domenica 9 aprile 2023

6/04/23 Giovedì Santo: Messa nella Cena del Signore

IL PIANTO DI PIETRO E IL POTERE DI DIO

Quello che abbiamo ascoltato è un racconto che conosciamo quasi a memoria: è l’ultima notte della vita terrena del Signore Gesù. Tra i tanti personaggi di quella notte, vorrei che provassimo questa sera a seguire e ad identificarci con l’apostolo Pietro, che per l’esattezza compare cinque volte. La prima 

volta, subito dopo la cena, durante il cammino verso il Getsemani. Al Signore Gesù che preannuncia la sua imminente passione e morte, Pietro risponde impetuoso e sicuro di sé, dicendo: Se tutti si scandalizzeranno di te, io mai. Un Pietro entusiasta, certo, ma anche presuntuoso, sicuro di sé, ingenuo, velleitario, che si appoggia solo sulla sua buona volontà. La spara grossa, come per dimostrare a Gesù e agli altri la sua bravura. E siccome sappiamo come andrà a finire, questo Pietro ci insegna che, con i facili entusiasmi e i bei propositi, non andiamo da nessuna parte. E infatti, la seconda volta che Pietro compare è proprio nell’orto del Getsemani: dovrebbe vegliare con Cristo, e invece si lascia sorprendere per tre volte addormentato. Ma è un dormire che indica mancanza di consapevolezza: cioè non si rende conto di quello che sta accadendo perché, come si capirà subito dopo, non ha capito niente di Gesù, del suo messaggio, della sua identità, della sua missione, questo è il problema, un problema che, dopo duemila anni potrebbe benissimo, purtroppo, riguardare anche noi. Infatti, la terza volta, Pietro compare nel palazzo di Caifa, ed è un Pietro che tiene le distanze da Gesù, lo segue, si, ma da lontano, per vedere “come sarebbe andata a finire”, quindi è un Pietro che, in fondo, non vuole farsi coinvolgere più di tanto, ha paura delle conseguenze, lo segue solo per curiosità. E anche questo Pietro ci assomiglia molto: più che discepoli di Gesù, cioè persone che seguono la sua strada, noi spesso siamo suoi accompagnatori, lo chiamiamo Maestro, poi però non facciamo quello che dice lui, ma quello che vogliamo noi. Anche noi rischiamo di leggere il vangelo e di partecipare all’eucaristia come spettatori: per forza che poi usciamo di chiesa uguali a come siamo entrati. O anche peggio. Tanto è vero che la quarta volta che incontriamo Pietro è nel cortile del palazzo del sommo sacerdote, quando rinnega Cristo per tre volte. Povero Pietro: all’inizio era entusiasta, giurava fedeltà, poi dorme, poi diventa un curioso e ora, per tre volte, ripete e scongiura: quell’uomo non lo conosco. Ebbene, questo è il momento decisivo, quello in cui, finalmente, Pietro dice la verità: non lo conosco. Ecco perché lo rinnega: non tanto per paura, ma perché si rende conto che si era fatto dei film su Gesù, cioè aveva proiettato su di lui i suoi sogni di gloria, pensava e sperava che Gesù fosse il Messia rivoluzionario, l’uomo della provvidenza mandato da Dio che avrebbe preso il potere con la violenza, che Dio fosse dunque il giustiziere che mette le cose a posto, e adesso si rende conto che aveva sbagliato persona. E, uscito fuori, pianse amaramente: questa è la quinta volta che Pietro compare. Ma questo pianto come va inteso? Perché piange con amarezza? È pianto di pentimento, come spesso si dice? Se così fosse, allora perché non si ravvide e decise davvero di andare a morire con lui, dopo aver pianto? Erano lacrime di coccodrillo? O, magari, erano lacrime di uno che si rende conto di non avere il coraggio richiesto? Alla luce di quanto abbiamo detto finora, io sono del parere di molti studiosi che ritengono che fossero le lacrime di uno che è in totale crisi, perché si rende conto di aver buttato via tre anni della sua vita andando dietro a una chimera: per un Messia potente e violento avrebbe dato la vita, non per un uomo destinato a morire come un malfattore. Tanto è vero che lo ritroveremo due giorni dopo, la domenica, insieme agli altri suoi compari, che non erano messi meglio, rinchiuso nel Cenacolo, per paura di fare la stessa fine di Gesù. E nemmeno la risurrezione di Gesù riuscirà a convertire Simone, che Gesù, volutamente, aveva chiamato Pietro, per indicare che era un testone, un crapone. La sua conversione accadde anni dopo in seguito a un episodio strano descritto negli Atti degli Apostoli, e vi lascio la curiosità di andare a cercarlo. Anche perché, in conclusione, questa sera mi preme evidenziare come gli avvenimenti che celebriamo in questi giorni ci mettono di fronte al volto di Dio che solo Gesù ci ha fatto vedere, totalmente diverso dal Dio che ci inventiamo noi, come fece Pietro. Ripeto sempre come le arrabbiature che proviamo nei confronti di Dio in certi momenti, quando la vita picchia duro, arrabbiature che generano crisi di fede, nascono perché noi proiettiamo su Gesù quello che pensiamo di Dio, un Dio che ha il potere di fare, disfare, mettere le cose a posto, prevenire o risolvere dolori, sofferenze, disastri, malattie, morte, premiando chi se lo merita e castigando chi fa il male, e quando non lo fa, è ovvio che poi ci si arrabbi e si perda la fede. Ma questo dio ci deluderà sempre, perché è un dio che non esiste, che ci inventiamo noi. Gesù, invece, con la sua vita, i suoi insegnamenti, con la lavanda dei piedi, con la sua passione, morte e risurrezione, cose tutte che riviviamo ogni volta che celebriamo l’eucaristia, ci ha fatto vedere che Dio è un’altra cosa, che il suo potere è un altro, che non è un tappabuchi, uno che previene o risolve i nostri problemi e le nostre tragedie, tantomeno uno che scende dalla croce o che ci toglie le croci, e nemmeno uno da servire o a cui obbedire per avere qualche premio. E’ uno che ha un solo potere: quello di donare sé stesso per trasformarci, per farci risorgere, non un giorno, ma già adesso, farci diventare persone nuove, farci diventare persone nuove, come Gesù. Da cui la domanda: è davvero questo il Dio nel quale noi diciamo di credere?