domenica 14 maggio 2023

GIORNATE EUCARISTICHE 2023

VENERDI 12 MAGGIO 2023

Nel giugno del 2022, un anno fa, uscì la lettera pastorale del Papa Desiderio Desideravi che ha a tema la formazione liturgica del popolo di Dio. Interessante: la liturgia non è roba da preti o solo per chi nella liturgia svolge ministeri (…), ma riguarda tutti i fedeli, perché tutti devono cercare di essere consapevoli

non solo di quello che si celebra, ma del perché si celebra in un certo modo, quindi saper comprendere il significato dei vari tempi, momenti, simboli, gesti, parole che vengono usate nella liturgia. La liturgia ha un suo linguaggio, e se non lo si conosce, è molto facile che nella Messa si dicano e si facciano tante cose, e tutto passi sopra le teste senza lasciare traccia. In questi anni, almeno da quando io sono qui, 13 anni, ricordo bene come sono stati tanti i momenti di formazione rivolti non solo a chi nella liturgia svolge alcuni ministeri particolari, ma a tutti, in occasione soprattutto di catechesi e di altre giornate eucaristiche. È vero che repetita iuvant, però è altrettanto vero che nessuno può dire il contrario, e chi dice vuol dire che non è mai venuto a questi momenti. Detto ciò, il Papa, con questa lettera, di fatto non si mette a spiegare i segni, i gesti, i momenti, i simboli, le parole della liturgia, ma vuole offrire alcuni spunti di riflessione per contemplare la bellezza e la verità del celebrare cristiano. E abbiamo ritenuto che molte cose scritte dal Papa in questa lettera potessero aiutare la riflessione e la preghiera per le giornate eucaristiche di quest’anno.

Ogni giorno abbiamo dato un titolo al tema che ognuno di noi preti nelle varie parrocchie cerca un po’ di sviscerare, tenendo come sottofondo le riflessioni e alcuni punti di questa lettera che trovate sul libretto che avete in mano e sono scritte al termine di ogni celebrazione. Il titolo del tema di questo primo giorno (il secondo sarà sviluppato nella messa di domattina) è una frase che scrive il Papa, molto bella, profonda e importante, che è questa: l’Eucaristia non è il premio dei buoni, ma la medicina per i deboli e i peccatori, però le riflessioni che oggi vi proponiamo a commento del vangelo di oggi, prendono spunto dal commento di un noto biblista, un padre gesuita, che fu confessore anche del cardinale Martini, e cioè Padre Silvano Fausti, ma adesso non dovete seguirle: servono semmai dopo durante l’adorazione eucaristica personale.

Perché abbiamo scelto oggi di lasciarci guidare da questo vangelo? Perché le prime parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena e che si trovano nel vangelo di Luca, sono proprio quelle che danno il titolo in latino alla lettera del Papa: desiderio desideravi, e cioè: ho desiderato con grandissimo desiderio di mangiare la Pasqua con voi.

Tutti i Vangeli sono spiegazione di questo brano. Tutto il Nuovo Testamento è nato attorno alla celebrazione eucaristica, perché l’eucaristia è la sintesi di tutta la vita di Gesù che realizza tutte le promesse di Dio. E le promesse di Dio quali sono? Che lui e solo lui è capace di realizzare il desiderio più grande che ogni uomo porta nel cuore, cioè quello di poter vivere la propria esistenza nel modo più vero, più autentico, pur in mezzo ai mille problemi, difficoltà e tragedie che la vita ci presenta. Il desiderio più grande di Dio è questo. La sua volontà è questa, che noi abbiamo ad essere felici, beati, ma non un giorno, dopo la morte, ma fin da adesso (due parole sulla volontà di Dio). E in che modo il Signore cerca in tutti i modi di realizzare questo suo desiderio, questa sua volontà, questo suo progetto? Mangiando con noi. Dando se stesso come cibo. Approfondiamo bene questa cosa.

