Buon onomastico a tutti! La festa di oggi ci invita a guardare oltre, alla vita che vince la morte, alla santità, alla nostra chiamata personale a vivere secondo il Vangelo. La prima cosa da ricordare è che la santità non è un lusso o un premio per pochi eletti. È la vocazione di tutti. Essere santi significa vivere
come Dio vuole: non separarsi dagli altri, non elevarsi sopra qualcuno, ma diventare misericordiosi, come ci insegna Gesù nelle Beatitudini (Mt 5,1-12a). Essere santi significa scegliere ogni giorno gesti concreti: un sorriso a chi è solo, una parola gentile a chi è ferito, un perdono donato a chi ci ha fatto del male. Sono scelte semplici, apparentemente piccole, ma che trasformano la vita e cominciano a farci risorgere già adesso, perché Dio vuol far risorgere noi che siamo vivi. I santi che veneriamo non sono idoli da ammirare a distanza. Sono uomini e donne che hanno camminato nella vita reale, con le loro fragilità e le loro paure, ma con un cuore che ha saputo amare. L’Apocalisse (7,2-4.9-14) ce li mostra davanti al trono di Dio: una moltitudine immensa, proveniente da ogni popolo e lingua, vestita di bianco, con palme in mano, segno di vittoria. Sono persone che hanno vissuto sofferenze, ingiustizie, paure, ma hanno perseverato nell’amore e nella fedeltà a Dio, nella sua luce. Paolo, nella Lettera ai Romani (8,28-39), ci ricorda che nulla potrà separarci dall’amore di Dio: né la vita, né la morte, né le nostre paure o fragilità. Anche quando sbagliamo, quando ci sentiamo deboli, l’amore di Dio ci accompagna. È questo amore che trasforma le nostre ferite in occasione di amore, che ci permette di vivere da risorti ogni giorno. I santi ci mostrano che questo è possibile: vivere già ora il Paradiso, partecipare alla vita eterna, sentire dentro la luce che trasforma la nostra vita. Ecco perché il Paradiso non è solo un luogo lontano e nemmeno un premio futuro. Inizia adesso se viviamo secondo le beatitudini e sarà la dimensione divina a cui parteciperemo dopo la morte del nostro corpo, a cui Dio ci ha destinato. Ma la festa di oggi ci richiama anche all’altra faccia della medaglia: l’Inferno, la possibilità di non godere di questa beatitudine. È quella che l’autore dell’Apocalisse chiama la “morte seconda” di cui parla l’Apocalisse. La prima morte è quella del corpo — inevitabile. Non è da questa che Gesù ci ha salvato. Ci ha salvato dalla seconda, che comincia già qui, quando si vive senza amore, e continua dopo la morte del corpo, perché chi vive senza amore qui, è già morto adesso. Nel Cantico delle Creature, Francesco scriveva che dalla prima morte nullo omo po’ scappare, mentre la seconda morte non toccherà quelli che hanno vissuto nell’amore. Se la vita terrena è come i mesi della gestazione di un bimbo nel grembo materno, e la morte del corpo è come il momento del parto, se il bambino è vivo nel grembo, nasce vivo. Se è morto, nasce morto. Così siamo noi. Se dentro di noi c’è già vita — vita che ama — la morte del corpo ci introduce nella pienezza della risurrezione, nel paradiso, nella comunione dei santi. Se dentro siamo già morti, nel momento della morte… nasciamo morti. Mentre il Paradiso sarà la tuttagioia che godrà chi è già risorto adesso. Domani, commemorando i defunti del Purgatorio, pregheremo per tutti coloro che sono già sulla strada dell’amore perché entrino pienamente nella luce di Dio, senza separazioni.