domenica 28 settembre 2014

V DOMENICA DOPO IL MARTIRIO ANNO A 2014


Chi è sempre venuto a messa in queste cinque domeniche che nel nostro rito ambrosiano si chiamano “dopo il Martirio di san Giovanni Battista” si è accorto che le letture ci stanno aiutando a trovare risposta alla domanda che nel vangelo della prima domenica il re Erode si poneva davanti a Gesù, e cioè chi è Gesù, e di conseguenza chi è Dio. Domande fondamentali perché non serve a niente credere che Gesù è il Figlio di Dio o credere che Dio esiste se poi la mia vita va avanti lo stesso come se Dio non ci fosse. Nel vangelo di oggi Gesù ripete esattamente le stesse parole contenute nel Deuteronomio e dice che il comandamento più grande consiste nell’amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, con tutta la mente, cioè fare in
modo che Dio c’entri con tutto, col mio modo di pensare, di parlare, di agire, di vivere, da quando mi sveglio al mattino a quando vado a letto la sera. Altrimenti, se la mia vita va avanti lo stesso anche senza Dio, io posso venire a Messa tutti i giorni, recitare ogni giorno il rosario soprattutto in questo mese di ottobre che è appunto il mese del rosario, fare l’animatore, il catechista, l’educatore, il prete e la suora, ma non serve a niente. Se la mia vita va avanti lo stesso anche senza Dio, noi oggi celebriamo la giornata del Seminario, ma il seminario resterà vuoto, perché se la mia vita va avanti lo stesso anche senza Dio, vuol dire che non ho capito la bellezza dell’essere cristiano, e figuriamoci allora se ad un ragazzo viene in mente di diventare prete. Ma per capire la bellezza dell’essere cristiano, devo capire chi è il Dio che Gesù ci ha rivelato. Lo ripeto sempre: il problema non è credere o non credere in Dio. In Dio ci crede anche il diavolo. Il problema è in quale Dio uno crede. Se io credo che Dio sia cattivo, vivo nella paura, scappo e divento cattivo; se Dio è un giudice, resto nella paura, cerco di fare il bravo non per amore, ma per paura di essere punito, e tratto anche gli altri allo stesso modo, o cercando di amarli per dovere oppure diventando a mia volta giudice; se Dio è un padrone, io sono uno schiavo e voglio che tutti diventino a loro volta miei schiavi e schiavi di questo Dio, come fanno quelli dell’Isis in Iraq; se Dio è la macchinetta dei miracoli, io lo cerco non per amore, ma per ottenere le grazie che voglio, come la folla del vangelo di domenica scorsa che cercava Gesù perché non aveva capito il significato del miracolo dei pani ed era alla sua ricerca per avere la merenda gratis, come polli rimbambiti alla ricerca del mangime, e Dio è una macchinetta è chiaro che poi è facile arrivare a perdere la fede quando Dio non interviene come vogliamo noi per aggiustare le cose che vanno male. Ecco allora perché la domanda chi è Gesù diventa fondamentale, perché Gesù è colui che invece rivela il vero volto di Dio, e credere in lui, credere che lui sia il Figlio di Dio, come ripetiamo nel credo, altrimenti non saremmo cristiani, non serve a nulla se non ascolto la sua parola che spiega chi è Dio veramente. Allora ecco che credere in Gesù significa fidarsi di quello che lui ci ha detto su Dio, scoprendo che Dio è completamente diverso, per fortuna, da quello che abbiamo in testa noi, che ci inventiamo noi. E le letture delle scorse domeniche e di oggi toccano il cuore di questa questione centrale. Gesù rivela che Dio non è né cattivo, né giudice, né padrone, né macchinetta dei miracoli, ma è Padre, padre di tutti gli uomini, che ama tutti come suoi figli, che li ama non perché esaudisce tutti i loro desideri, ma perché è fedele alle sue promesse. E la promessa di Dio qual è? Che se noi viviamo come