lunedì 5 luglio 2021

VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO B) 4/07/21

Bellissimo il racconto del libro dell’Esodo. Mosè vede da lontano un roveto che arde per il fuoco, ma non si consuma, e si chiede “perché il roveto non brucia?”. E questa domanda lo mette in cammino, si avvicina: “Voglio avvicinarmi ad osservare questo grande spettacolo”. E cosa scopre Mosè? Che Dio lo 

chiama per nome, che Dio lo conosce. E Dio si presenta a Mosè dicendogli: io sono, io ho osservato, io ho udito, io conosco, sono sceso. Capisce che Dio è colui che è sempre presente, che è lì per Mosè e per il suo popolo, che non è indifferente, che c’è sempre stato e ci sarà, e che agisce: questo significa “Io sono colui che sono”. Ma in che modo agisce? E’ Gesù a rivelarcelo, perché “nessuno conosce il Padre se non il Figlio”, si legge nel vangelo. Vuol dire che Dio nessuno lo ha mai visto. Neanche Mosè lo ha visto. Ha capito qualcosa, ha sentito la sua voce in modo misterioso, ma non ha conosciuto chi è veramente Dio. Solo Gesù conosce chi è Dio, perché lui e Dio sono una cosa sola: chi vede Gesù conosce Dio. Conoscere vuol dire amare: Gesù conosce il Padre perché lo ama, e lo ama amando gli altri come fratelli. È l’amore che permette di conoscere Dio, perché Dio è amore. Per questo Gesù aggiunge che il Padre può conoscerlo non solo lui, ma anche colui a cui il Figlio lo voglia rivelare. Sembrerebbe che Gesù stia dicendo che è lui a decidere chi può conoscere Dio e chi no. Non è così, perché Gesù rivela a tutti chi è Dio, ma solo chi si mette nella stessa lunghezza d’onda di Gesù può conoscere Dio, cioè, solo chi vive come figlio che ama gli altri come fratelli può capire che Dio è Padre. Per questo dice: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi”. Stanchi e oppressi chi sono? Sono tutti quelli che vivono con Dio un rapporto di paura, perché pensano che Dio sia un legislatore che col suo occhio è lì pronto a punirci se non abbiamo osservato le sue leggi, che si sentono sempre in colpa verso Dio. Venite a me e “io vi darò ristoro”, cioè, credete a quello che vi dico, che Dio è un’altra cosa, e quel che vi dico vi darà respiro, vi farà ricuperare il fiato. “Prendete il mio giogo sopra di voi”. Il giogo è l’attrezzo che si metteva sopra agli animali per dirigerli nel lavoro. Il giogo di Gesù è il suo amore, quindi sta dicendo: amate come amo io, sia questa la logica che dirige la vostra vita, “imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Gesù è mite perché si è messo a fianco degli ultimi. Fate anche voi così, “e troverete ristoro per la vostra vita”, cioè capirete che l’unica legge che Dio vi dà e che vi permette di conoscerlo è quella di orientare la nostra vita al servizio degli altri: vivete così il rapporto con Dio e con gli altri, e in questo troverete respiro. Quello di Gesù è un giogo dolce e un peso leggero, perché non ci sono regole da osservare, ma c’è solo da accogliere l’amore di Dio. E allora potremo fare anche noi l’esperienza di Mosè, scoprendo che Dio è un roveto ardente che non si consuma, come l’amore, che è sempre presente, che agisce, ma non in modo magico, come vorremmo noi, cambiando le cose che non vanno. Dio chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, per dargli la sua stessa capacità d’amore. È così che agisce Dio. Questa è la sapienza di Dio di cui parlava san Paolo: nascosta nei secoli e rivelata da Gesù. In fondo a noi basterebbe un dio che ci faccia andar bene le cose per poi vivere ognuno la sua vita a modo suo. Pensateci se non è vero. Invece non è così. Dio non viene a cambiare il mondo come voglio io, ma a cambiare me, il mio modo di vedere le cose e affrontare la vita. Questo è molto più difficile. Del resto, ognuno provi a rispondere a questa domanda, come esempio su tutti: è più facile pregare Dio chiedendogli di aiutare la povera gente che soffre, oppure usare lo Spirito che il Padre ci ha dato per diventare suoi figli amando i fratelli, cioè imparando noi a trovare il modo di aiutare chi soffre?