Parlare oggi di re e regine è anacronistico: gli unici che conosciamo sono quelli delle riviste o delle dirette TV, come quando il mondo intero si è fermato per il funerale della regina Elisabetta o l’incoronazione di Carlo d’Inghilterra o della sua recente visita dal Papa.
Gli altri re e regine sono quelli delle favole. Resta il fatto che, nell’immaginario collettivo, quando si parla di re e regine, il pensiero corre agli eserciti, ai confini, ai palazzi, alle ricchezze e, soprattutto, al potere, di decidere, di sottomettere, di dominare. Per cui, il titolo di Re, addirittura dell’universo, attribuito a Gesù, corre il serio rischio di far pensare a Dio in questi termini. In realtà, questo titolo attribuito a Gesù vuole evidenziare qual è il vero potere di Dio. Il “potere”, in sé, è forse il dono più grande che abbiamo noi umani, perché “potere” vuol dire che noi “possiamo”, cioè che siamo liberi. Liberi di far tutto e il contrario di tutto. Perciò, il “potere” non è un male, anzi: il problema è come esercitiamo il nostro potere. Non è un caso che la festa di oggi concluda l’anno liturgico nel quale abbiamo ripercorso, di giorno in giorno, di domenica in domenica, come in un album fotografico, la vita e gli insegnamenti di Gesù. Non è un caso, perché questa festa ricapitola in sé tutto quello che Gesù ci ha fatto vedere di Dio, e che il potere di Dio non è quello di fermare le guerre, di risolvere il problema della fame e della povertà, di impedire le malattie, i problemi, le sofferenze e la morte. Ma che il potere di Dio è quello di continuare a infondere la sua stessa vita immortale a coloro che la accolgono, e a infondere il suo Spirito di amore, di consolazione e di speranza capace di trasformare il modo di pensare, di vivere, di affrontare la realtà, da parte di chi lo accoglie. Che Dio, insomma, esercita il suo potere di vita e di amore, non magicamente dall’alto, ma attraverso di noi. E’ l’insegnamento del vangelo che abbiamo appena ascoltato. Non dobbiamo arrabbiarci con Dio se c’è chi ha fame, chi ha sete, chi è forestiero e non viene accolto, chi resta nudo, chi vive in carcere situazioni penose, chi è malato e lasciato solo. Ma dobbiamo arrabbiarci con noi che non accogliamo il potere che Dio ci dona, quello di prenderci cura gli uni degli altri. E’ anche per questo che oggi si celebra la giornata diocesana della Caritas, che serve sia a promuovere e sostenere le attività della Caritas, ma a ricordarci che, sebbene in una comunità vi siano volontari deputati a svolgere servizi specifici, tutti dobbiamo imparare a esercitare il nostro potere verso gli altri finalizzandolo al bene di tutti. La visione del profeta Daniele che vede “uno simile a un figlio d’uomo” che riceve da Dio il potere e la gloria, significa che Dio mostra la sua gloria attraverso un “figlio d’uomo”, cioè un uomo pienamente umano, e quest’uomo è ogni uomo che vive come ha vissuto Gesù. San Paolo, nell’epistola, dice che Cristo risorto “deve regnare finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”, e che “l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte”. Non è poesia: è teologia incarnata. Ogni volta che scegliamo la vita invece della rassegnazione, la speranza invece del cinismo, la solidarietà invece dell’indifferenza, è Cristo che regna. Ogni gesto di bene è una piccola vittoria del suo Regno sul caos del mondo. Eppure, non è un regno che si impone dall’alto.
Non arriva con decreti, ma con mani che si tendono, con cuori che
ascoltano, con vite che si donano. E allora, alla fine, conclude san
Paolo, ecco che Dio sarà “tutto in tutti”. La festa di Cristo Re non è, quindi,
un’idea romantica o una chiusura trionfale dell’anno liturgico. È un esame
di realtà.
Gesù ci mette davanti la domanda più vera: “Dov’è che io regno nella tua vita?”.
Perché Dio regna quando perdono invece di serbare rancore, quando scelgo la
giustizia anche se costa, quando metto al centro le persone, non le cose,
quando mi metto a servizio degli altri, non per dovere, ma per amore. Quando
uso, cioè, il mio potere in questo modo. Quando capisco che che la fede non
è un’idea, una devozione o un modo per mettermi a posto la coscienza, ma qualcosa
che trasforma la mia vita.