figli a immagine di Gesù che è il Figlio, sentendo Dio come Padre che ci ama e amando di conseguenza gli altri come fratelli, abbiamo la vita eterna, la vita stessa di Dio, non solo dopo la morte, ma già adesso, perché dal giorno del nostro Battesimo egli ci ha reso suoi figli. E avere la vita eterna, la stessa vita di Dio, vuol dire vivere una vita autentica, essere nella pace anche in mezzo alle tempeste della vita. Se Dio è Padre e io sono figlio amato, vuol dire che tutto è un dono e che allora devo vivere la vita senza pretendere nulla né da Dio né dagli altri, come se fossi un padreterno. Se Dio è Padre e io sono figlio amato, vuol dire che mi ha dato la vita non per togliermela, altrimenti poteva tenersela, per cui sofferenze, dolori e morte sono passaggi inevitabili di quel pellegrinaggio che è la vita terrena destinata a non finire mai dopo la morte del mio corpo. E sulla croce Gesù rivela fino a che punto arriva l’amore di questo Padre: perdonando chi uccide suo Figlio perché tutti sono suoi figli, e il Figlio, sentendosi amato dal Padre, a sua volta perdona i suoi uccisori perché sono suoi fratelli. Quindi anch’io, che nel Battesimo e nella Cresima ho ricevuto lo Spirito di Figlio, lo Spirito di Gesù, posso amare gli altri nel modo in cui il Padre mi ama come figlio e Gesù mi ama come fratello. Ecco perché l’amore per Dio e l’amore verso il prossimo sono uniti, non possono essere disgiunti e diventano un solo ed unico comandamento, altrimenti sarei un ipocrita chiamando Dio col nome di Padre e non vivendo come figlio e fratello. Per questo, lo scopo della preghiera cristiana è quello di farci diventare come Gesù, e se uno fa passare una per una le richieste del Padre nostro, si accorge che si riassumono nel chiedere al Padre di vivere come Gesù da figli e da fratelli, tanto è vero che il pane quotidiano che gli chiediamo è il pane della vita, come Gesù si definiva nel vangelo di domenica scorsa, e questo pane della vita è Gesù stesso, è chiedere al Padre di vivere con lo stesso spirito di Gesù, lo spirito dell’amore. Quindi, i sacramenti e le preghiere non servono a Dio: sono il modo per entrare in contatto con Dio questo Dio perché lui mi trasformi la vita, altrimenti è come mettere la benzina nel serbatoio della macchina e poi lasciarla in garage. Non ci salviamo perché veniamo a Messa e perché preghiamo, ma se ci lasciamo trasformare dalla Messa e dalla preghiera. Lo spiega bene san Paolo nella lettura di oggi. Nella tradizione ebraica la circoncisione è il segno dell’appartenenza a Dio, e Paolo spiega che io non appartengo a Dio perché sono circonciso nel corpo. Non sono salvo perché sono circonciso, ma perché Gesù, morendo sulla croce, mi ha mostrato che Dio mi ama come un Padre a prescindere dai miei meriti. Per cui io non amo gli altri per dovere o per avere una ricompensa, ma perché sono figli amati da Dio come me. E li posso amare solo se per primo mi sento io figlio amato da Dio. Se mi sento amato, amo me stesso. Se mi odio o mi faccio schifo, sarò pieno di odio e quindi odierò anche gli altri. Amare se stessi è volersi bene così come si è, e io posso volermi bene così come sono perché so che Dio mi ama così come sono, bello o brutto, buono e cattivo, e allora divento capaci di amare gli altri allo stesso modo in cui sono amato da Dio. E ho la vita eterna, cioè ho Dio, vivo in comunione con Dio adesso e per sempre, perché Dio è amore e Dio è eterno. Questa è l’essenza, il cuore, della nostra fede cristiana. Capite che le conseguenze del credere in un Dio così sono ben diverse da quelle di chi decapita la gente in Iran, evidentemente perché credono in un Dio purtroppo molto diverso da quello rivelato da Gesù.