sabato 25 luglio 2020

VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Le letture di questa domenica parlano della vocazione. La lettura racconta la vocazione del piccolo Samuele che poi diventerà profeta di Israele, e il brano di Vangelo quella di Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, chiamati da Gesù a seguirlo. Dietro questi nomi ci sono dei volti, delle storie, delle persone ben precise, per indicare che la vocazione è qualcosa che riguarda ogni persona, nessuno 

escluso. Però molti pensano che la vocazione consista nel fatto che Dio ha già deciso quello che ognuno deve fare nella vita, per cui si tratta di scoprire questo misterioso progetto e rispondere di sì. Ma se fosse davvero così, Dio sarebbe un burattinaio, noi dei burattini, e poi Dio sarebbe ingiusto, perché non si spiegherebbe come mai Dio abbia voluto che io diventassi prete, che un altro diventasse commesso al supermercato o che un altro restasse disoccupato a vita. In realtà, se leggessimo attentamente e cercassimo di capire tutti i racconti di vocazione contenuti nella Bibbia e nei vangeli, ci accorgeremmo che le cose non stanno propriamente così. Limitiamoci ai racconti che oggi ci offre la liturgia, e partiamo dal racconto della vocazione di Samuele, un racconto nel quale si spiega in che modo Dio parla, a chi parla, e cosa chiede, cioè qual è il suo progetto, la sua volontà su ogni uomo. Si dice anzitutto che Samuele sente una voce che gli parla nel sonno, e qui viene in mente anche Giuseppe, lo sposo di Maria, a cui Dio si rivolge per dirgli di non temere a sposarla e poi di scappare in Egitto. Ma il sonno, il dormire, il sogno, non vogliono indicare che Dio parla quando dormiamo, ma si riferiscono a quello stato di quiete in cui l’uomo rientra in sè stesso e dice, come Samuele: parla Signore che il tuo servo ti ascolta. Nella nostra mente albergano parole che suscitano pensieri, desideri e decisioni di ogni tipo. Come si fa per capire quelli che vengono da Dio? Non è facile. Infatti Samuele addirittura confonde la voce di Dio scambiandola per quella di Eli. Eli era connivente col male che facevano i suoi figli, i quali, invece di servire il popolo, facevano i loro interessi. Quindi, sebbene Eli appaia in una luce positiva perché dice a Samuele “non sono io che ti sto chiamando”, in realtà è un personaggio negativo, infatti Samuele sarà chiamato da Dio proprio a riferirgli le sue malefatte. E dunque simboleggia proprio quelle voci, quei pensieri malvagi che possiamo scambiarli per qualcosa di buono. E dunque Dio parla quando riusciamo a mettere la mente in quello stato di quiete e silenzio per permettere a Dio di parlare al nostro spirito e riuscire così a distinguere ciò che viene da lui e ciò che viene dal maligno. Così Dio parla. E a chi parla? O meglio, chi riesce a distinguere la sua voce? Samuele è piccolo. Gesù dirà che solo chi si fa piccolo potrà penetrare i misteri di Dio. Piccolo vuol dire non bambino, ma umile, servo di tutti, infatti Samuele era a servizio di Eli. Quindi la voce di Dio la possono comprendere coloro che non nutrono sentimenti e desideri di gloria, di potere, di possesso, di egoismo, di vendetta, ma lasciano emergere sentimenti e desideri di bontà, verità, bellezza, giustizia, gioia, pace, perdono, servizio. E infatti che cosa chiede il Signore a Samuele, qual è il progetto di Dio, la sua volontà? Gli chiede di riferire ad Eli il male che aveva commesso. Ed è sempre a questo che Dio chiama ogni uomo: a vivere secondo le sue leggi, leggi che si riassumono sempre in una sola, quella dell’amore, a vivere secondo verità e giustizia nei confronti degli altri. Che poi è quello che insegnerà Gesù e che si riassume proprio in quell’invito un po’ misterioso che Egli rivolge nel Vangelo di oggi ai quattro pescatori che chiama a seguirlo diventando pescatori di uomini. Essi erano intenti nel loro lavoro. Uno può vivere il lavoro e la vita rivolto su di sè, pensando solo al proprio benessere, a pescare pesci. Gesù invece li chiama a diventare come lui, pescatori di uomini. Cosa vuol dire questa espressione? Se tu togli un pesce dall’acqua che è il suo habitat naturale lo uccidi. Se invece togli un uomo dell’acqua lo fai vivere. Dio ci chiama a vivere una vita pienamente umana, e insegnerà che questo accade quando si impara a capire che Dio è Padre, che noi siamo figli amati e, di conseguenza, si impara a vivere ogni attività della vita, anche il proprio lavoro, a servizio degli altri, per il bene di tutti, giudicando gli altri come fratelli, anche i nemici. Altrimenti si vive la vita in apnea, come se si stesse affogando in mare, pieni di paure che generano angosce e fanno nascere l’egoismo. Dio è colui che ci toglie da queste acque di morte e ci immerge nel suo immenso amore capace anche di superare la morte. Ecco dunque cos’è questa vocazione, in cosa consiste questo misterioso progetto che Dio ha su ciascuno di noi. Lo spiega San Paolo nel brano della lettera agli Efesini: avere la stessa eredità di Cristo, cioè farci diventare come Gesù, vero uomo, così da avere il suo stesso destino di risurrezione. A questo siamo chiamati tutti in forza del Battesimo. Poi ognuno dovrà comprendere in che modo vivere questa vocazione comune a tutti. Quindi, vedete, non c’è un Dio che governa e che ha già stabilito tutto, che io diventi prete e che uno diventi commesso al supermercato. Non ci sono vocazioni di serie A e di serie B. Spetta a ciascuno guardare dentro di sè, capire i propri limiti e le proprie capacità e inclinazioni per scoprire in che modo, in che forma vivere quelle stesse cose a cui Dio chiama appunto ogni uomo.