sabato 1 agosto 2020

OMELIA IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE ANNO A

Come ho già avuto modo di spiegare tempo fa, per capire il collegamento tra le letture che vengono proclamate nel rito ambrosiano nelle domeniche dopo Pentecoste occorre partire dalla prima lettura, poi passare al vangelo e concludere con san Paolo che fa il riassunto. 

Il punto di partenza è la prima lettura che ogni domenica presenta in ordine cronologico alcuni racconti dell’Antico Testamento. Oggi viene presentato il momento in cui il re Davide prende coscienza del proprio peccato. Cos’era successo in precedenza? Proprio lui, chiamato ad essere re di Israele, chiamato a proteggere il suo popolo come un pastore il suo gregge, si era macchiato di un grave delitto, solo per assecondare un suo capriccio e per fare i suoi interessi. Mentre i suoi uomini erano in battaglia, Davide, sulla terrazza del suo palazzo, aveva scorto la bellissima Betsabea, moglie di Uria, suo valoroso capitano. La vuole, decide di averla, commette uno stupro e quando in seguito lei gli comunica di essere incinta, Davide entra nel panico, non vuole assumersi le proprie responsabilità e farà di tutto per attribuire la gravidanza al legittimo marito. Lo fa rientrare dalla battaglia come fosse una licenza premio e lo manda a casa dalla moglie, ma Uria non se la sente di passare la notte con la moglie mentre i suoi soldati sono in guerra, e così Davide decide di farlo uccidere chiedendo al suo generale che Uria venisse messo in prima fila nella battaglia. Così Uria morirà e Davide sposerà la vedova, facendo buon viso a cattivo gioco. Betsabea sarà la madre di Salomone, successore di Davide, ma a quale prezzo! Oltretutto Betsabea diventerà una donna di ferro, capace di tenere lei le redini del regno, trasformandosi in abile manipolatrice negli intrighi di corte, riuscendo ad ottenere che suo figlio Salomone diventasse re. E Davide, il carnefice, diventerà vittima del suo stesso crimine. La sua vita familiare sarà un inferno. Non saprà costruire vere relazioni affettive con le donne. L’unica esperienza di amore incondizionato riuscirà a viverla, Davide, nella sua amicizia con Gionata e non sarà in grado nemmeno di controllare i suoi figli che si sbraneranno tra di loro. A crimine commesso, ed è il brano della lettura di oggi, il profeta Natan riuscirà a mettere il re di fronte alla gravità delle sue azioni, con la parabola della pecorella che abbiamo letto. Davide si indigna sentendo parlare di un uomo ricco che aveva tutto quello che voleva e fa uccidere un pover uomo colpevole di non avergli dato l’unica pecorella che egli aveva. Non si rende conto che Natan stava parlando di lui, perché il male sono sempre gli altri a farlo, è facile guardare il male degli altri e non accorgersi del proprio. Ecco chi è l’uomo paralitico del vangelo di oggi: è Davide, e potrebbe essere chiunque di noi. Ecco cos’è il peccato: qualcosa che ci paralizza, che impedisce di camminare, di correre, di vivere, di vedere le cose nel giusto verso. Ecco perché Dio perdona sempre e Gesù gli dice: ti sono rimessi i tuoi peccati. Dio è uno che continua a perdonare sempre, perché è l’unico modo per continuare ad infondere vita a chi la perde per colpa del peccato. Il peccato è una cosa sola: è il male che facciamo al prossimo. Facendo così, non solo non riconosciamo Dio come Padre, non solo distruggiamo gli altri perché non li consideriamo fratelli, ma distruggiamo noi stessi perché non ci riconosciamo come figli, quindi distruggiamo la nostra umanità, creiamo l’inferno. Siamo noi a creare l’inferno, non Dio. Dio, al contrario, insegna Gesù, non spara sulla Croce Rossa, ma continua a infondere amore col perdono perché, sentendoci amati da un amore più grande, vi sia speranza di cambiamento. Dio non castiga mai, dunque. È il male che liberamente compiamo a ritorcersi contro noi stessi. E il Signore non vuole, per questo perdona. Eppure, oggi come allora, questa meravigliosa notizia, continua ad essere giudicata una bestemmia, ma da chi? Dai benpensanti, da quelli che ragionano nella logica del delitto/castigo, quando però il castigo riguarda sempre gli altri, appunto perché sono sempre gli altri che sbagliano. Noi da che parte stiamo? Almeno noi che siamo qui? Come la pensiamo a riguardo? San Paolo conclude dicendo queste splendide parole: Cristo ci ha fatto conoscere la gloria di Dio, che è questa che abbiamo detto. Un Dio che non distrugge un vaso di creta come siamo noi, per cui non c’è situazione umana, anche la peggiore, quando ci si sente tribolati, sconvolti, perseguitati dove Dio non possa intervenire affinchè non veniamo schiacciati o ci abbandoniamo alla disperazione. Neppure di fronte alla morte. Uno pensa che l’unica certezza sia che dobbiamo morire, eppure Gesù ribalta anche questa certezza, perché con la sua risurrezione ci mostra che la morte è solo del corpo se dentro di noi, come scrive san Paolo, abbiamo la stessa vita di Gesù. Se abbiamo dentro di noi la stessa vita di Gesù, noi siamo vivi già ora e lo saremo sempre, perché la vita di Gesù è la stessa vita di Dio, e la vita di Dio è l’amore, perché è solo l’amore che ci permette di vivere una vita pienamente umana, mentre il peccato è ciò che ci paralizza. Per questo il Signore, di fronte al nostro peccato, non si arrende mai. Siamo noi, purtroppo, ad arrenderci, a dire: sono fatto così. Siamo sempre noi, nel bene e nel male, artefici del nostro destino.