Credo la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Questo ripeteremo tra poco nel credo. E se non fosse per questo, cioè se non credessimo a questo, tanto verrebbe essere qui a celebrare l’eucaristia, tanto vorrebbe essere battezzati, essere cristiani. La stessa vita perderebbe di senso, o meglio, l’unico
senso che la vita avrebbe è che la nostra meta è quella di finire sotto terra, mangiati dei vermi oppure diventare cenere, come del resto si legge nella Genesi: polvere sei e polvere tornerai. Però, a quel tempo, gli ebrei credevano che, quando si moriva, si finiva nello sheol, negli inferi che non sono l’inferno, ma sono il regno dei morti. Quando nel Credo apostolico diciamo che Gesù discese agli inferi vuol dire che Gesù morì veramente, come tutti, o meglio, morì il suo corpo. Poi, pian piano, presso gli ebrei, cominciò a maturare l’idea che, alla fine dei tempi, in un lontano futuro, i giusti sarebbero risorti, sarebbero tornati in vita, quindi nacque l’idea della risurrezione, intesa come la rianimazione di un cadavere. La novità portata da Gesù, dunque, non è che risorgeranno i morti alla fine dei tempi, appunto perché in questo credevano già i suoi contemporanei. E in ogni religione c’è la fede nella vita che continua anche dopo la morte del corpo, dopodiché in ogni religione ci sono modi diversi di pensare e intendere la vita dopo la morte e l’aldilà. La vera novità portata da Gesù è che Dio non fa risorgere i morti, quindi che la risurrezione non è la rianimazione di un cadavere, ma che la risurrezione è qualcosa che comincia già in questa vita terrena: chi crede in lui ha adesso la vita eterna, la stessa vita immortale di Dio. Per questo Gesù chiamava Dio col nome di Padre, non certamente per dire che Dio è un maschio, ma perché, nella concezione ebraica, era il padre, il maschio, a dare il suo seme di vita. Con Gesù, la risurrezione è la vita stessa di Dio che trasforma la nostra persona a sua immagine se, però, come Gesù, ci lasciamo guidare dal suo Spirito d’amore. E allora, quando arriva la morte del corpo, la persona, nella sua interezza, risorge completamente, cioè entra pienamente nella dimensione divina, si trasforma totalmente in Dio. Questo è quello che noi chiamiamo Paradiso. Non un luogo, ma una nuova dimensione, che però deve cominciare già in questa vita, perché, se non cominciamo a risorgere ora, e giungiamo morti interiormente quando muore il nostro corpo, allora sì che entriamo nella pienezza della morte. E questo è l’Inferno. Una bella immagine per comprendere meglio come il Paradiso non sia un luogo, ma la pienezza della risurrezione e che è qualcosa che, o comincia qui, perché iniziamo a risorgere ora o, altrimenti, se restiamo “morti dentro”, sperimenteremo la morte totale del nostro essere, ciò che chiamiamo Inferno, è quella del pensare alla vita terrena come il tempo della gestazione di un bambino nel grembo materno, e la morte come il momento del parto. Sarebbe terribile e assurdo che la vita finisse nel grembo senza mai venire alla luce: il parto è doloroso, ma necessario perché la vita sbocci. Ma chi muore nel grembo materno, nasce morto.
Perciò, credere nella risurrezione dei morti vuol dire
credere nella potenza di Dio di far risorgere noi vivi che, se non viviamo
nell’amore, siamo come morti, e così, quando il nostro corpo sarà morto,
continueremo ad essere vivi, e la risurrezione si completa. Per questo la
Chiesa non prega per coloro che hanno concluso il pellegrinaggio terreno
chiamandoli morti, ma chiamandoli defunti — termine che significa
“chi ha terminato una funzione e ne inizia un’altra”. I defunti non sono morti,
ma sono persone vive in Dio, non sono degli assenti che ci hanno lasciato, come
purtroppo si continua a leggere in tanti annunci funebri, ma sono presenti
nell’eterno riposo divino: non perché dormono (che noia serebbe), ma perché
stanno entrando in pienezza nel riposo di Dio, nella comunione totale con lui.
Stanno entrando.
Ecco, qui entra in gioco il Purgatorio. Riprendendo
l’immagine del parto: il neonato, appena nato, è sporco, deve essere lavato, la
luce lo acceca e gli occhi sono chiusi. Così il Purgatorio è il tempo in cui il
fuoco dell’amore di Dio brucia ciò che ancora impedisce al defunto di vedere il
suo volto. “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.”
Ieri abbiamo celebrato i santi, coloro che vivono la tutta
gioia del Paradiso perché sono già risorti e pregano per noi, mentre oggi
preghiamo per i defunti. Non per convincere Dio ad accoglierli — Dio è convinto
— ma per unire il nostro amore al suo, accompagnando la loro purificazione verso
la piena comunione col Signore.
Ecco perché è importante far celebrare le Messe per i
defunti: nella Messa, l’amore di Cristo si estende su tutti — su noi vivi, che
rischiamo di essere morti, e sui defunti, che forse sono più vivi di noi, ma
ancora sono in cammino verso la pienezza della comunione col Padre. Ecco perché
è sempre cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie
al Dio della vita, cioè fare Eucaristia.