domenica 16 agosto 2020

XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Ogni domenica, nel nostro rito ambrosiano, la prima lettura ci presenta un episodio legato alla vita di un personaggio dell’Antico Testamento, e le altre due letture del Nuovo Testamento sono scelte di conseguenza, per mostrarci la novità della rivelazione di Gesù. Oggi è la volta del profeta Elia. 

Elia visse circa 800 anni prima di Cristo ed ha una grande importanza nel sentimento religioso ebraico perché si ritiene, come narra la Bibbia, che non sia mai morto, ma sia stato assunto in Cielo anima e corpo su un carro di fuoco, pronto a tornare prima della venuta del Messia. Gesù dirà che questa profezia si era avverata con Giovanni Battista: è lui l’Elia che deve venire. Nella tradizione cattolica, Elia è diventato il modello dei contemplativi e dei monaci sulla base proprio del brano che oggi ci ha proposto la liturgia. Elia svolse la sua missione e morì sul monte Carmelo, da cui proviene il nome dei carmelitani. E, in effetti, il brano di oggi descrive una delle scene più mistiche della Bibbia, quando il profeta, nel momento più drammatico della sua vita, attende un segno della presenza divina, che crede di percepire nelle manifestazioni di forza, di violenza, quali un vento tempestoso, un terremoto, e nel fuoco. Ma, abbiamo letto, “il Signore non era nel vento, non era nel terremoto, non era nel fuoco, ma nel sussurro di una brezza leggera”, che molti esegeti traducono con “silenzio”. Dio parla nel silenzio interiore, quando tutti i turbolenti pensieri della mente vengono messi a tacere e lo Spirito di Dio che è amore e pace riesce a entrare in contatto col nostro spirito suscitando un modo nuovo di vedere le cose. Fino a quel momento, Elia non aveva compreso tutto questo: di se stesso dice, lo abbiamo letto, che era “pieno di zelo per il Signore”, ma questo zelo, in realtà, era un furore che lo portò a sterminare tutti quelli che lui riteneva nemici del suo Dio, anche appartenenti al suo popolo, ma che, dopo la morte di Salomone, quando il regno si era diviso in due, avevano cominciato ad adorare divinità pagane, come il dio Baal. Infatti, nei capitoli precedenti, si racconta la sfida di Elia con i quattrocentocinquanta profeti di Baal, che erano al soldo della regina Gezabele, e il bellicoso Elia non si accontentò di vincere questa sfida, ma li volle uccidere tutti, incenerendo anche un centinaio di guardie. Elia era un fanatico che presumeva di essere rimasto l’unico a credere nel Signore e siccome, dopo questa carneficina, la regina Gezabele mandò il suo esercito a ricercarlo per ucciderlo, Elia si rifugia sul monte Carmelo e grida al Signore la sua indignata protesta che abbiamo letto nel brano di oggi: ma come, sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti, io ho combattuto contro di loro, li ho sterminati tutti, e ora sono rimasto solo, dove sei Signore? E il Signore, con fine ironia, gli chiede di darsi una calmata (“Su, ritorna sui tuoi passi”), e di aprire bene gli occhi… Non è vero che è rimasto il solo, perché in Israele ci sono almeno “settemila persone, che non si sono piegati a Baal”. Vedete? Il fanatismo di Elia era come una trave conficcata negli occhi che gli impediva di vedere la realtà e lo rendeva pericoloso. Purtroppo, l’elenco dei massacri perpetrati da parte di santi uomini per difendere l’onore di Dio è molto lungo nella Bibbia, non solo nell’Antico Testamento, ma anche nel Nuovo. Pensiamo solo a Saulo, il fanatico fariseo che prima della sua conversione, prima di diventare l’apostolo san Paolo, era anche lui pieno di zelo per il Dio di Israele, osservante di ogni minimo dettaglio della Legge, e per questo si era messo in mente di sterminare tutti i cristiani. La cosa sconcertante è che anche nella storia della Chiesa, a perpetrare l’uccisione per rendere culto a Dio, non sono i criminali, ma i devoti, non i delinquenti, ma le persone profondamente religiose, quelle animate da tanto zelo verso Dio, come fanno oggi i fondamentalisti, terroristi islamici, che uccidono in nome di Dio: con la bocca si loda il Signore, e con la spada si uccidono le sue creature. Non si ammazza mai con tanto gusto come quando lo si fa in nome di Dio, perché chi è animato da questo zelo si sente difensore della verità investito da un mandato divino, ed è talmente accecato da pensare che quello che agli occhi del mondo non è altro che un’ingiustizia, un crimine, sia in realtà obbedienza alla volontà divina. I troppo zelanti, anche oggi nella Chiesa, senza arrivare ad uccidere nessuno, sono quelli che diventano duri e spietati verso coloro che non la pensano come loro o non vivono come loro, diventando intolleranti. Ma il punto è sempre uno: di quale Dio stiamo parlando? Chi è il Dio di queste persone? Certamente non il Dio di Gesù. Gesù passò la vita a mostrare che Dio è un’altra cosa, che lo zelo è assomigliargli nell’amore, e fu ucciso proprio dalle persone più devote, le stesse che oggi nella Chiesa ce l’hanno su con Papa Francesco ritenuto colpevole perché, con i suoi gesti di apertura e di accoglienza, non difende come dovrebbe la Chiesa cattolica. Ma chi la pensa così non fa che trasformare il cristianesimo in un’ideologia e pensare la Chiesa come un’istituzione da difendere e che deve imporsi. E chi pensa così non fa altro che perpetrare gli errori del passato e continua a sostenere idee che sono in contrasto proprio col nucleo dell’insegnamento di Gesù, quello che abbiamo riascoltato nel vangelo di oggi: se Dio è amore e perdono, il male non è essere perseguitati perché fai il bene, perché chi è perseguitato perché fa il bene vuol dire che sta davvero testimoniando l’amore di Dio anche verso il nemico, e sta diventando come Dio. Il male non è essere perseguitati, ma perseguitare. Non è nemmeno essere uccisi, perché si risorge, ma è uccidere, è usare sopraffazione e violenza: e chi vive così, distrugge la propria umanità.