domenica 21 maggio 2023

21/05/23 VII DOMENICA DI PASQUA

Quaranta giorni dopo la Pasqua, giovedì la Chiesa ha celebrato la solennità dell’Ascensione di Gesù, un po’ in sordina, perché era un giorno feriale, ma l’inizio del brano degli Atti degli Apostoli che è stato proclamato in questa domenica richiama questo evento: mentre gli apostoli lo guardavano, il Signore 

Gesù fu elevato in alto. Nel Credo noi affermiamo che “per noi uomini e la nostra salvezza discese dal cielo” e che, dopo la risurrezione, “salì al cielo e siede alla destra del Padre”. Usiamo cioè le stesse parole dei testi biblici, ma col rischio di prenderle alla lettera e quindi di pensare davvero che Dio sia in cielo, lontano, assente, distante, come i defunti, che infatti molti pensano che siano come angioletti che volano sulle nuvole. Non bisogna dimenticare che i testi della Bibbia furono scritti in un’epoca in cui si pensava che la terra fosse l’abitazione degli uomini e il cielo l’abitazione di Dio, quindi gli autori biblici usavano l’immagine della terra per parlare degli uomini e l’immagine del cielo per parlare di Dio. Lo stesso Gesù usava questo linguaggio, infatti ci ha insegnato a pregare il Padre dicendo: Padre nostro che sei nei cieli. Ma non perché il Padre si trova nella volta celeste, bensì per indicare la divinità del Padre. Quindi, per parlare dell’incarnazione di Dio, gli autori biblici dicono che Dio è disceso dal cielo, e per spiegare che Gesù, risorgendo, non è più visibile col suo corpo terreno perché ha assunto un nuovo corpo, un corpo divino, in piena comunione col Padre, un corpo che non è più visibile con gli occhi, dicono che è salito al cielo. Quindi, anche se l’ascensione di Gesù è raccontata come un evento accaduto dopo la sua risurrezione, dopo le sue apparizioni, in realtà non è una cosa diversa dalla Pasqua, ma è il modo per spiegare che, risorgendo, il corpo di Gesù ha assunto pienamente la condizione e la dimensione divina. Che parrebbe allontanarlo dalla terra, da noi, farlo sentire assente, distante. Ecco allora che, cinquanta giorni dopo la Pasqua, domenica prossima, si celebra la solennità della Pentecoste. Che, come l’Ascensione, non è una cosa in più o diversa rispetto alla Pasqua. Ascensione e la Pentecoste non sono altro che le due facce della stessa medaglia che è la Pasqua. Se l’ascensione al cielo è un modo per spiegare che il Risorto è entrato pienamente nella condizione divina, la Pentecoste rivela che il Padre e il Figlio Gesù non sono lontani da noi o assenti, ma sono presenti attraverso lo Spirito santo. Chi lo accoglie e si lascia da esso guidare diventa pian piano figlio del Padre e fratello di Gesù, come Gesù, dunque figlio, e quindi membro del suo corpo glorioso. Questa è la Chiesa, chiamata infatti corpo di Cristo. Dio non è assente o lontano, ma si rende visibile attraverso di noi man mano che diventiamo quel pane di cui ci nutriamo nell’eucaristia e ci lasciamo animare dal sangue di Cristo, che è simbolo del suo Spirito. Cioè se viviamo secondo la legge dell’amore, come ripetevano le parole del salmo: dove la carità è vera, abita il Signore. E la famosissima pagina di vangelo dei discepoli di Emmaus non fa che confermare tutto questo. Perché i due discepoli non riuscivano a riconoscere Gesù nel viandante che camminava con loro? Perché essi pensavano al messia mandato da Dio in termini di potenza, forza e violenza, come colui che avrebbe restaurato il regno di Israele cacciando gli invasori romani: quel Gesù che essi speravano fosse il messia, invece, era morto. Anche noi, come loro, entriamo in crisi di fede quando Dio non risponde ai nostri schemi. Essi non avevano compreso le Scritture che Gesù si mette con pazienza a spiegare per aprire i loro occhi e capire che Dio, invece, si rivela, si manifesta e agisce diventando pane che si spezza e donandoci il suo stesso sangue, il suo Spirito, che consente anche a noi di diventare come lui. E infatti, quando il viandante ripete gli stessi gesti compiuti da Gesù nell’Ultima Cena, essi lo riconoscono, ed egli scomparve, appunto perché la sua presenza continua in coloro che lo riconoscono e vivono come lui. E così, quando sopraggiungerà la morte del nostro corpo, questa risurrezione si completerà, e anche noi “ascenderemo al cielo”, come Maria e come tutti i santi, cioè ci trasformeremo completamente in Dio, e continueremo ad essere presenti e ad agire con lo Spirito di Dio in tutti i viventi, come fanno i nostri defunti che, come Gesù, non sono dunque assenti o angioletti sulle nuvole, ma fanno parte anch’essi del suo corpo glorioso, e sono qui con noi a celebrare l’eucaristia, a rendere grazie al Signore della vita.