La terza domenica dopo il Martirio di san Giovanni Battista di quest’anno coincide con la festa
dell’esaltazione della croce, un festa che fu celebrata per la prima volta nell’anno 335 quando a
Gerusalemme, sopra il sepolcro di Gesù, fu eretta la basilica della Risurrezione. Ed è una felice coincidenza,
perché le letture delle domeniche dopo il Martirio vogliono aiutarci a rispondere alla domanda di Erode che
due domeniche fa leggevamo nel vangelo: chi è costui, chi è Gesù e, di conseguenza, chi è Dio? E la festa di
oggi, in particolare il breve brano di vangelo che abbiamo ascoltato, ci da una risposta che continua anche
oggi, dopo 2000 anni, ad essere sempre splendida e insieme sconvolgente. Noi siamo talmente assuefatti
che rischiamo di passare
sopra al significato delle parole: esaltazione della croce vuol dire esaltazione di un
orrendo strumento di morte. Noi esalteremmo la sedia elettrica o la ghigliottina, che purtroppo è tornata di
moda? Evidentemente no. Diamo per scontato fare il segno di croce o avere una croce appesa in casa, al
collo o addirittura al polso o, qualcuno, ai lobi delle orecchie, come un orpello o un soprammobile. Ci
scandalizzeremmo se appeso al collo o sul muro di casa ci fosse un uomo impiccato, eppure, in sostanza,
non cambia molto. Ma allora perché ci permettiamo di esaltare la croce? La risposta la troviamo nel
vangelo di oggi, ma per capire le parole di Gesù dobbiamo prima guardare, come sempre, al contesto in cui
sono inserite. Gesù sta parlando con Nicodemo, un fariseo, che era andato da lui di nascosto, di notte, per
fargli delle domande, e Gesù gli fa vedere la luce. Noi siamo abituati a considerare i farisei come ipocriti,
perché Gesù spesso li accusava di essere persone che ci tenevano ad apparire giusti davanti a Dio e agli
uomini, quando invece non amavano né Dio né gli uomini. In realtà, i farisei erano uomini zelanti, devoti,
pii, che conoscevano la religione e la praticavano fin nei minimi dettagli, sacrificando a Dio la loro vita. Gesù
invece gli fa capire che Dio non vuole che gli sacrifichiamo la vita, ma che viviamo. Non ci ha dato la vita per
rubarcela, allora poteva tenersela: ce l’ha data perché ne godiamo, godiamo del suo amore e ci amiamo tra
di noi, questa è la vita. Una cosa che anche noi, che pur siamo discepoli di Gesù, purtroppo continuiamo a
far fatica a capire. Gesù vuole distruggere l’immagine diabolica che abbiamo di Dio, come se Dio fosse il
dovere e l’aguzzino che bisogna tener buono a tutti i costi se no ti punisce. Diabolica perché viene da
Satana. È il motivo per cui molti si allontano da Dio e molti altri vivono la fede come un obbligo a dei doveri.
Per questo spesso ripeto che il problema non è credere in Dio o non crederci, ma in quale Dio noi crediamo.
