INTRO
Si conclude oggi l’ottava di Pasqua, un’unica grande domenica, cominciata domenica scorsa e che finisce oggi. Nell’antichità, quelli che avevano ricevuto il Battesimo la notte di Pasqua, tenevano addosso per otto giorni le vesti bianca, albis in latino, e in questa domenica le toglievano, le
deponevano, infatti questa domenica si chiama in albis depositis. La veste bianca è il segno, come dice san Paolo nel brano che ascolteremo, che il Battesimo è il segno che noi siamo già risorti, perché siamo uniti allo stesso destino di Cristo, se però facciamo morire tutto ciò che ci allontana dal suo amore. Ed è bello che questa domenica sia stata anche dedicata a contemplare la divina misericordia del Signore, capace, col suo perdono, di farci risorgere, di far tornare bianche le nostre vesti quando le abbiamo sporcate, quando cioè non abbiamo vissuto da nuove creature.
OMELIA
Come avrete notato, questo vangelo è diviso in due scene
molto simili. La prima scena si svolge la sera del giorno di Pasqua, la seconda
otto giorni dopo. In entrambe le scene Gesù risorto si presenta ai discepoli
dicendo “Pace a voi” e mostrando loro i segni delle sue ferite di crocifisso. Nella
prima scena Tommaso non c’è, nella seconda si. Tommaso, detto Didimo, scrive
l’evangelista. Didimo vuol dire gemello. Gemello di chi? Per certi versi di
Gesù, infatti, quando Gesù va Gerusalemme per risuscitare Lazzaro e gli dicono
“ma lì ti vogliono uccidere”, lui risponde “andiamo anche noi a morire al suo
fianco”, quindi è coraggioso, è disposto a morire al suo fianco. Ma Tommaso è
gemello anche di Giuda, perché anche Giuda quel giorno non c’era, ma Giuda non
c’era perché non aveva creduto nella possibilità del perdono, e infatti si era
ucciso, mentre Tommaso non c’era perché non aveva creduto che un uomo morto
così potesse risorgere, perché pensava che la morte fosse la fine di tutto. E,
infine, è gemello anche nostro, perché anche noi, quella sera, non c’eravamo,
ma otto giorni dopo si. Non è un caso che la liturgia ci faccia ascoltare
questo racconto otto giorni dopo la Pasqua. Ma non è solo una questione
temporale. Il numero otto indica l’eternità: Gesù è sempre il risorto. Ecco
perché la liturgia celebra l’ottava di Pasqua, fa durare la Pasqua otto giorni.
Il punto è che anche noi, come Tommaso, non eravamo presenti il giorno in cui i
discepoli di Gesù lo sperimentarono come risorto, per questo ci è gemello. Eppure,
possiamo anche noi sperimentare che Gesù è vivo, come Tommaso. Dove? In ogni
eucaristia. Questo vuole dirci l’evangelista. Infatti, il racconto si svolge
nel cenacolo, nella casa dove Gesù aveva fatto l’ultima cena, di sera. Quando
celebriamo l’eucaristia cosa succede? Prima di tutto che siamo insieme, come i
discepoli. La prima volta Tommaso non ha incontrato il risorto perché non era
con gli altri. Chi non è insieme ai fratelli, non può incontrare il Figlio e
neanche il Padre, perché Dio, che è amore e relazione, lo si incontra stando
con i fratelli, condividendo gli stessi limiti e le stesse paure. Chi dice “io
non vengo a Messa perché c’è troppa gente, io preferisco stare col Signore per
conto mio” dovrebbe riflettere molto su questa cosa. Poi succede che Gesù dice
“Pace a voi”, che non è un augurio, ma indica il dono della sua stessa vita,
del suo Spirito, del suo perdono, ed è splendido vedere che questo dono lo
offre a chi? A un manipolo di gente improbabile che lo ha abbandonato, tradito,
rinnegato, scommettendo ancora su di loro, per mostrare che l’amore è più forte
del peccato, che Dio ci ama non perché ce lo meritiamo, non perché siamo bravi,
ma per farci diventare come lui, per farci rinascere dalle nostre ceneri. Ma, a
nostra volta, dobbiamo fare lo stesso, infatti dice: adesso tocca a voi, dovete
essere voi a perdonare, altrimenti il perdono che avete ricevuto non serve a
niente. Infine, in entrambe le scene, i discepoli riconoscono Gesù non perché è
passato attraverso i muri, ma quando vedono le sue ferite. È fondamentale
questa cosa da capire. Tommaso non poteva credere solo per la parola dei suoi
amici: doveva vedere quelle ferite e metterci dentro il dito, perché l’amore è
qualcosa di concreto, non di astratto, non basta che qualcuno te lo racconti,
devi viverlo sulla tua pelle, nella tua carne. Tommaso doveva rendersi conto che
uno come Gesù, che aveva amato in quel modo, non poteva essere morto, che
l’amore è più forte della morte. A risorgere non è Gesù, ma Gesù crocifisso.
Vale anche per noi. Risorgere vuol dire trasformarci in Dio, e accade se amiamo
come Gesù. A Messa veniamo per questo: per continuare a mettere il nostro dito
nelle ferite di Gesù, per immergerci nel suo amore, e poter dire anche noi,
come Tommaso: mio Signore e mio Dio! E queste ferite sono sempre aperte, perché
l’amore di Dio è perenne, e si ripresentano nel pane e del vino di cui ci
nutriamo, che sono il suo corpo donato e il suo sangue versato. Ma perché,
allora, Gesù dice a Tommaso, e lo ripete anche a noi: beati coloro che
crederanno in me senza avermi visto? Perché uno può anche aver avuto
un’apparizione capace di togliere ogni dubbio, ma se poi questa cosa non gli
cambia la vita, non serve a niente. “Credere” in Gesù, invece, significa
“credere” nell’amore di Dio che Gesù ha rivelato e fare le stesse cose che ha
fatto Gesù, amare come Gesù. Credere è fidarsi di quello che Gesù ha detto di
fare, e farlo. Solo facendo quello che Gesù ha detto si potrà aver la prova che
egli è risorto, che l’amore è più forte della morte, perché vivendo così si
sperimenta che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, si sperimenta la pace,
e quindi ci si sente risorgere. Questi dovrebbero essere i frutti
dell’eucaristia, di ogni eucaristia.