lunedì 1 maggio 2023

30/05/23 IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)

La quarta domenica di Pasqua si chiama “domenica del buon pastore”, e infatti abbiamo ascoltato questo vangelo dove Gesù dice di essere il buon pastore che guida le sue pecore verso i pascoli della vita. A noi, che ci crediamo tanto emancipati, che pensiamo di essere liberi, l’idea di vivere come pecore 

che seguono un pastore, anziché fare quello che vogliono, non piace molto. Peccato che, poi, di fatto, più che pecore viviamo come caproni, nel senso che pensiamo di essere liberi, ma in realtà siamo prigionieri del nostro egoismo, delle nostre paure, dei nostri deliri di onnipotenza, e ci lasciamo guidare, nel modo pensare e poi di vivere, dalla cultura di massa portata avanti da ideologie e da personaggi o influencer, come si chiamano oggi, che si spacciano per pastori, mentre sono mercenari, imbonitori, che promettono di guidarci verso pascoli di vita, salvo poi scoprire che sono pascoli di morte. Il Signore, invece, è l’unico vero buon pastore, perché chiama ogni uomo e ogni donna a seguirlo, a fidarsi di quello che dice di fare e a farlo. Questa è la fede: credere che Gesù ha ragione e che facendo quello che lui ha detto è conveniente, la nostra vita diventa vera, autentica, addirittura capace di vincere la morte, perché Dio ci chiama a diventare come lui. Mica male, direi. Ecco perché, in questa domenica, si celebra la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. “Vocazione”, lo sappiamo, significa “chiamata”. Spesso si dice che il Signore ha un progetto specifico per ognuno di noi, e a noi spetta scoprire qual è questo progetto per realizzarlo, poi c’è qualche fortunato che lo capisce e vi aderisce, qualcuno che invece non lo trova, o che non lo capisce o che lo rifiuta. In realtà, il progetto, cioè la volontà di Dio, è uguale per tutti: nel Battesimo il Padre ha chiamato ognuno di noi a diventare suo figlio a immagine del Figlio Gesù. Poi, ognuno di noi, realizza concretamente questa vocazione in modo del tutto personale e particolare, perché ciascuno ha un suo modo originale e tipico di rispondere a questa chiamata. Perciò, occorre che ognuno impari, fin da piccolo, fin da ragazzo, a desiderare di seguire Gesù e vivere come lui, qualunque cosa si senta chiamato a fare nella vita. Voglio dire. Io non penso che il Signore volesse che io diventassi prete, mentre voleva che i miei genitori si sposassero e facessero dei figli. Il Signore voleva che i miei genitori e anch’io imparassimo a seguirlo, ad avere lui come pastore e a vivere come lui, percorrendo, poi, ciascuno, la strada che gli appariva quella più consona e adatta alle proprie capacità, ai propri desideri e attitudini, e così io, per esempio, a un certo punto, ho capito che, per me, il modo più adatto e vero, per la mia vita, di seguire Gesù, fosse quello di diventare prete. Se il mio desiderio fosse stato quello di fare un lavoro particolare o di mettere su famiglia, andava bene lo stesso, a patto che fosse quello il modo col quale seguire Gesù buon pastore. Per capire ancora meglio questa cosa, ci viene in aiuto la pagina degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato oggi come lettura. A Gerusalemme, gli apostoli capiscono che ascoltare la Parola di Dio, annunciarla e pregare è una cosa troppo importante, perché è da questo che nasce la carità, ma capiscono anche che non possono fare tutto loro, infatti succedeva che non si riusciva ad assistere tutte le persone che avevano bisogno. E allora dicono: bisogna trovare qualcuno che si occupi di questa cosa, e così vennero scelti sette uomini che si occupassero principalmente di mettersi al servizio delle vedove che avevano bisogno di assistenza, i primi sette diaconi. Il diacono, nella Chiesa, richiama a tutti il primato della carità. Ma non è che il diacono vive la carità, però non prega e non ascolta la Parola di Dio perché quello era il compito degli apostoli. A me fa ridere quando uno pensa che la preghiera del prete valga più della sua, o che sia il prete o la suora quelli che devono pregare o andare a messa, o quando uno si scandalizza se a commettere i peccati siano queste categorie di persone. Vuol dire non aver capito che tutti i cristiani devono pregare, ascoltare la Parola di Dio, trarre alimento dai sacramenti, vivere la carità, essere testimoni di Cristo. Poi, ogni cristiano, con la sua scelta di vita, in base ai suoi carismi, vivrà uno di questi aspetti in modo più evidente. E’ chiaro che se un padre o una madre di famiglia vivesse come un monaco o una monaca pregando tutto il giorno davanti all’eucaristia, o se un monaco o una monaca lavorassero e mettessero su famiglia come gli altri, sarebbe un assurdo. Il monaco o la monaca vivono la carità con la preghiera per gli altri e richiamano a tutti quanto sia importante ascoltare la Parola di Dio e pregare, e tutti gli altri, vivendo la carità fattiva in famiglia e nel proprio lavoro, richiamano il monaco e la monaca a vivere non isolati dal mondo, ma in comunione con tutta la Chiesa e con tutti gli uomini. Perciò, io penso che, se oggi ci sono pochi preti, poche suore, ma anche poche persone che si sposano, tante persone che si tirano indietro da incarichi pastorali, tantissimi battezzati che vivono la vita come se Gesù non ci fosse o non c’entrasse niente con la propria vita, con le scelte della vita, col proprio modo di pensare e di vivere, cosa significa? Significa che la proposta di Gesù non interessa, o interessa a pochi. Non importa che siano tantissimi a dire lo stesso di credere in Dio a modo loro: non serve a niente. Il cristiano non è uno che crede nell’esistenza di un essere superiore e che, magari, dopo la morte, ci sarà qualcosa. No, il cristiano è quello che crede che solo Gesù ha parole di vita eterna, che solo avendo Gesù come pastore può diventare una persona autentica. Almeno noi che siamo qui quest’oggi ne siamo convinti o no?