Qual è il nostro desiderio più grande? Se ci pensiamo bene è quello di essere accettati e benvoluti senza condizioni. Non tutti nella vita diventano genitori, ma tutti nella vita siamo figli di qualcuno. E un figlio cosa vuole se non essere amato senza condizioni dai propri genitori? Ebbene, l’Eucaristia realizza questo desiderio, perché è la presenza reale di Gesù, il Figlio, che ci fa vedere tutto l’amore del Padre, e ce lo fa vedere perché ci ama tutti come fratelli. Che cosa ha fatto Gesù nell’ultima cena? Prese il pane e disse: questo è il mio corpo dato per voi, la mia carne. Carne indica l’uomo nella sua fragilità e debolezza: Dio assume la nostra debole e fragile condizione. Gesù, proprio nella sua carne di uomo, ci ha fatto vedere l’amore del Padre, come? Aveva solo un modo: vivendo come suo figlio, e cioè amando gli uomini come suoi fratelli, fino alla fine, senza condizioni. Gesù, nell’eucaristia, ci comunica la sua essenza di figlio, per farci diventare come lui, quindi per farci diventare come Dio. Vuole che assimiliamo il suo pensiero, il suo Spirito, vuole fondersi con noi, come accade al cibo, al pane, che noi mastichiamo e deglutiamo perché poi venga assimilato da tutto il nostro organismo. Ma questo non accade per magia. Supponete che noi stiamo celebrando una messa all’aperto in un grande prato con la folla, e che si sollevi un grande vento, per cui le ostie volino via. Se ci fosse un bue che, mangiando l’erba, mangia pure un’ostia, secondo voi farebbe la comunione? Secondo me, sì: fa la comunione come tanti cristiani, che non sanno quello che fanno! Cioè, non fa la comunione, ovviamente. Vedete, la fede non è qualcosa di vago: è mangiare, assimilare la carne, l’umanità di Gesù, per arrivare ad avere un’umanità simile alla sua. E noi assimiliamo Gesù comprendendo come lui ha vissuto. Non siamo tanto noi a mangiare l’eucaristia, ma è l’eucaristia che ci mangia, ci assimila, ci divinizza (diceva Dossetti). Capite allora che mangiare questa carne vuol dire avere il pensiero di Cristo e agire come lui, come figli che amano i fratelli. E ci assimiliamo al Signore bevendo il suo sangue. Si separa la carne dal sangue per ricordare innanzitutto la Croce, dove carne e sangue si sono divisi, per indicare col sangue la stessa vita di Dio che egli ci dona, cioè il suo Spirito, perché la nostra carne sia animata dallo Spirito di Dio. Per questo, chi mastica la carne e beve il sangue del figlio di Dio, dice Gesù non che avrà un giorno, ma che ha già da ora la stessa vita di Dio: la risurrezione inizia già adesso, perché in questo modo si passa dalla morte alla vita. E allora ecco che Cristo diventa davvero presenza reale in me. Se tu mangi questa carne, la lasci entrare in te e la ami, vivi di lui, vivi da lui, la tua vita viene da lui, vivi per lui, il Figlio. Cioè entri nella vita trinitaria, è la divinizzazione dell’uomo che finalmente sa chi è: è figlio del Padre, fratello del Figlio e vede il suo volto in tutti i fratelli. L’Eucaristia porta a questo, e se non accade, siamo come il famoso bue che mangia un’ostia. Mentre tutte le religioni si basano su un sacrificio dell’uomo a Dio, con Gesù non esiste nessun sacrificio dell’uomo per Dio, ma è Dio che dà se stesso all’uomo, dà la vita per l’uomo. La nostra non è la religione di sacrifici. Noi ci nutriamo dell’eucaristia e ci nutriamo di essa per diventare come lui. Non abbiamo nessun merito. Noi, come gli apostoli, abbandoniamo, tradiamo, rinneghiamo, fuggiamo. Ecco perché, scrive il Papa, l’Eucaristia non è il premio per i giusti e i perfetti, ma la forza per i deboli e i peccatori. Noi ripetiamo sempre, prima di fare la comunione, Signore non sono degno, e poi andiamo lo stesso a farla. Sembra una contraddizione. Se non sono degno, non dovrei andare a farla. Invece no, è proprio perché non sono degno che ho bisogno di nutrirmi di lui, di ricevere il suo amore, il suo Spirito. Ecco, io mi domando, domando a me, domando a voi, se quando riceviamo l’eucaristia, la riceviamo nutrendo anche noi lo stesso ardente desiderio che Dio ha di entrare in comunione con noi, oppure se la facciamo con la consapevolezza pari a zero del povero bue nel prato, e vorrei che dunque che i momenti di adorazione che passeremo davanti all’eucaristia possiamo viverli per compiere questo esercizio di consapevolezza, per gioire del desiderio di Dio e per accrescere il nostro desiderio di lui.

