domenica 23 agosto 2020

DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA

 Date a Cesare quel che è di Cesare. Questa frase di Gesù è diventata così celebre che la conosciamo tutti, però va intesa bene. Non vuol dire che siccome la Chiesa e lo Stato sono due realtà diverse, allora non devono esserci intromissioni della Chiesa nella vita civile, come se la fede sia una cosa privata e  il vangelo deve restare confinato nelle parrocchie e nelle sacrestie. 

Anzi, Gesù dirà che i suoi discepoli devono essere sale, luce, lievito del mondo, e sono i primi che devono denunciare le ingiustizie quando ci sono. La fede non è una cosa privata: il vangelo, la parola di Gesù è una cosa che deve muovere tutta la vita di un cristiano, e quindi anche il suo agire sociale, perché il cristiano è anche un cittadino. Per capire bene cosa vuol dire questa frase, prima dobbiamo capire cosa vuol dire la seconda parte dell’espressione, quando Gesù di restituire a Dio quel che è di Dio. Che cos’è di Dio? Cosa bisogna dare a Dio? A Dio dobbiamo restituire l’amore che Lui ha per noi, e come glielo restituiamo? Amando il prossimo. Se amiamo il prossimo, allora possiamo restituire a Cesare quel che è di Cesare, perché Cesare è lo Stato, e noi siamo cittadini di uno Stato, e perciò, restituire a Cesare quel che è di Cesare vuol dire ognuno deve fare la sua parte, essere un buon cittadino che si preoccupa del bene di tutti, che non pensa solo ai suoi interessi, e quindi che fa la sua parte. L’impegno civile e sociale di un cristiano è fondamentale: nessuno deve sottrarsi. Quando si dimentica questo e il cristiano per primo non vive da buon cittadino, è normale che poi non nascano politici cristiani capaci di vivere l’impegno politico per quello che deve essere, e cioè la più alta forma di carità, come diceva Paolo VI. Perché tre più tre sarà sempre sei, ma posso avere sei polli e mangiarli tutti io o posso dividerli tra dodici persone e sarà sempre sei, dipende dall’uso che ne faccio. Quando la politica è considerata una cosa sporca perché i politici pensano solo ai loro interessi, non va mai dimenticato che i politici non nascono come funghi, ma nella nostra società, sono figli della nostra società, e chi è che fa la società? È ciascuno di noi. Spesso uno parla dello Stato come di qualcosa che non lo riguarda. Lo stesso quando si parla della Chiesa. Ci sono io e c’è lo Stato, ci sono io e c’è la Chiesa. No, tutti facciamo parte dello Stato e ogni battezzato fa parte della Chiesa che è il corpo di Cristo, chiamata ad essere nello Stato e nel mondo sale della terra e luce del mondo. Quando dalle nostre comunità cristiane non nascono politici in grado di vivere la politica come forma di carità, occorre davvero farsi tutti un serio esame di coscienza. In forza del Battesimo siamo chiamati ad essere collaboratori di Gesù nel costruire il Regno di Dio, ma il Regno di Dio non è qualcosa di astratto, è una società alternativa nella quale non vige la legge del mercato, ma il bene delle persone, di tutte le persone, perché per il cristiano ogni uomo è fratello, per cui un battezzato e cresimato deve (è un imperativo) educarsi ed educare a preoccuparsi e ad occuparsi non solo della propria salute e del proprio benessere, ma della salute e del benessere di tutti, se no non possiamo dire Padre nostro. Quando impariamo a restituire a Dio quel che è di Dio, anche a Cesare verrà restituito ciò che è di Cesare. Ci sono dei peccati sociali che troppo spesso vengono dimenticati dagli stessi cristiani, che vanno dall’evasione fiscale, compreso il non fare o non chiedere ricevute, al non tenere la mascherina nei luoghi affollati o quando le distanze con le persone non sono garantite. E’ banale dirlo, ma se tutti imparassimo ad usare un po' più di attenzione agli altri, il mondo sarebbe un posto migliore. Certo. Quando lo Stato nelle sue istituzioni, nei suoi organi di potere, pensa soltanto a sè stesso, ai propri privilegi, e non al bene di tutti, il cristiano è chiamato ad essere critico e a ribellarsi. Quando Cesare pretende di essere Dio, e questo nella storia si è verificato coi regimi totalitari, che non sono solo quelli del secolo scorso, ma c’erano anche ai tempi di Gesù e prima di lui, occorre ribellarsi. La lettura di oggi racconta il momento drammatico in cui in Israele, prima della dominazione romana, ci fu quella dei greci che con Antioco Epifane volevano imporre la loro cultura, la loro visione del mondo, la loro religione, le loro leggi, e vi furono i Maccabei che si ribellarono a questo sopruso. Oggi, se ci pensiamo, il potere che domina tutto il mondo è il mercato, è un sistema economico che mette al centro il dio denaro e l’interesse di pochi. Lo ha ricordato con forza Papa Francesco proprio questa settimana. Come vedete, queste letture aprono scenari di riflessione molto importanti che non si possono chiaramente esaurire in una predica, ma sui quali, ahinoi, si riflette troppo poco nelle nostre comunità e se parla in modo superficiale e banale nelle chiacchiere che si fanno al bar. Quando ci si trova in situazioni difficili, la colpa è sempre degli altri, perché bisogna avere sempre un capro espiatorio in tutto, un nemico comune da combattere, causa di tutti i nostri mali, dimenticando che il vero nemico da combattere non sono i greci, i romani, gli extracomunitari, i politici corrotti, ma il vero nemico è lo spirito del male che si annida dentro di me e che mi rende connivente col male. San Paolo spiega benissimo questa cosa nel brano dell’epistola di oggi dove dice esplicitamente che siccome il nemico non è fuori di noi, non sono gli altri, ma si annida nel nostro spirito, dobbiamo combattere come soldati, ma con armi particolari, cinti ai fianchi dalla verità, con la corazza della giustizia, avendo come calzari il vangelo della pace, come scudo la fede, come spada la Parola di Dio. E così sia.