domenica 12 ottobre 2014

VII DOMENICA DOPO IL MARTIRIO ANNO A 2014

Il tempo dopo Pentecoste volge al termine. E’ iniziato a Pentecoste, l’otto giugno, e per più di dieci settimane, che per molti hanno coinciso con le vacanze, la Parola di Dio della domenica ci ha condotto come ogni anno a vedere in che modo nella Bibbia Dio pian piano rivela il suo volto di amore e la sua volontà di salvezza, fino ad arrivare a quando Giovanni Battista annuncia che Gesù è colui che ci fa vedere pienamente il vero volto di Dio, e così sono iniziate le settimane dopo il Martirio di san Giovanni e che oggi si concludono, nelle quali, di domenica in domenica, abbiamo visto come il Dio di Gesù è ben diverso da quello che abbiamo in mente noi. Domenica prossima,
festa della Dedicazione del Duomo di Milano, iniziano le ultime tre settimane del tempo dopo Pentecoste e che ci condurranno al nuovo anno liturgico con l’inizio dell’Avvento, e saranno le settimane dopo la Dedicazione, nelle quali la Parola di Dio ci dirà come la Chiesa è chiamata ad annunciare a tutto il mondo il vero volto misericordioso di Dio, e in queste settimane sale intensa la preghiera per i vescovi riuniti a Roma per il Sinodo sulla famiglia, perché lo Spirito santo li illumini e possano riuscire, come desidera il Papa, a trovare percorsi davvero evangelici per annunciare il vangelo della misericordia a tutte quelle coppie e famiglie che vivono situazioni difficili. Ma la Chiesa non sono gli altri, la Chiesa siamo noi, sono io, e ognuno di noi è raggiunto da questa Parola, che è Dio stesso che ci parla per trasformare la nostra vita in meglio, altrimenti a che serve essere cristiani ed essere qui, se non ci lasciamo toccare da questa Parola? Gesù, in queste domeniche, ci ha detto come Dio è un Padre che ama ogni suo figlio, e credere in un Dio così fa crollare tutte le nostre false idee su Dio, che Dio sia un giudice di cui aver paura, un padrone che da gli ordini e ci paga a seconda di come svolgiamo il nostro lavoro, o una macchinetta dei miracoli. Piuttosto, se è un Padre che mi ama, vuol dire che io mi sento amato, che tutta la vita è un dono, e quindi devo vivere da servo inutile, senza pretese, come diceva il vangelo domenica scorsa, e la conseguenza è che, sentendomi figlio amato, non posso far altro che avere come scopo della vita quello di amare gli altri come me stesso, come fratelli, perché se Dio è padre di tutti gli altri sono miei fratelli, nel modo in cui Gesù ha amato ciascuno di noi sulla croce, usando come arma quella del perdono, rispondendo al male col bene. Purtroppo noi ci accorgiamo che questa Parola che parla a me fa fatica ad attecchire, è facile rifiutarla, continuando a vivere senza che cambi nulla, e per questo è molto bello e significativo che le letture di quest’ultima domenica dopo il Martirio si concentrino tutte su questo tema, in particolare il vangelo, per cui vorrei concentrarmi un attimo su questa pagina molto bella che va capita bene, e non mi soffermo invece sulle altre letture, se non accennando qualcosa mentre provo a spiegare questa parabola, anche se in effetti l’ha già spiegata Gesù, però c’è il rischio di interpretare male le sue parole, come vedremo. Anzitutto Gesù con la parabola del seminatore che semina su ogni tipo di terreno vuol spiegare che Dio non si arrende di fronte a chi lo rifiuta e vuole salvare tutti perché tutti sono suoi figli. Poi i discepoli gli chiedono perché parla in parabole, come per dire: se gli altri non vogliono capire, che si arrangino, cosa te la cacci a fare, dimenticando che questi altri siamo noi. E qui Gesù cita le parole di Isaia che richiamano quelle che abbiamo ascoltato nella lettura. Gesù parla in parabole, espone la verità di Dio in parabole, perché Dio rispetta la nostra libertà, si rivela e si manifesta in ogni cosa, ma sta a noi voler capire o meno. Le parabole sono come un dono impacchettato: vedendolo, Dio spera che tutti siano incuriositi e lo aprano per vedere cosa c’è dentro, ma non forza la libertà di nessuno. E veniamo alla spiegazione della parabola che da Gesù e che, come dicevo, va intesa bene, perché normalmente noi interpretiamo le sue parole in chiave moralistica, come se egli stesse dicendo: siate buoni e bravi perché se voi siete cattivi la parola di Dio non cresce, quindi dipende da voi. Ora, siccome noi siamo cattivi, è facile concludere dicendo: la Parola di Dio non è per me. Invece, Gesù sta dicendo il contrario. Come il contadino, che non è un imbecille, ha la certezza che il terreno produce, se no non seminerebbe, allo stesso modo Gesù ha la certezza assoluta che la Parola di Dio, se viene ascoltata e compresa, riesce ad operare nel nostro cuore, nonostante tutte le difficoltà che ci sono, e Gesù analizza queste difficoltà. Quindi, non è che noi siamo uno di questi quattro terreni, c’è chi è un terreno buono e chi è quello cattivo, ma in ciascuno di noi ci sono queste difficoltà, e questa Parola entra lo stesso nelle nostre difficoltà per vincerle. La prima difficoltà: che la Parola di Dio ci entra in un orecchio ed esce dall’altro, e perché succede? Perché siccome Dio non la pensa come noi, il maligno ci fa credere che è meglio pensare e vivere come fanno tutti.
Esempio: si si, Dio è Padre, noi siamo figli, gli altri sono fratelli da amare, ma siamo concreti, come si fa, la vita è un’altra cosa. Ebbene, dice Gesù, se ti fidi di quello che dico io, il maligno viene vinto, per cui la fede è credere in questa Parola. La seconda difficoltà: che al momento ci fidiamo, l’accogliamo con gioia, ma al primo ostacolo ci blocchiamo. Perché succede? Perché abbiamo un cuore sassoso, cioè morto, chiuso nelle nostre paure, senza speranza, pensiamo di non farcela a vivere come ci ha detto Gesù. Ebbene no, questa Parola è capace di rendere vivo il nostro cuore. La terza difficoltà: questa Parola non attecchisce perché il logorio della vita quotidiana con tutte le sue preoccupazioni ci fa cercare le nostre sicurezze e garanzie da altre parti. No, dice Gesù, la sua Parola non solo ti da la fede e la speranza, ma anche quell’amore per lui che ti rende capace di che cosa? Di vincere queste difficoltà e diventare il terreno bello, perché Dio ci ha fatto per questo. Quindi, come vedete, nessuno ha il diritto di sentirsi inadeguato o cattivo terreno. L’unica cosa da fare è imparare, come Maria, a non smettere di stare in ascolto, come il terreno arato che attende l’acqua dal cielo e il seme, e poi, pian piano, ognuno coi suoi tempi, certamente questo seme germoglierà.