E per capire chi è Dio, gli spiega Gesù, bisogna rinascere dall’alto, cioè lasciarsi guidare non dalle nostre
idee, ma da quello che Gesù ci rivela, perché solo lui, e così arriviamo alle parole del brano di oggi, che è
disceso dal cielo, e cioè che viene da Dio, è in grado di farci salire al cielo, di farci capire chi è Dio
veramente. Allora Gesù fa un paragone con l’episodio che abbiamo riascoltato nella lettura di oggi, quando
nel deserto il popolo fu morso dai serpenti e la gente moriva. Allora Dio disse a Mosè di fare un serpente di
bronzo, di innalzarlo e chi avesse guardato il serpente di bronzo sarebbe guarito dal morso del serpente. Un
fatto misterioso che Gesù applica a sé. Il serpente è il simbolo del male, del veleno, della menzogna, che ci
fa pensare a Dio come cattivo, giudice, nemico. Se io penso che mio padre e mia madre sono cattivi, non
vivo felice: non mi sento amato da chi mi ha generato, quindi non mi accetto come oggetto d’amore, quindi
non posso amare e allora faccio il male a mia volta. Cosa farà invece il Figlio dell’uomo? E’ come il serpente
di bronzo innalzato nel deserto. Tutto il male che facciamo, simboleggiato dal serpente, lo porta sulla croce,
e vedendo lui che ci ama fino al quel punto da identificarsi col nostro male senza giudicarci, senza
condannarci, lasciandosi uccidere piuttosto che giudicarci e condannarci, comprendiamo finalmente chi è
Dio: è un Padre che mi ama infinitamente, io sono figlio amato e gli altri sono miei fratelli. Se capisco
l’amore di Dio per me, rinasco dall’alto, a vita nuova. Quando uno vive veramente? Non quando nasce,
perché quando nasce, nasce mortale e poi muore. Uno vive veramente quando è amato. Quindi ciò che ci
fa nascere è l’amore. Nel Battesimo noi siamo rinati dall’alto: vuol dire che non veniamo dal fato o dal caso,
ma da un Padre che ci ama immensamente e ce lo rivela sulla Croce del Figlio. Per questo la esaltiamo,
perché la croce rivela qual è la gloria di Dio e chi è Dio. Il male c’è, lo facciamo. E Dio dove sta? Sta
impassibile oppure ci punisce? E allora chi si salva? Nessuno. No, bisogna che Gesù sia innalzato sulla croce
per mostrare che Dio ci ama talmente che non ci punisce qualunque cosa facciamo perché è Padre e ci
perdona. Dalla Croce comprendiamo l’amore di Dio per questo mondo pieno di male. E’ l’amore il pane che
ci fa vivere come uomini. Del resto si muore. Di egoismo, di odio, di violenza si muore. E uno può vivere
solo se sa di essere amato da chi lo ha generato, lo abbiamo detto. Gesù sulla croce ci libera dal peccato
originale col quale tutti nasciamo, quello di pensare Dio in modo sbagliato, e così poi vivere male tutta la
vita, il rapporto con Dio e con gli altri. E perché il Padre manda il Figlio e non viene lui? Perché il Figlio ci può
insegnare una cosa che il Padre non ci può insegnare. Gesù ama tutti come fratelli perché sa di essere figlio
amato, e anche noi possiamo fare la stessa cosa se impariamo a sentire che Dio è Padre nel modo in cui lo
sentiva Gesù. E torno a dire che, se noi non ci riconciliamo con le nostre radici, non possiamo vivere. Come
può vivere uno che pensa che suo padre e sua madre lo odiano e gli sono contro? Quando pensiamo di Dio
la stessa cosa, ecco che la religione diventa come quella dei farisei, fatta per tenere buono Dio che se no ci
manda all’inferno. La Croce ci guarisce dal morso di questo serpente, da questo veleno che ammorba la
nostra esistenza. Per cui chi crede nel Figlio ha la vita, perché credere in lui vuol dire vivere come figli amati,
e la vita eterna è questo, vivere da figli e da fratelli, amarci come Dio ci ha amati, non vivere da padreterni.
Se io non accetto di essere figlio, non mi amo come figlio, faccio tanto male a me e agli altri, cerco il potere,
cerco di dominare, e questa non è vita, è morte, è violenza. Sulla croce Gesù ci mostra che Dio non vuole
condannare nessuno, ma vuole salvare tutti. Ma Dio ha un difetto che dovremmo imparare ad avere anche
noi, che rispetta la nostra libertà. Il suo giudizio sul mondo è che il male c’è e che preferisce finire in croce
lui piuttosto che condannare noi. Ma poi spetta a noi, alla nostra libertà, lasciarci avvolgere o meno da
questo amore e vivere di conseguenza. E dunque, credo che quando la croce diventa un soprammobile o un
orpello da appendere al collo, sia davvero squallido.