domenica 23 aprile 2023

23/04/23 III DOMENICA DI PASQUA

Senza entrare nella spiegazione dettagliata di queste difficili letture, vorrei provare a cogliere qual è il tema che le unisce. E secondo me è quello sviluppato dalla lettera agli Ebrei dove si parla del sacerdozio di Cristo. Apparentemente potrebbe sembrare un tema poco interessante, invece ha delle conseguenze 

pratiche importanti per la nostra vita cristiana, che sono poi quelle di cui si parla nel vangelo e nel brano degli Atti degli Apostoli. Ma andiamo per ordine. Cominciamo col dire che Gesù non era un sacerdote: l’autore della lettera agli Ebrei dice che Gesù è diventato sacerdote con la sua morte e risurrezione, ma per capire cosa vuol dire questa cosa, prima bisogna intendersi sul significato delle parole. Cosa vuol dire sacerdote? Chi è il sacerdote? La parola sacerdote richiama altre due parole: sacro e sacrificio. Vuol dire che il sacerdote, in tutte le religioni, è quella persona che con riti e sacrifici di animali cerca di mettere gli uomini in contatto con Dio, per ottenere benefici, grazie, perdono. Il sacerdote, dunque, è un mediatore, un pontefice, che crea un ponte tra il cielo e la terra. O meglio, uno che cerca di creare questo ponte tra il cielo e la terra, tra Dio e gli uomini. Però è più semplice costruire il ponte sullo stretto di Messina che riuscire a creare un ponte tra Dio e l’uomo, quindi ogni tipo di sacerdozio è imperfetto, esprime un anelito, un desiderio, ma non è in grado di realizzarlo. Ebbene, dice l’autore della lettera agli Ebrei, Gesù, col suo sacrificio sulla croce, è l’unico vero sacerdote capace di creare questo ponte, perchè Gesù, come uomo, offre al Padre non sacrifici di animali, ma se stesso e, come Dio, offre agli uomini tutto l’amore del Padre, donando lo Spirito santo. Con la sua morte che manifesta l’amore di Dio, porta Dio agli uomini, e con la sua risurrezione porta gli uomini a Dio. E così, quel Dio sconosciuto e inaccessibile a cui gli uomini si rivolgono, Gesù ce lo svela, ce lo fa vedere. Giovanni Battista lo capisce in anticipo quando, vedendo Gesù, lo indica a tutti chiamandolo l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Il peccato, non i peccati. Il peccato del mondo non sono i peccati, ma è un termine tecnico per indicare il velo che impedisce la conoscenza di Dio. E, con Gesù, Dio cambia faccia: non solo non è più il lontano, l’inaccessibile, ma nemmeno è uno che chiede, che se fai sacrifici ti esaudisce, se fai il bravo ti premia, se fai il cattivo ti punisce, ma è Padre, cioè solo fonte di vita e di amore, che ha, come unico potere, quello di donarci il suo Spirito capace di trasformarci, di farci risorgere, non un giorno, ma già in questa vita, facendoci diventare persone nuove, sacerdoti anche noi, come Gesù, in grado cioè di poter entrare in comunione con lui, se però, come Gesù, accogliamo questo Spirito e lo usiamo. Perché lo Spirito non è qualcosa di astratto, ma di molto concreto, come l’aria. Se respiro aria buona o cattiva lo si capisce subito dalle conseguenze. Se ti tiro una sberla o ti do una carezza, si capisce subito qual è lo spirito che mi sta guidando. Lo Spirito del Signore è lo Spirito del Padre che ci rende suoi figli, come Gesù, dandoci la forza di amare gli altri come fratelli. Se ci lasciamo guidare da questo Spirito, allora diventiamo anche noi sacerdoti e sacerdotesse, cioè entriamo in comunione con Dio, permettiamo a Dio di realizzare questo ponte. E i sacramenti, come il Battesimo o l’Eucaristia che stiamo celebrando, sono segni di tutto questo, perché i sacramenti sono come dei canali privilegiati che la Chiesa offre a chi diventa discepolo di Gesù, per accogliere il dono del suo Spirito, quindi del suo amore, per farci diventare come lui. Capire questa cosa è fondamentale, perché, altrimenti, corriamo lo stesso rischio di cui parlava il brano degli Atti degli Apostoli, cioè quello di trasformare i sacramenti in riti esteriori e, quindi, di vivere un cristianesimo “senza lo Spirito santo”, cioè di vivere una religiosità che non c’entra niente con la fede cristiana. Per religiosità si intende tutta quella serie di conoscenze, di riti, parole, gesti, devozioni, sforzi, sacrifici, vissuti come pratiche esteriori per raggiungere Dio. La fede è un’altra cosa: è credere nell’amore di Dio che, attraverso i sacramenti, si unisce a noi con lo Spirito santo, rendendo sacerdoti come Gesù tutti coloro che lo accolgono e poi concretamente lo usano nella vita di tutti i giorni. Mi spiego meglio. Io posso anche fare tutti i giorni la comunione, ma se poi, non tanto quando sono in fila per ricevere l’ostia, ma quando, in generale, io sono uno che, invece di lavare i piedi agli altri, come ha fatto Gesù, li pesta, io non sto facendo la comunione col Signore, ma sto compiendo solo una pratica esteriore che non serve a niente. Stessa cosa se vivo i sacramenti come riti propiziatori, come doveri per ottenere da Dio favori e benefici, anziché come mezzi per accogliere il suo Spirito capace di trasformarmi per farmi diventare come lui. Penso che di materiale su cui riflettere e che le letture di oggi ci forniscono ce ne sia parecchio.