sabato 8 agosto 2020

X DOMENICA DOPO PENTECOSTE ANNO A

Le letture di questa domenica ci aiutano a rispondere a una domanda: dove abita Dio? Adoriamo Dio nella sua dimora, abbiamo ripetuto come ritornello del salmo. Ma qual è la dimora di Dio? Domenica scorsa la lettura parlava del re Davide, oggi si parla del momento in cui il suo figlio e successore, il re 

Salomone, costruisce a Gerusalemme il grandioso tempio che conteneva l’Arca dell’Alleanza che a sua volta custodiva le Tavole della Legge date da Dio a Mosè, un po’ come le nostre chiese contengono il tabernacolo che custodisce la presenza eucaristica di Cristo. Per questo anche noi diciamo che le nostre chiese sono la dimora, la casa di Dio. Ma Salomone, dopo aver fatto costruire il tempio, si rende conto, lo abbiamo letto, che Dio non può essere contenuto in un edificio: “i cieli dei cieli non possono contenerti, tantomeno questa casa che io ho costruito”. Salomone stesso ammette che Dio aveva detto a Davide che non aveva scelto una città per costruirvi una casa, ma aveva scelto Davide stesso perché governasse il suo popolo. Vuol dire che Dio sceglie come sua casa, sua dimora, non edifici di pietra, ma la carne degli uomini. Con Gesù questa cosa sarà ancora più evidente perché, in Gesù, Dio diventa uomo, per cui la casa di Dio siamo noi, Dio abita in noi e agisce attraverso di noi. Siamo noi il tempio in cui Dio abita. San Paolo lo spiega nelle stupende parole della prima lettera ai Corinzi: non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in noi? Una verità, questa, talmente rivoluzionaria che ancora oggi fatichiamo a comprendere: Dio non devo cercarlo chissà dove, ma entrando nel profondo del mio essere dove egli abita col suo Spirito. Come si fa a fare questo? Lo si fa con un esercizio di preghiera che purtroppo solo in pochi cercano di imparare a fare: creando nella mente e nel cuore il silenzio, mettendo a tacere tutti i nostri pensieri che come le nuvole nascondono il sole e mettendosi in ascolto della Parola di Dio, della sua voce. E quando questa Parola ci fa sentire figli amati dal Padre come Gesù, ecco che il nostro spirito si unisce allo Spirito santo, e in noi nascono quei sentimenti che sempre san Paolo in un passo della lettera ai Galati elenca: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Tutto ciò che è contrario a questi sentimenti, non viene da Dio. Certo, poi è necessario che questi sentimenti si traducano nella vita concreta, e qui mi collego alla pagina di vangelo. La scena descritta si svolge proprio nel tempio di Gerusalemme, che però, ai tempi di Gesù, non era più quello di Salomone che era stato distrutto dai babilonesi, ma un altro, costruito successivamente. Ebbene, nel tempio di Gerusalemme vi era la cassa del tesoro dove tutti erano tenuti a mettere i soldi che poi dovevano servire per soccorrere le vedove e gli orfani. Di solito questo vangelo viene spiegato dicendo che Gesù loda la vedova che mette dentro tutto quello che aveva per vivere, a differenza dei ricchi che gettavano solo una parte delle loro ricchezze. In realtà, gli studi più recenti del vangelo, stanno portando molti studiosi a ritenere il contrario. Gesù non sta lodando quella donna, ma la sta commiserando. Lei non avrebbe dovuto gettare niente nella cassa del tesoro, a differenza degli altri, perché i soldi della cassa erano destinati proprio a persone come lei. Quella di Gesù è dunque un’accusa gravissima nei confronti di chi ha come tesoro della propria vita il denaro, la cupidigia, l’interesse, il potere, cioè esattamente i sentimenti che impediscono di sentire la presenza di Dio dentro di sé e di entrare in comunione con lui. Potrà stare nel tempio o in chiesa tutto il giorno sciorinando litanie e preghiere illudendosi di adorare il Signore, ma sta adorando solo se stesso. Ecco, io penso che la Parola del Signore che oggi abbiamo avuto la grazia di ascoltare e che ho cercato un po’ di spiegare, faccia emergere tante magagne che ci toccano da vicino. Nonostante il fatto che Salomone avesse compreso che un edificio di pietra non può contenere Dio, lo costruì lo stesso, e anche noi cristiani abbiamo costruito chiese, perché gli uomini hanno bisogno di luoghi e spazi in cui trovarsi per celebrare la liturgia. Ma la liturgia non è solo un rito. L’eucaristia non finisce quando usciamo di chiesa, ma è proprio uscendo di chiesa che la nostra vita deve diventare eucaristia, altrimenti in chiesa siamo una cosa e fuori di chiesa un’altra. Ma c’è di più: se non si capisce che il tempio di Dio siamo noi, uno pensa che solo venendo in chiesa può vivere il rapporto con Dio. I mesi del lock down in cui non si poteva partecipare all’eucaristia in chiesa hanno evidenziato molto bene queste schizofrenie. Chi pensa che il suo rapporto con Dio si può dare solo venendo a Messa, si è trovato spaesato, perduto, magari ha anche smesso si pregare, dimenticando di essere battezzato e cresimato, e che dunque Dio abita in noi comunque, non solo quando si viene a Messa. D’altro canto, chi è sempre venuto a Messa solo per dovere o costrizione, ecco che adesso fa molta fatica a tornare, non perché ha paura di un possibile contagio o perché gli dà fastidio segnalare la sua presenza tramite internet, ma perché gli fa comodo o seguirla in casa o non seguirla affatto: non aveva capito prima e continua a non capire adesso il valore dell’eucaristia e di come sia fondamentale celebrarla fisicamente insieme agli altri, non attraverso uno schermo. E nel contempo, anche quando eravamo tutti chiusi in casa e non si poteva venire in chiesa, se noi siamo tempio di Dio, vuol dire che la sua presenza era possibile comunque sperimentarla, soprattutto vivendo la carità almeno nella propria famiglia, e se non l’avessimo fatto la colpa non è né di Dio né del Coronavirus, ma solo nostra che fatichiamo ancora dopo 2000 anni a comprendere la novità del vangelo.