domenica 14 luglio 2024

14/07/24 VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO B)

Nelle domeniche dopo Pentecoste, tipiche del nostro rito Ambrosiano, il Vangelo e la pagina di San Paolo sono scelte a partire dalla prima lettura, e ogni domenica, la prima lettura presenta, in ordine cronologico, un avvenimento della storia di Israele preso dalle pagine dell’Antico Testamento. Tre 

domeniche fa si parlava di Abramo, poi di Mosè, domenica scorsa di Giosuè, che condusse gli ebrei nella terra promessa, e oggi si accenna al periodo successivo, quello dei Giudici. I Giudici di Israele non erano i nostri magistrati, ma alcuni capi militari che, nel corso degli anni, guidarono il popolo di Israele nelle guerre con gli altri popoli. Tra i Giudici più famosi di cui parla la Bibbia ci sono, per esempio, Debora, una donna, Gedeone, Sansone. Poi, dopo l’epoca dei Giudici, inizierà quella della monarchia, e infatti, domenica prossima, si parlerà del re Davide. Nel brano di oggi si dice che le generazioni successive a Giosuè dimenticarono gli insegnamenti del Signore, lo abbandonarono e si misero ad adorare gli idoli. Perciò, l’ira del Signore si accese contro Israele e Dio li mise in mano ai popoli stranieri che li depredarono. Dopo il castigo, però, il Signore faceva sorgere dei Giudici per liberare Israele dai nemici, ma quando moriva un Giudice, il popolo tornava ad essere infedele. In sostanza, Israele interpretava i mali che gli capitavano, come castighi mandati da Dio perché il popolo si ravvedesse. In realtà, questi racconti, non sono storici, ma vogliono comunicare verità di fede. Non è vero che vi furono tutte queste guerre tra Israele e gli altri popoli. Più semplicemente, il popolo di Israele, quando entrò nella terra promessa, già abitata da altri popoli, doveva convivere con loro, e confrontarsi con altre culture, tradizioni, religioni, che mettevano alla prova la loro fede. E Israele, spesso soccombeva davanti a queste prove, nel senso che, invece di servire il Dio vivo e vero, il Dio dell’alleanza e della libertà, si lasciava dominare dalla religiosità idolatra degli altri popoli, ma Dio non lasciava mancare uomini e donne capaci di essere come dei fari per il popolo. Solo che, gli autori di questi testi, per rendere più incisivo il messaggio, descrivono queste prove come fossero guerre e battaglie. Le stesse che oggi ci troviamo a vivere anche noi cristiani, ogni giorno. Fino a qualche decennio vivevamo in una società che aveva sviluppato la sua cultura, i suoi modi di vivere e le sue tradizioni a partire dal vangelo. Oggi non è più così. La stessa voce del Papa è solo una fra le tante. E, proprio il Papa, ripete spesso che stiamo vivendo non un’epoca di cambiamenti, ma un vero e proprio cambiamento d’epoca. Occorre farsene una ragione, non bisogna vivere di nostalgie, bisogna smetterla di ripetere “ai miei tempi le cose erano migliori”. Bisogna, piuttosto, imparare a chiedersi in che modo continuare a vivere ed annunciare la gioia del vangelo in questa società. Il confronto con altre ideologie, culture, religioni spesso contrarie al vangelo, sono sicuramente delle prove, ma non vanno interpretate in modo negativo, anzi. Devono stimolarci ad approfondire il nostro credo, non possiamo essere cristiani per tradizione, ma per convinzione, così da poter essere in grado di rendere ragione della nostra fede di fronte al mondo, cioè di fronte a chi la pensa e vive in modo diverso. Ma non per fare guerre con gli altri e imporre il nostro pensiero. Bensì, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II e come continua a ripetere Papa Francesco, per metterci al servizio dei bisogni del mondo, per accogliere le domande del mondo e continuare ad annunciare il Regno di Dio come ha fatto Gesù, santificando il nome di Dio che è Padre, e cioè vivendo come fratelli e sorelle, con uno stile di ascolto, dialogo, confronto, senza superbia, disposti anche ad imparare. E’ quello che non volevano capire i discepoli di Gesù di cui parla il vangelo di oggi. Gesù aveva appena finito di spiegare che la gloria di Dio è il suo amore senza condizioni per ogni uomo, ed essi cosa fanno? Chiedono a Gesù: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Per loro, la gloria, il valore di una persona, è quella dei capi delle nazioni che spadroneggiano e dominano, e infatti è da qui che nascono le guerre, anche quelle piccole di tutti i giorni in famiglia o tra vicini di casa. Gesù, invece, mostrerà la gloria di Dio morendo sulla croce, chiamando questa morte “il suo battesimo”. Perché? Perché battesimo vuol dire immersione. Sulla croce, Gesù verrà immerso in tutto il male degli uomini, facendo vedere che Dio prende su di sé tutto il male senza restituirlo, anzi, donando il suo Spirito d’amore per donare amore a chi non ce l’ha, e che questa è la sua gloria, diametralmente opposta a quella umana. E aggiunge: anche voi berrete questo calice, perché chi segue davvero Gesù ha il suo stesso destino, ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra, cioè, avere il mio stesso potere di amare così non dipende da me, ma viene dato dal Padre a chi vuole diventare come me, a chi è disposto non a servirsi degli altri o ad avere gli altri sotto di sé, ma a servire gli altri. Questo fu anche lo stile di san Paolo che, nel brano di oggi, scrive ai cristiani di Tessalonica di aver annunciato il vangelo in mezzo a molte lotte, ma non per interessi personali, cercando la gloria umana, ma con l’amorevolezza di una madre e la fortezza di un padre. E questo deve essere lo stile di noi cristiani, oggi, in questo mondo, in questa società. E così sia.