domenica 21 luglio 2024

21/07/24 IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO B)

Nelle domeniche dopo Pentecoste, tipiche del nostro rito Ambrosiano, il Vangelo e la pagina di San Paolo sono scelte a partire dalla prima lettura, e ogni domenica, la prima lettura presenta, in ordine cronologico, un avvenimento della storia di Israele preso dalle pagine dell’Antico Testamento. Quattro 

domeniche fa si parlava di Abramo, poi di Mosè, poi di Giosuè, domenica scorsa dell’epoca dei Giudici e, oggi, del tempo della monarchia, quando regnava il re Davide. E della vita del re Davide, oggi abbiamo ascoltato un episodio molto singolare, quello in cui Davide danzava, mezzo nudo, con tutte le sue forze davanti al Signore intorno all’arca dell’alleanza dove erano custodite le tavole della Legge, per esprimere la propria gioia e per ottenere da Dio la benedizione per il suo popolo e per la sua casa. L’arca era per gli ebrei un po’ come quello che è per noi il tabernacolo, la presenza del Signore. Di contro, sua moglie Mikal, spinta dalla gelosia, quando il re torna a casa, lo rimprovera, manifestando la vergogna che aveva provato per lui davanti a tutti, in particolare alle altre serve. E Davide le risponde dicendo: non mi vergogno, e quindi non mi interessa niente se qualcuno mi giudica male perché mi sono messo a danzare svestito davanti all’arca di Dio, e sono pronto anche ad abbassarmi di più se fosse necessario pur di manifestare la mia gioia e la mia riconoscenza verso il Signore per tutto quello che ha fatto per me e per noi. E credo che sia questo tema del non vergognarsi di professare la propria fede a giustificare la scelta del brano di vangelo di oggi, quando Gesù, senza mezzi termini, dice: “Chi si vergognerà di me davanti agli uomini, anch’io mi vergognerò di lui”. Che non è una ripicca o una minaccia, ma una semplice constatazione. Se tu dici di essere mio discepolo, e poi, però, di fatto, coi tuoi comportamenti, ti vergogni a seguire la mia Parola e fai il contrario, anch’io mi vergognerò di te, cioè, non posso far altro che constatare che sei mio discepolo solo a parole, quando sei qui davanti a me in chiesa, poi, nella vita di tutti i giorni sei come tutti gli altri, e allora è inutile. Perché, vedete, il punto è questo. Per danzare bene bisogna per forza seguire la musica, la melodia, il tempo. Se vai fuori tempo, sei ridicolo, è meglio starsene seduti (come faccio io che sono un cane a danzare). E infatti, se leggiamo la vita del re Davide, ci accorgeremmo che, anche lui, a parte quel giorno, poi, di fatto, non danzò sulla musica di Dio: fu un uomo violento, un sanguinario e ne fece di cotte e di crude. E qual è la musica di Dio su cui dobbiamo danzare? Gesù lo dice in molto chiaro: vivere disposti a perdere la propria vita per causa mia e del Vangelo, perché questo è l’unico modo per guadagnarla. Che è un paradosso. Cosa vuol dire? Voler salvare la propria vita vuol dire vivere incentrati su sé stessi; perdere la propria vita, invece, vuol dire vivere a servizio degli altri. Gesù, quindi, sta dicendo: chi vive per gli altri, realizza pienamente la propria esistenza, chi vive centrato esclusivamente sui propri bisogni, sulle proprie necessità, la distrugge. Quindi, vivere per gli altri, dare, non è perdere, ma guadagnare, realizzare pienamente se stessi. Questa è la musica di Dio. Qual è il problema? Lo esprime bene san Paolo nel brano della lettera ai Corinzi che si lega a questo discorso, e cioè che ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Detto altrimenti, che la via vincente, agli occhi del mondo e del cosiddetto buon senso, sembra quella contraria a quella proposta da Gesù (infatti si vede come va il mondo), e chi fa il bene è giudicato un cretino (interessante che le parole cretino e cristiano abbiano la stessa radice). Per questo Gesù dice: chi vuole venire dietro di me (perciò Gesù non costringe nessuno), cioè se tu hai deciso di venire dietro di me, rinneghi sé stesso e si carichi della croce ogni giorno. Due espressioni molto forti e importanti che vanno capite bene, perché spesso vengono spiegate malamente, e fanno passare l’idea falsa che la musica di Dio su cui il discepolo di Gesù è chiamato a danzare la vita sia una musica brutta e triste. Rinnegare sé stessi non vuol dire essere masochisti e mortificare la propria esistenza, ma rinunciare ad avere pensieri e atteggiamenti di ambizione, di successo, di supremazia sugli altri. Sollevare la propria croce, invece, non vuol dire affatto, rassegnarsi e accettare le croci della vita. Gesù si riferisce al momento in cui il condannato alla crocifissione doveva sollevare da terra il patibolo e caricarselo sulle spalle, e percorrere il tragitto che, dal tribunale, lo conduceva al luogo in cui sarebbe stato giustiziato, e questo era il momento più tremendo, perché la gente aveva l’obbligo di insultare e malmenare questa persona, come sarebbe poi accaduto a Gesù, perché la croce era la pena di morte riservata ai rifiuti della società, verso cui provare vergogna. Perciò, Gesù sta dicendo: chi mi vuol seguire, chi vuol essere mio discepolo, vivere come me, cercando la felicità non in quello che si ha, ma in quello che si dà, vivendo il comandamento dell’amore, deve sollevare la sua croce, cioè, deve essere disposto a non vergognarsi di perdere la propria reputazione, di andare incontro al disonore e di essere considerato un cretino, un fallito. Questa è la musica di Dio. Gesù fece della sua vita una danza su questa musica. E noi cosa vogliamo fare?