SABATO 13 MAGGIO 2023

In questo secondo giorno delle Giornate eucaristiche vogliamo farci aiutare nella nostra riflessione dalle parole del Papa contenute in alcuni numeri della sua lettera pastorale uscita un anno fa che dà anche il titolo a queste giornate, ovvero Desiderio desideravi, che sono in latino le due prime parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena e che si trovano nel vangelo di Luca, quando Gesù dice: ho desiderato con grandissimo desiderio di mangiare la Pasqua con voi. Un ardente desiderio che Gesù esprime bene quando sulla croce, come racconta l’evangelista Giovanni nel brano di vangelo letto stamattina, dice: Ho sete. Sempre nel vangelo di Giovanni, Gesù aveva pronunciato le stesse parole davanti alla donna samaritana al pozzo di Giacobbe. La sete di Gesù è la sete di Dio, non tanto una sete fisica, quanto espressione del suo ardente desiderio di realizzare il suo progetto d’amore, cioè di riempirci del suo amore. Gesù ci rivela che la sete di Dio è il suo ardente desiderio di entrare in comunione con noi, che noi possiamo partecipare al suo banchetto di nozze, al banchetto di nozze dell’Agnello, come abbiamo ascoltato nelle parole del libro dell’Apocalisse che danno il titolo a questo secondo giorno delle nostre giornate eucaristiche.

Ieri ci siamo lasciati con una domanda che voleva spronarci a riflettere se siamo o non siamo consapevoli che questo è il desiderio di Dio, la sua volontà, e se il desiderio che Dio ha di entrare in comunione con noi è anche il nostro, perché altrimenti sciupiamo questo dono e viviamo le nostre eucaristie come un dovere da espletare, un precetto, ed è per questo che spesso si vivono male, senza passione, senza gioia, con noia, sperando che finiscano presto, come spesso, a onor del vero, vorremmo che finissero presto anche gli interminabili pranzi di nozze a cui si partecipa quando si viene invitati. E quindi è paradossale che proprio il sacramento dell’eucaristia sia paragonato a un banchetto di nozze. In realtà queste sono immagini evocative che dovrebbero aiutarci a comprendere come l’incontro col Signore dovrebbe essere vissuto come una festa di nozze, perché il Signore ama ciascuno di noi come lo sposo ama la sua sposa, e mi capite bene che se all’interno di una relazione d’amore manca l’ardente desiderio dell’unione e della comunione da parte di uno dei due sposi, le cose non potranno che finire male perché sono già iniziate male. Ma in questo caso possiamo stare tranquilli, perché anche se il nostro desiderio di lui non fosse grande, l’ardente desiderio di Dio di entrare in comunione con noi resta immutato. E quindi è sul suo desiderio, sul desiderio di Dio che dobbiamo puntare la nostra attenzione. Come scrive il Papa al numero 3 della sua lettera: Pietro e gli altri stanno a quella mensa, inconsapevoli eppure necessari: ogni dono per essere tale deve avere qualcuno disposto a riceverlo. In questo caso la sproporzione tra l’immensità del dono e la piccolezza di chi lo riceve, è infinita e non può non sorprenderci. E poi, al numero 6 c’è scritto così: Prima della nostra risposta al suo invito – molto prima – c’è il suo desiderio di noi: possiamo anche non esserne consapevoli, ma ogni volta che andiamo a Messa la ragione prima è perché siamo attratti dal suo desiderio di noi. Da parte nostra, la risposta possibile, l’ascesi più esigente, è, come sempre, quella dell’arrendersi al suo amore, del volersi lasciare attrarre da lui. Per certo ogni nostra comunione al Corpo e al Sangue di Cristo è stata da Lui desiderata nell’ultima Cena.

