domenica 18 settembre 2022

18/09/22 III DOMENICA DOPO IL MARTIRIO (ANNO C)

Nelle settimane dopo il Martirio di san Giovanni Battista, di domenica in domenica le letture mettono a fuoco un aspetto del mistero della persona e dell’opera di Gesù. Oggi ci presentano Gesù come “colui che da origine alla fede e la porta a compimento”. Cosa vuol dire questa frase che si trova nel cuore del 

brano della lettera agli Ebrei? Provo a spiegarla così. Sarà capitato a tutti di confrontarsi sul tema della fede, perché c’è chi dice di credere in Dio e chi no, e da qui partono sempre tante discussioni. I libri di filosofia sono pieni di riflessioni su Dio, perché, dietro questa parola, Dio, si racchiude da sempre il desiderio dell’uomo di dare senso all’esistere, cioè al nascere, al vivere, al gioire, al soffrire, al morire. E’ per questo che sono nate le religioni. Quindi, parlare di Dio e della fede, è nel DNA di ogni persona, perché tutti cercano di dare un senso alla vita, ed è per questo che possiamo dire che ogni uomo ha il suo dio. Per esempio, per chi pensa che il senso della vita sia accumulare, avere, possedere, apparire, il suo dio è il denaro, per il quale è disposto a tutto, anche a fare guerre e ad ammazzare. Spesso, le discussioni se Dio, inteso come essere superiore, esiste o no, chi è, come è fatto, sono interessanti, ma sono sterili, servono a poco, perché la vera questione non è credere se Dio esiste, ma qual è il volto del dio in cui uno dice di credere e, soprattutto, se questa fede cambia o non cambia il modo di pensare e di vivere la vita. Ebbene, affermare che Gesù è “colui che da origine” alla fede vuol dire credere non in un dio generico che mi invento io, ma credere che Dio è quello che Gesù ci ha fatto vedere. Noi non crediamo genericamente in Dio, ma in quel Dio Padre, Figlio e Spirito santo che Gesù ci ha fatto vedere. Ma credere non vuol dire, appunto, pensare che Dio sia questo, ma, dice sempre l’autore della lettera agli Ebrei, tenere fisso lo sguardo su Gesù, cioè imparare a conoscerlo e credere che Gesù ha ragione, cioè fidarsi, affidarsi e, quindi, vivere col pensiero di Gesù mettendo in pratica la sua Parola. Solo mettendola in pratica capiremo se Gesù aveva ragione o meno: se la nostra vita assumerà una luce nuova e più bella, allora si che questa fede avrà senso, altrimenti credere in Gesù o credere in quello che dice qualunque altro maestro o presunto tale è uguale. Per questo si dice che Gesù non è solo colui che da origine alla fede, ma è colui che la “porta a compimento”, cioè che realizza quanto promette, nel senso che compie i desideri più profondi che abbiamo nel cuore. Gesù è testimone di questo Dio, come ripete egli stesso nel difficile brano di vangelo di oggi. Gesù dice che la sua testimonianza è vera perché le sue opere lo dimostrano. Gesù dice che Dio è Padre, cioè fonte di vita e di amore, e lo testimonia come? Vivendo come figlio amando tutti come fratelli. Così deve essere per noi, se diciamo di credere in questo Dio, altrimenti è inutile. Se viviamo così cosa succede? Succede che usciamo dai sepolcri, che non viviamo più come morti viventi, come zombie, pieni di paure e di egoismo, ma viviamo pienamente la nostra umanità, pur in mezzo a tanti dolori e sofferenze. Nel vangelo di oggi, infatti, Gesù non sta parlando dei morti che sono al cimitero, ma di noi uomini che siamo vivi, ma siamo come morti, nei sepolcri, appunto. La vita eterna che Gesù dona a chi crede in lui, cioè a chi vive la sua parola, non è il paradiso, ma è la vita stessa di Dio che trasforma adesso la mia vita, e la rende di una qualità tale, questo si, che nemmeno la morte del corpo potrà scalfire. Ma c’è solo un modo per verificarlo: praticare la sua parola. Del resto, è solo mangiando una pietanza che posso verificare se era buona e sana, non guardandola in una foto, così come è solo vivendo un’amicizia o una storia d’amore che posso capire se le mie attese erano ben riposte o meno. Questa riflessione si collega molto bene con la Giornata per il Seminario che oggi celebra la nostra diocesi, una giornata che serve sia per sensibilizzare tutti i fedeli ambrosiani a sostenere economicamente il seminario, sia per pregare perché in seminario ci sia qualcuno in cammino per diventare prete e non sia vuoto, altrimenti è inutile sostenerlo. Come sostengo nell’editoriale che potete leggere su Koinonia, se i seminaristi oggi, e quindi i preti, sono diminuiti e sono pochi, è perché sono diminuiti i cristiani battezzati e cresimati consapevoli che sperimentano la gioia che nasce dalla fede in Gesù. Basti vedere le defezioni che ci sono dopo la cresima e il numero molto basso di bambini, ragazzi, giovani e adulti nella fascia fra i 20 e i 50 anni che partecipano alla Messa. Infatti sono pochi non solo i giovani che ricevono il sacramento dell’Ordine per diventare preti, sono pochi quelli che celebrano l’Eucaristia facendo la comunione, che celebrano il sacramento del matrimonio, per non parlare dei tantissimi per i quali il sacramento della Riconciliazione è diventato irrilevante, e così si confessano con regolarità solo i vecchi che, come unico peccato, hanno da dire che non hanno peccati. Il paradosso è che però, 80 bambini su 100 vengono battezzati e poi cresimati: a che pro, mi domando. Per cui, pregare per le vocazioni non serve per chiedere a Dio di riempire il seminario o che i propri figli si sposino in chiesa, ma serve perché ciascuno possa prendere consapevolezza di cosa voglia dire la fede in Gesù, e che questa cosa gli possa davvero trasformare in meglio la vita.