domenica 30 giugno 2024

30/06/24 VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO B)

Come dicevo domenica scorsa, tenete sempre presente che nelle domeniche dopo Pentecoste, tipiche del nostro rito Ambrosiano, il Vangelo e la pagina di San Paolo sono scelte a partire dalla prima lettura, e ogni domenica, la prima lettura presenta, in ordine cronologico, un avvenimento della storia di Israele 

preso dalle pagine dell’Antico Testamento. E così, se domenica scorsa si parlava di Abramo, ecco che oggi il protagonista è Mosè nella famosa scena del roveto ardente. Tutti questi racconti, badate bene, non vanno presi alla lettera. E’ l’errore che regolarmente fanno i registi di tanti films sulla Bibbia. Non sono fatti di cronaca. L’autore del testo sacro sta cercando di descrivere con parole umane, con immagini, con metafore, delle esperienze interiori profonde, in questo caso di Mosè, del suo incontro con Dio, per farci capire che anche noi possiamo fare la stessa esperienza che fece Mosè, se comprendiamo cosa sono il deserto, il monte e il fuoco del roveto. Mosè, dal deserto, si sposta su un monte. Il deserto non è un luogo geografico, ma indica la solitudine e il silenzio, e il monte è il simbolo del contatto tra il cielo e la terra, tra Dio e l’uomo. Vuol dire che Dio ci parla quando noi facciamo tacere tutti i nostri pensieri interiori. Poi c’è il fuoco, che tutto quello che tocca o lo distrugge o lo trasforma. Il fuoco che vede Mosè è un fuoco che non consuma, quindi è il fuoco della trasformazione, simbolo di Dio che chiede a Mosè di cambiare mentalità, di diventare una nuova persona. Mosè si avvicina perché vuole vedere Dio. E cosa scopre? Che è Dio per primo ad avere visto lui e la miseria del suo popolo. Quando gli domanda “chi sei?”, riceve questa risposta emblematica, tradotta in italiano con “Io sono colui che sono”, ma che, in ebraico, vuol dire: io sono colui che è, che era, che viene, colui che è presente, che c’è sempre stato e ci sarà, che sono qui per te, per il tuo popolo, che non sono indifferente, che agisco. Ma in che modo Dio agisce? Chiamando Mosè a non starsene con le braccia in mano, a vincere le sue ritrosie e le sue paure nel voler prendersi a cuore le sorti del suo popolo andando dal Faraone. Ecco la trasformazione di Mosè. Prima vedeva solo le sue paure, e dopo capisce che Dio è con lui, che Dio è la forza che gli consente di muoversi, di agire. Mosè capisce che Dio agisce non dall’alto, per magia, ma agisce attraverso di noi, man mano che lasciamo spazio alla forza del suo Spirito. Ma c’è un problema: che è facilissimo prendere abbagli, pensare di essere davvero guidati dal Signore, presumere di conoscere il suo volere, di agire nel suo nome, e non rendersi conto di essere mossi soltanto dalle proprie illusioni o dai propri deliri di onnipotenza. Nel nome di Dio, nella storia, e anche oggi, si sono compiute e si possono compiere cose atroci. Questo perché? È Gesù a rivelarcelo nella pagina di vangelo. Perché “nessuno conosce il Padre se non il Figlio”. Solo Gesù conosce chi è Dio, perché lui e Dio sono una cosa sola: chi vede Gesù conosce Dio. Conoscere vuol dire amare: Gesù conosce il Padre perché lo ama, e lo ama amando gli altri come fratelli. È l’amore che permette di conoscere Dio, perché Dio è amore. Per questo Gesù aggiunge che il Padre può conoscerlo non solo lui, ma anche “colui a cui il Figlio lo voglia rivelare”. Sembrerebbe che Gesù stia dicendo che è lui a decidere chi può conoscere Dio e chi no. Non è così, perché Gesù rivela a tutti chi è Dio. Il punto è che solo chi si mette nella stessa lunghezza d’onda di Gesù può conoscere Dio, cioè, solo chi vive come figlio che ama gli altri come fratelli può capire che Dio è Padre. Per questo dice: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi”. Stanchi e oppressi chi sono? Sono tutti quelli che vivono con Dio un rapporto di paura, perché pensano che Dio sia un legislatore che col suo occhio è lì pronto a punirci se non abbiamo osservato le sue leggi, che si sentono sempre in colpa verso Dio. Venite a me e “io vi darò ristoro”, cioè, credete a quello che vi dico, che Dio è un’altra cosa, e quel che vi dico vi darà respiro, vi farà ricuperare il fiato. “Prendete il mio giogo sopra di voi”. Il giogo è l’attrezzo che si metteva sopra agli animali per dirigerli nel lavoro. Il giogo di Gesù è il suo amore, quindi sta dicendo: amate come amo io, sia questa la logica che dirige la vostra vita, “imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Gesù è mite perché si è messo a fianco degli ultimi. Fate anche voi così, “e troverete ristoro per la vostra vita”, cioè capirete che l’unica legge che Dio vi dà e che vi permette di conoscerlo è quella di orientare la nostra vita al servizio degli altri: vivete così il rapporto con Dio e con gli altri, e in questo troverete respiro. Quello di Gesù è un giogo dolce e un peso leggero, perché non ci sono regole da osservare, ma c’è solo da accogliere l’amore di Dio. E allora potremo fare anche noi l’esperienza di Mosè, scoprendo che Dio è un roveto ardente che non si consuma, come l’amore, che è sempre presente, che agisce, ma non in modo magico, come vorremmo noi, cambiando le cose che non vanno. Dio chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, per dargli la sua stessa capacità d’amore. E’ quello che accade in ogni eucaristia. È così che agisce Dio. Questa è la sapienza di Dio di cui parlava san Paolo: nascosta nei secoli e rivelata da Gesù. In fondo a noi basterebbe un dio che ci faccia andar bene le cose per poi vivere ognuno la sua vita a modo suo. Pensateci se non è vero. Invece non è così. Dio non viene a cambiare il mondo come voglio io, ma a cambiare me, il mio modo di vedere le cose e affrontare la vita.