Ma l’immagine del banchetto di nozze evoca anche l’aspetto comunitario, cioè il fatto che alla gioia degli sposi tutti gli invitati sono chiamati a partecipare, non è un matrimonio vissuto in privato o in segreto. Cosa vuol dire questo? vuol dire, come si diceva ieri, che il Signore desidera che noi ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue per farci diventare come lui, per divinizzarci, e questo accade man mano che noi assimiliamo, mastichiamo l’umanità, la carne di Gesù e ci lasciamo guidare dal suo Spirito, dal suo sangue, che ci rendono figli del Padre come lui, e figli si diventa in un solo modo, amando gli altri come fratelli, come ha fatto Gesù. Perciò, non dimentichiamolo mai, celebrare le nozze dell’Agnello, celebrare l’eucaristia, quindi fare la comunione, essere in comunione col Signore, non si riduce nel mangiare l’ostia, ma diventare quell’ostia, cioè diventare anche noi pane che si spezza per gli altri, quindi vivere di fatto la comunione coi fratelli, disponibili a mangiare coi fratelli, pronti anche a farsi mangiare dai fratelli, sicuramente non a mangiare i fratelli. Un’eucaristia vissuta concretamente, per esempio, a larga distanza da qualche persona presente in chiesa perché mi sta antipatica o con la quale non voglio aver niente a che fare, perde completamente tutta la sua efficacia. Questo perché, scrive il papa al numero 4 della sua lettera, a quella Cena nessuno si è guadagnato un posto, tutti sono stati invitati, o, meglio, attratti dal desiderio ardente che Gesù ha di mangiare quella Pasqua con loro. Tuttavia, il suo infinito desiderio di ristabilire quella comunione con noi non si potrà saziare finché ogni uomo, di ogni tribù, lingua, popolo e nazione (Ap 5,9) non avrà mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue: per questo quella stessa Cena sarà resa presente, fino al suo ritorno, nella celebrazione dell’Eucaristia.

