propria volta, spesso è molto difficile avvedersi dei propri peccati ed è facilissimo vedere quelli degli altri, e quindi ergersi a giudici implacabili. Se Dio rispondesse al male che compiamo col nostro stesso metro di misura, cioè facendone altrettanto a noi, l’umanità sarebbe scomparsa appena comparsa sulla terra. Se al male degli altri anche noi reagiamo facendone dell’altro, lapidando le persone, se non con le pietre, certamente in altri modi non meno pesanti, otteniamo come risultato il moltiplicarsi del male, e cadiamo nell’ipocrisia, come se a fare il male fossero sempre gli altri, mentre io sono immacolato. Invece siamo chiamati a diventare costruttori del Regno di Dio, e se ripetiamo al Signore “venga il tuo Regno” vuol dire che gli stiamo chiedendo la forza di diventare suoi collaboratori, di vivere come figli che amano i fratelli, e siamo qui a celebrare l’eucaristia proprio per ricevere dal Signore quell’amore di cui abbiamo bisogno per vivere così.