domenica 2 febbraio 2020

PRESENTAZIONE DI GESU’ AL TEMPIO

Come racconta l’evangelista, Gesù bambino viene portato al Tempio perché la Legge ebraica prevedeva che i primogeniti venissero presentati al sacerdote per essere presentati, cioè consacrati, al Signore, e questo era un segno per dire che quel bambino è un dono di Dio, che appartiene a Dio. E’ una cosa bellissima, questa. Presentare a Dio un figlio e lasciarlo a Dio vuol dire riconoscere che un
figlio non è proprietà dei genitori, e permettere così che sia Dio ad agire nella vita di una persona. E tutti noi siamo figli di questo Dio: quindi, lo scopo della nostra vita è quello di permettere al Signore di agire col suo Spirito dentro di noi, vivendo come suoi figli amati e amando gli altri con lo stesso amore di Dio, come ha fatto Gesù. Non a caso, oggi, la Chiesa celebra la “Giornata mondiale della vita consacrata”. Di per sé tutti siamo consacrati a Dio dal giorno del nostro Battesimo, apparteniamo a lui, però ci sono anche uomini e donne che avvertono più di altri la grandezza dell’amore di Dio, scelgono una vita di speciale consacrazione, vivendo questo amore senza formare una famiglia propria: la loro famiglia è fatta dalle persone che incontrano sul loro cammino, alle quali si donano. Sono i cosiddetti “religiosi”, i frati e le suore. E’ una vocazione speciale perché appunto non è per tutti. Ma è una vocazione che diventa un dono per tutti, perché richiama a tutti che la sorgente della nostra gioia è l’amore di Dio e che tutti, in paradiso, vivremo immersi totalmente in questo amore. Questi consacrati, in qualche modo, anticipano su questa terra l’amore che tutti vivremo dopo la morte. Se notate, ho parlato di frati e suore, non di preti, perché il prete è un’altra cosa, e uno potrebbe essere prete anche se si sposasse, e infatti penso che tutti abbiate letto le recenti discussioni all’interno della Chiesa su questo argomento, però qui mi fermo perché questo non è un argomento adatto per un’omelia. Semmai ne parleremo in qualche catechesi o negli incontri del lunedì. Tornando invece alla presentazione di Gesù bambino al Tempio, se ci pensiamo bene, Gesù però non aveva bisogno di essere consacrato a Dio, e infatti, quando i suoi genitori lo portano al Tempio, non arriva un sacerdote ad accoglierlo, ma un profeta, Simeone, che lo prende tra le braccia e riconosce che quel bambino è Dio stesso, che dunque non ha bisogno di essere consacrato a nessuno, anzi. Con Gesù le cose si ribaltano: è Dio a consacrarsi a noi, che si dona a noi, che si fa prendere in braccio, per poterci poi abbracciare lui nell’ora della nostra morte! Infatti Simeone pronuncia una bellissima preghiera, che tutti dovreste imparare a memoria, perché è la preghiera ufficiale della Chiesa da dire prima di andare a letto, quando muore il giorno: Signore, è tutta la vita che ti aspetto, ora posso morire in pace, perché ho capito che la salvezza, il senso della vita sei tu. E, in questa preghiera, Simeone dice che Gesù è la “luce” con la quale Dio rivela la sua salvezza a tutte le genti, a tutti i popoli. E’ una frase importantissima, a partire dal termine “luce”. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dirà di sè stesso di essere la luce che illumina il mondo. Cosa vuol dire? Noi non vediamo la luce, ma vediamo le cose che vengono illuminate dalla luce. Se siamo ciechi non vediamo nulla, ma se abbiamo occhiali con lenti sbagliate vediamo male, se le lenti sono gialle vediamo giallo e se sono rosse vediamo rosso. Dire che Gesù è “luce” vuol dire che è lui a farci vedere la realtà con gli occhi di Dio. Le stesse cose ognuno le vede a seconda della luce da cui si fa illuminare, a seconda degli occhiali che porta. Noi siamo chiamati a portare gli occhiali di Dio, cioè a vedere le cose con gli occhi di Gesù, e questo è possibile se impariamo ad ascoltare, a comprendere e a lasciarci guidare dalla sua Parola. Ma è davvero così? Proviamo a fare qualche esempio. Il primo esempio ce lo forniscono proprio le parole della preghiera di Simeone. Gli ebrei pensavano di essere solo loro il popolo eletto, che i popoli stranieri fossero dominatori da cui difendersi o popoli da sottomettere, e invece no: la “luce” della rivelazione di Gesù è che la salvezza, l’amore di Dio, si estende a tutti i popoli della terra. Come è attuale questa verità in un mondo nel quale continuano a sussistere ancora oggi forme di violenza, razzismo, antisemitismo. Se indosso gli occhiali di Dio, ecco che ogni uomo diventa un fratello da amare. Un altro esempio. Oggi celebriamo anche la “Giornata nazionale in difesa della vita”, nascente e morente. Un bimbo nel grembo materno, se non indosso gli occhiali di Dio, posso vederlo come un ammasso di cellule che si può sopprimere con l’aborto, se invece indosso questi occhiali lo vedo come creatura da custodire e difendere. Un malato terminale, senza gli occhiali di Dio, viene considerato un peso per la società e, sentendosi un peso, sarà normale che chieda per sé l’eutanasia, mentre con gli occhiali di Dio diventa un fratello speciale da curare con amore. Altri esempi. Senza gli occhiali di Dio, ciò che conta per essere felici è avere, possedere, dominare, schiacciare gli altri; con gli occhiali di Dio si scopre che il senso della vita è donare, servire, perdonare. Senza gli occhiali di Dio la morte del corpo è un nemico di cui avere paura, mentre con gli occhiali di Dio, alla luce della Pasqua, la morte del corpo diventa una sorella, perché ci immette nell’abbraccio di Dio. Potremmo andare avanti con mille altri esempi. Ognuno provi ogni giorno a mettersi alla prova per vedere se indossa o meno gli occhiali di Dio, se davvero la parola del Signore è “luce” della sua vita: prima di parlare, di esprimere un parere o di prendere decisioni, ognuno provi sempre a chiedersi se quello che pensa, che dice o che vuole fare è illuminato dalla luce del Signore oppure no.