Un’ultima riflessione che vorrei proporvi la ricavo invece dagli altri punti della lettera del Papa che trovate sul foglietto e che poi vi invito ad andare a leggere, perché ora vorrei, più che riassumerli, provare a coglierne il significato profondo. Il sacramento dell’eucaristia non è una sacra rappresentazione, ma è il reale incontro con lo sposo, che è vivo e risorto e vuole far risorgere anche noi, cioè farci diventare come lui, e quindi metterci in relazione con Dio. Di più: renderci partecipi della stessa vita di Dio. Gesù non è venuto a portare gli uomini a Dio, ma a portare Dio agli uomini. Nel corso della storia e in tutte le religioni ci sono i sacerdoti che cercano di fare da mediatori tra Dio e gli uomini, che cercano di portare gli uomini a Dio, come? Compiendo sacrifici, attraverso riti e preghiere, e insegnando ad obbedire alle sue leggi. Così facendo, ci sarà sempre qualcuno che non ce la fa o non vuole, per cui la vita religiosa diventa spesso una scalata molto faticosa e non entusiasmante, anche piena di sensi di colpa. È un vero peccato, anzi, direi una tragedia, pensare che anche il cristianesimo, nel corso della storia, abbia assunto le stesse caratteristiche negative delle altre religioni, perché è un tradimento di quello che Gesù ha fatto e insegnato. Gesù, come dicevo, non è venuto a portare gli uomini a Dio, ma Dio agli uomini, quindi non è più una scalata, si tratta solo (che non è poco) di imparare ad accogliere il suo amore, il suo Spirito, perché ci trasformi. E’ perché ha portato Dio agli uomini che Gesù è diventato l’unico vero sacerdote, in grado di fare quello che nessun sacerdote in nessuna religione è in grado di fare, ma così facendo ha reso sacerdoti non i preti, ma tutti coloro che nel Battesimo vengono immersi nell’amore di Dio. In forza del Battesimo, siamo tutti sacerdoti e sacerdotesse. Ma esercitiamo il nostro sacerdozio quando, come Gesù, accogliamo questo amore nell’eucaristia e poi lo riversiamo sugli altri quando usciamo, perché allora si che l’incontro reale col Signore accade, altrimenti no. Nel cristianesimo, dunque, o meglio, nel cattolicesimo, il sacerdozio del prete, è ordinato a servizio del sacerdozio di tutti, cioè serve per continuare a rendere presente Cristo che con la sua Parola e i sacramenti continua a raggiungere ogni uomo. E’ anche per questo che non esistono dunque cristiani di serie A (come possono essere i preti o i consacrati e le consacrate) e cristiani di serie B; è per questo che, ripeto sempre, l’eucaristia non è celebrata dal prete, ma è celebrata da tutti e presieduta dal prete. E quindi mi sembra opportuno e bello che oggi ognuno di noi possa continuare ad adorare il Signore ringraziandolo del fatto di averci fatto tutti sacerdoti e sacerdotesse, messi cioè in grado di entrare in comunione con lui, di diventare come lui, di celebrare le nozze con lui, e di interrogarci dunque sul grado di consapevolezza col quale ognuno di noi vive l’eucaristia, se la vive come spettatore o come protagonista che si lascia coinvolgere, e se la partecipazione all’eucaristia davvero ci trasforma, cioè produce poi i frutti della carità nella vita di tutti i giorni, quando si esce di chiesa, oppure no.

