lunedì 8 luglio 2024

7/07/24 VII DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO B)

Tenete sempre presente che nelle domeniche dopo Pentecoste, tipiche del nostro rito Ambrosiano, il Vangelo e la pagina di San Paolo sono scelte a partire dalla prima lettura, e ogni domenica, la prima lettura presenta, in ordine cronologico, un avvenimento della storia di Israele preso dalle pagine 

dell’Antico Testamento. E così, due domeniche fa di Abramo, domenica scorsa di Mosè e oggi di Giosuè, che fu il successore di Mosè, colui che, di fatto, guidò il popolo di Israele nella conquista della terra promessa. Una guerra che, purtroppo, continua ancora oggi. E che, al di là degli interessi economici e politici, affonda le sue radici proprio in una lettura fondamentalista della Bibbia, secondo cui la terra di Israele è la terra promessa da Dio al suo popolo, e che come se il popolo di Dio fosse solo Israele. Non solo: il brano di Giosuè contiene anche la famosa frase “Fermati o sole” che, secoli dopo, portò a dare una giustificazione biblica della teoria che sia il sole a girare intorno alla terra e non viceversa, come, invece, ebbe a scoprire Galileo Galilei. L’errore è, appunto, quello di leggere la Bibbia come un libro di scienza, mentre non è così. Lo stesso Galileo ebbe a dire, giustamente, che la Bibbia ci racconta non come è fatto il cielo, ma come si fa ad andare in cielo. E, del resto, le conoscenze che avevano a quei tempi non erano le nostre. Ma l’altro errore è leggere questi passi come se fossero cronache di storia, di fatti realmente accaduti così come vengono narrati. In realtà, sono racconti teologici, che vogliono spiegare verità di fede, e che vennero scritti molti secoli dopo gli avvenimenti narrati, precisamente nel momento più buio della storia di Israele, quando i Babilonesi avevano conquistato e distrutto Gerusalemme e il suo tempio, e gli ebrei erano in esilio a Babilonia. Si chiedevano come fosse possibile che Dio li avesse abbandonati, e la risposta che si diedero fu perché erano stati infedeli all’alleanza col Signore e non avevano ascoltato la voce dei profeti che li chiamavano a conversione. Dio li stava castigando per i loro peccati, perciò occorreva tornare ad essere fedeli alla sua Legge, segno del suo amore, e così scrissero questi racconti con l’intento di suscitare nel popolo una rinnovata fiducia nell’amore e nella potenza del Signore, con uno stile narrativo volutamente esagerato, un po’ come quando, lo facciamo anche noi, dobbiamo raccontare qualcosa di importante che ci è successo e, nel raccontarlo, esageriamo le cose, ci mettiamo dentro tutta una serie di particolari che servono per rendere ancora più grandioso quello che ci è successo. Infatti, le ricerche storiche hanno accertato che, quando gli ebrei arrivarono nella terra promessa, trovarono solo rovine delle grandi città di Gerico e di Gabaon, probabilmente distrutte da eventi naturali o da altre guerre, quindi non fu una conquista, ma qualcuno cominciò a chiedersi: pensate se queste città fossero state abitate cosa sarebbe accaduto… chi ha distrutto queste città? Certamente il Signore, per permetterci di entrare e prenderne possesso. E ora, a causa della nostra infedeltà, abbiamo perso questo dono così grande che abbiamo ereditato dai nostri padri. Come riuscire adesso a descrivere in modo più efficace questa verità di fede? Immaginandosi cosa sarebbe accaduto se quelle città fossero state abitate: certamente il Signore avrebbe combattuto con noi per conquistarle e donarcele. E allora si scrissero questi racconti epici dicendo che Dio combatté con il suo popolo sconfiggendo tutti i suoi nemici pur di dargli quella terra. Addirittura, la battaglia di Gabaon fu talmente trionfale che, quel giorno, anche il sole si fermò, come per dire: fu un giorno talmente bello che sembrò non finire mai. E allora, vedete come, letti così, questi racconti assumono ben altri significati? Ma cos’è questa terra promessa che Dio vuole regalare agli uomini, e cos’è questo combattimento, questa guerra che occorre intraprendere per restare in questa terra, una guerra nella quale Dio è al fianco di chi confida in lui, come dicono anche le parole del salmo? La risposta la troviamo nel breve brano di vangelo, quando Gesù usa anche lui un linguaggio bellico e dice: io ho vinto il mondo. Nel linguaggio dell’evangelista Giovanni, il mondo rappresenta ciò che nei racconti dell’Antico Testamento erano i nemici di Israele contro cui Dio combatteva, e cioè tutto ciò che si oppone al suo disegno di amore. Dunque, la terra promessa non è altro che Dio stesso, la comunione d’amore con lui che deve esprimersi proprio nell’amore verso i fratelli, e il combattimento nel quale Dio assicura di essere sempre con noi, non è contro gli uomini, ma contro tutte quelle forze che si annidano dentro di noi e che ci portano a vivere la vita e i rapporti con gli altri secondo logiche di potere, di possesso, di egoismo, di sopraffazione, di mancanza di rispetto, di non accoglienza, e chi più ne ha più ne metta. Di più ancora, scrive san Paolo. Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? E Paolo elenca le nostre umane paure, riferendosi in particolare a quei primi cristiani che, come lui, rischiavano la vita per via delle persecuzioni. E dice: nemmeno la morte deve farci paura, perché Gesù è risorto, e noi con lui, quindi nemmeno della morte bisogna avere paura, perché nulla può separarci dall’amore, non il nostro verso Dio, ma dall’amore che Dio ha verso di noi, capace di vincere anche la morte. Dunque, come vedete, la Parola del Signore di questa domenica ci incoraggia a vincere, con l’aiuto di Dio, tutti quei fantasmi, quei nemici, quelle paure che si annidano in noi e ci impediscono di gustare la terra promessa, cioè la bellezza della comunione d’amore col Signore.