Chi ha sempre partecipato alle messe domenicali di queste
domeniche del tempo che nel nostro rito Ambrosiano si chiama dopo il Martirio
di San Giovanni Battista, si è accorto che letture ci hanno aiutato pian piano
a rispondere alla domanda che nel Vangelo della prima domenica si faceva il re
Erode a proposito di Gesù: si chiedeva chi fosse quell’uomo, cercava di
vederlo, di incontrarlo, così come nel Vangelo di due domeniche fa anche la
folla cercava di vedere e incontrare Gesù, era alla sua ricerca. Una cosa che
di per sè è bellissima e fondamentale, cercare Gesù. Il punto è capire perché
lo cerco. Erode lo cercava perché voleva imparare il segreto per fare i
miracoli anche lui, e quando alla fine del Vangelo se lo ritroverà davanti gli
chiederà di compiere qualche miracolo, Gesù se ne resta in silenzio, ed egli lo
caccia via come un cialtrone. Allo stesso modo la folla cercava Gesù perché,
dopo aver assistito al miracolo dei pani, sperava che Gesù fosse colui che era
venuto a dar da mangiare gratis a tutti. Anche Pietro e gli apostoli, che pur
avevano creduto che Gesù era il Cristo, alla fine lo abbandonarono, lo
rinnegarono, lo tradirono, perché si accorsero che non era il Messia che si
attendevano, quello che avrebbe liberato il popolo dall'oppressione dei romani.
Allo stesso modo anche noi. Dio nessuno lo ha mai visto e tutti ce lo
inventiamo a nostra immagine. Dio, se esiste, deve essere fatto come diciamo
noi. In sostanza, una macchinetta che fa miracoli, che mette le cose a posto,
che fa giustizia, che aiuta, che protegge, che mette le pezze e ci risolve i
problemi. Se Gesù fa tutto questo, allora è Dio e crediamo in lui. Insomma, noi
sappiamo già chi è Dio e proiettiamo su Gesù la nostra idea di Dio. E questa è
la causa dell'ateismo, perché quando di fatto ci accorgiamo che Gesù non agisce
come vorremmo noi, entriamo in crisi di fede. Invece, proprio perché Dio non lo
conosciamo, è Gesù a dirci chi è veramente Dio, e tutto il vangelo, e i brani
letti in queste domeniche, ci fanno vedere che Dio non è quello che abbiamo in
mente noi. Nel vangelo della seconda domenica Gesù rivelava che Dio è Padre e
lui è suo Figlio. Una frase che noi diamo per scontata, e che invece ha
conseguenze pazzesche. Se è Padre, vuol dire che non è un giudice di cui aver
paura, non è una macchinetta dei miracoli, non è un padrone, perché un Padre
lascia liberi i suoi figli e vuole che con lui si intrecci un rapporto di amore
libero, di riconoscimento reciproco. Se Dio è Padre che ama tutti i suoi figli,
vuol dire che gli altri sono miei fratelli che io sono chiamato ad amare in
quanto miei fratelli e non per avere una ricompensa, ed era il vangelo di
domenica scorsa. E l'amore di Dio si rivela pienamente sulla croce, come
contemplavamo nella domenica della festa dell'esaltazione della croce, perché sulla
croce Gesù distrugge l'immagine sbagliata e diabolica che noi abbiamo di Dio.
Un Dio che risponde al male facendosi uccidere lui piuttosto che uccidere noi,
che risponde al male col perdono. Sulla croce il Padre perdona chi uccide suo
Figlio, perché tutti gli uomini sono suoi figli, e il Figlio, sentendosi amato
dal Padre, perdona tutti gli uomini perché sono suoi fratelli, facendoci il
dono dello Spirito santo, che è l'amore che unisce il Padre e il Figlio,
cosicché anche noi possiamo ricevere la forza di fare altrettanto. Per cui
scopo della vita è imparare a vivere come Gesù, col suo spirito, come figli del
Padre e fratelli tra noi, perché solo così abbiamo la vita stessa di Dio,
viviamo una vita vera adesso e quindi abbiamo la vita eterna che è iniziata dal
giorno del nostro Battesimo e che continua
dopo la morte del nostro corpo. Ne deriva che anche la morte non è più
la fine di tutto, da temere è da scacciare, perché in questa prospettiva, se
Dio è Padre e vuole la vita dei suoi figli, vuol dire che la morte del corpo è l'ingresso
definitivo nella vita di Dio, e così la vita diventa un pellegrinaggio verso
una meta, non un vagabondaggio verso non si sa che cosa, cambiano tutte le
nostre prospettive, e questa è la buona notizia del Vangelo. Ecco, le letture
di oggi, così belle e diverse tra di loro, ci mostrano altre conseguenze di
cosa vuol dire capire che Dio è Padre. La conseguenza è la pace del cuore,
perché tutto è un dono, tutto ho ricevuto, e vivo la vita senza pretendere
niente, che poi è ciò che regolarmente ci fa star male e vivere in lotta
perenne, come se tutto ci fosse dovuto. Riconoscere che tutto è un dono ci fa
vivere invece in una perenne dimensione eucaristica, cioè di rendimento di
grazie, sapendo che da Dio veniamo e a lui facciamo ritorno. Ecco cosa intende
Gesù parlando di servi inutili, una traduzione che non rende fino in fondo,
perché non è inutili, ma senza pretese. Se sono figlio e gli altri sono miei
fratelli e io ho vissuto da figlio servendo i fratelli, questa è già la mia
ricompensa, perché lo scopo della mia vita è questo, non un altro. Io amo non
per avere una ricompensa, la mia ricompensa è che amando io vivo da figlio è da
fratello, cioè vivo per quello che sono chiamato ad essere, come Gesù. Vi
faccio notare che con questa parabola Gesù sta parlando di se, perché è lui che
nell'ultima cena si mette a servire senza la pretesa di essere ricompensato,
perché sa che quel padrone in realtà è suo Padre, e la ricompensa ce l'ha già
facendo quello che deve fare, comportandosi cioè da fratello. Allo stesso modo
Paolo scrive a Timoteo di svolgere bene il suo servizio, di fare quello che
deve fare, pronto anche a subire persecuzioni come quelle che stava subendo
Paolo in prigione, perché la ricompensa è proprio la gioia di annunciare una
notizia così straordinaria e rivoluzionaria come quella del Vangelo. E poi
Giobbe, protagonista di un racconto scritto prima della venuta di Gesù per
parlare del male che colpisce il giusto il quale si domanda perché capitano
tutte a me, perché Dio permette il male. Dio lo permette perché altrimenti
tutta la creazione e pure noi uomini saremmo burattini, non esisterebbe la
libertà. Gesù sulla croce mostra che Dio di fronte al male mostra il suo amore
condividendolo con noi, e quando la sofferenza è provocata dal male degli
uomini, a rispondere al male col bene, come Gesù, unica arma per fermare il
male. Ebbene, abbiamo letto l’inizio della vicenda di Giobbe, quando, durante
il pranzo, in un momento di festa, gli arrivano notizie catastrofiche, che sta
perdendo tutto quello che aveva, anche tutti quelli che egli ama. Ed egli,
incredibilmente, prorompe in una delle professioni di fede più alte e commoventi
che si leggano nella Bibbia. Il Signore ha dato, vuol dire che tutto è dono,
che nulla posso pretendere, il Signore ha tolto, lo benedico lo stesso. Una
confidenza senza pretese che diventa addirittura benedizione. Ci fa quasi paura
una fede così profonda e intensa, però ci suscita il desiderio di poterla avere
anche noi.