DOMENICA 14 MAGGIO 2023 ADORAZIONE DEL POMERIGGIO

Le Giornate eucaristiche di quest’anno che oggi si concludono con questa celebrazione vespertina, abbiamo voluto chiamarle usando il titolo della lettera pastorale scritta da Papa Francesco un anno fa, una lettera che parla della formazione liturgica del popolo di Dio, e questa lettera si chiama Desiderio desideravi. Queste due parole sono l’inizio in latino della frase che l’evangelista Luca mette in bocca a Gesù introducendo il racconto dell’Ultima Cena: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum, antequam patiar, cioè: Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione. Vorrei condividere con voi quest’oggi, davanti all’eucaristia, alcuni pensieri e alcune domande che personalmente mi hanno accompagnato in questi giorni, a partire proprio dalla parola desiderio. Il desiderio è ciò che anima la nostra vita, le nostre scelte. E noi diventiamo quello che desideriamo. Qui si tratta di capire se i desideri di Dio coincidono con i nostri e viceversa, ma prima di tutto occorre capire qual è il desiderio di Dio, cosa desidera Dio e, cioè, detto altrimenti, qual è la sua volontà. Ripeto spesso che, purtroppo, sono molto confuse le idee che si hanno su questa cosa, confuse, negative e sbagliate. Mi convinco sempre più che fino a quando non impariamo a conoscere a convertirci al volto di Dio che Gesù ci ha rivelato, noi andiamo avanti a pensare Dio come lo pensano i pagani o chi appartiene ad altre religioni, cioè un Dio lontano, geloso della felicità degli uomini, pronto a castigarli e a punirli se non obbediscono alle sue leggi. Un Dio che ha sempre una croce da far portare agli uomini. Quindi, pensiamo che il desiderio di Dio, la sua volontà, sia sempre qualcosa di brutto e sconveniente, per cui tutti, nel Padre nostro, chiediamo sia fatta la tua volontà, poi, di fatto, cerchiamo in tutti i modi di evitarla, oppure la accettiamo solo quando ci ritroviamo con le spalle al muro. La riprova è che di solito uno dice “sia fatta la volontà del Signore” quando succede qualcosa di brutto e di irreparabile. Infatti, non ho mai sentito nessuno pronunciare rassegnato questa frase se gli succede qualcosa di bello. E tante volte, purtroppo, come denunciava spesso Gesù, gli uomini sono bravissimi a far diventare volontà di Dio cose che Dio non ha mai pensato. Invece, la volontà di Dio, la volontà del Padre che Gesù ci ha rivelato, quindi il suo grandissimo desiderio (desiderio desideravi) è quello di mangiare la Pasqua con noi. Cosa vuol dire mangiare la Pasqua? Mangiare è sinonimo di comunione, di condivisione, e la Pasqua è risorgere, è passare da una vita mortale a una vita immortale. Perciò, il grande desiderio di Dio è quello di condividere con gli uomini la sua stessa natura, cioè di farci diventare come lui, di infondere nella nostra carne la sua stessa vita immortale. Per questo si è fatto uomo: per farci diventare come lui. E noi diventiamo come Dio se impariamo a vivere come Gesù, cioè amandoci gli uni gli altri come lui ha amato noi. Allora comprendiamo che Dio è Padre, perché noi man mano diventiamo suoi figli. Questo vuol dire risorgere. La risurrezione comincia adesso, man mano che ci trasformiamo a immagine di Gesù, e così poi, il momento della morte del corpo, segnerà il compimento di questa risurrezione, quando saremo trasformati completamente in Dio. E nell’eucaristia Gesù ci dona completamente se stesso come cibo che dona la forza a chi lo mastica, a chi lo assimila, di diventare come lui. E noi chi siamo? Noi siamo e diventiamo quello che desideriamo, e il nostro più grande desiderio non è forse quello di essere felici, non è forse quello di sentirci amati incondizionatamente e di imparare ad amare? Non è forse quello di diventare immortali? Vedete come il grande desiderio di Dio non fa altro che intercettare i nostri desideri più profondi. Purtroppo, la vita ci porta a credere che la felicità consista nell’avere, nel possedere, nel potere, nel successo, nell’assenza di problemi, malattie e tragedie, e infatti siamo felici sono a tratti, quando va bene. Gesù ci ha indicato un’altra strada per essere felici, quella della relazione d’amore col Padre che genera rapporti di fraternità vissuti nella logica del dono, del perdono, del servizio, della generosità, del prendersi cura gli uni degli altri con lo stesso amore del Padre, e nei sacramenti ci dà la forza per vivere così. Per diventare come Dio, quindi per essere felici, la strada, la vita, è proprio l’opposto di quella che noi percorreremmo. Per questo, la domanda che si impone e che voglio condividere con voi è questa: coincidono o no i desideri di Dio con i nostri? Da un lato coincidono (noi desideriamo la felicità e Dio desidera che la otteniamo), ma quello che non coincide è il modo, la strada per ottenerla. Quando veniamo a messa, facciamo la comunione, adoriamo il santissimo sacramento, perché lo facciamo, cosa chiediamo al Signore? Davvero gli diciamo: io sono qui per chiederti la forza di diventare come te, pane che si spezza, vita, sangue che si dona, per diventare come te uno che mangia con gli altri, che si fa mangiare dagli altri, certamente non uno che mangia gli altri? Voglio diventare un asino, come te. Desidero, desideriamo questo? Perché il Dio di Gesù, non il dio pagano al quale continuiamo a credere, è il Dio che ci dice: se volete diventare come me, dovete diventare degli asini, che portano i pesi degli altri. Chiediamo questo al Signore quando facciamo la comunione e adoriamo il sacramento, oppure chiediamo e desideriamo altro? L’unico dono che Dio ci fa è se stesso, il suo Spirito, capace di trasformarci, ma non per magia, ma solo se lo desideriamo. Se non lo desideriamo, è ovvio che poi usciamo sempre di chiesa uguali a come siamo entrati. Ecco, ci rendiamo conto di come sia rivoluzionario il nostro Dio?