La festa di oggi è ricca di rimandi simbolici molto
significativi. Il Duomo di Milano è cattedrale, ovvero sede della cattedra del
Vescovo, dove il Vescovo insegna, e il
Vescovo è successore degli Apostoli, come gli altri vescovi riuniti a Roma dove
oggi si conclude la prima fase del Sinodo sulla Famiglia e viene beatificato
Paolo VI, che fu arcivescovo della diocesi di Milano a cui noi apparteniamo per
otto anni, fino a quando divenne Papa nel 1963 e concluse i lavori del Concilio
Vaticano II. Apostolo, vescovo, diocesi, sinodo, concilio: quanti rimandi
queste parole, rimandi ad una realtà più grande, che ha più di duemila anni di
storia, e cioè la Chiesa, alla quale tutti apparteniamo, perché la Chiesa è il
popolo di Dio, dei battezzati, dei discepoli di Gesù, il suo
corpo, il suo
tempio, (il luogo dove Dio abita, la sua casa, la sua sposa, la nuova
Gerusalemme). E i cristiani, nel corso della storia, hanno costruito edifici
magnifici come il Duomo, che richiamano la grandezza e la bellezza di Dio, una
bellezza che deve irradiarsi nel cuore, nel volto e nella vita di coloro che
gli appartengono. Che bello sapere che noi gli apparteniamo, che Dio conosce il
nome di ciascuno di noi, come diceva Paolo nel brano della lettera a Timoteo, e
se gli apparteniamo, diceva sempre l’apostolo, siamo chiamati ad essere vasi
nobili e non spregevoli, cioè ad essere ancora più belli del Duomo di Milano e
di tutte le belle liturgie che celebriamo nelle nostre chiese. Ma in cosa
consiste la bellezza di Dio? Le letture di tutte le scorse domeniche ci hanno
aiutato a vederla e il vangelo di oggi fa come da sintesi. Gesù è appena
entrato a Gerusalemme cavalcando un asino, facendo vedere che la bellezza di
Dio non è quella che pensiamo noi, ma è la bellezza dell’asino: Dio è amore che
dona la vita, questa è la sua bellezza. Il potere di Dio è amore che perdona e
si fa servizio. Il contrario di tutto quello che abbiamo in mente noi. È
difficile capire questa cosa, anche per noi dopo duemila anni di cristianesimo,
e la storia della Chiesa, fin dai tempi degli apostoli, è costellata di storie
di santità e di peccati, il che vuol dire che la Chiesa non è un popolo di gente
perfetta, ma di peccatori che hanno continuamente bisogno di essere purificati,
e infatti il gesto violento compiuto da Gesù nel tempio di Gerusalemme, che era
la chiesa del popolo ebraico, è un gesto di purificazione. Gesù vuole
purificare e distruggere l’idea sbagliata di Dio dalla quale nascono tutti gli
errori e le cattiverie tra gli uomini. Il profeta Malachia diceva che Dio avrebbe
preso possesso del suo tempio come fuoco che distrugge, come la candeggina che
sbianca tutto, e questa profezia si realizza con Gesù. Egli rovescia i tavoli
dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe. Era previsto che vi
fossero perché chi entrava nel tempio doveva acquistare gli animali da
sacrificare al Signore, e chi veniva da fuori doveva cambiare le monete, e al
cambio, anche allora, gli veniva fatta la cresta (ne avete fatto un covo di
ladri). Ma non è perché facevano i ladri che Gesù rovescia tavoli e sedie, ma
perché vuole purificare l’immagine distorta di Dio. Dio non è una prostituta da
comprare per ottenere quello che vogliamo, non dobbiamo pregare e fare
sacrifici per comprarci Dio, per rendercelo buono, per ingraziarcelo, come se
fosse cattivo e tremendo, mercanteggiare con lui, perché Dio è Padre e noi
siamo suoi figli che abbiamo ricevuto da lui la sua stessa vita, e quindi Dio è
amore che vuole entrare in comunione con noi, e noi dobbiamo abbandonarci con
fiducia a lui. Infatti, citando poi i profeti Isaia e Geremia per spiegare il
suo gesto, dice: la mia casa è di preghiera, non di compravendita. Dove abita
Dio, qual è la sua casa? Dicevamo prima che è la Chiesa. La Chiesa siamo noi,
ciascuno di noi, quindi il tempio di Dio, il luogo in cui egli abita è l’uomo,
ogni uomo che si sente figlio e si fa fratello degli altri, come Gesù. E
infatti, immediatamente dopo, i ciechi e gli storpi che erano dal vecchio
tempio, si avvicinano a Gesù per essere curati. Gesù è il nuovo tempio di Dio,
dove Dio rivela il suo volto di Padre e di Sposo che ci ama come un asino e
Gesù, che sa di essere figlio di un Padre così, a sua volta si comporta da
asino servendo e curando i fratelli, per cui la Chiesa, come ripete papa
Francesco, rivela il vero volto di Dio quando in mezzo agli uomini, diventa a
sua volta come un ospedale da campo. Paolo VI diceva che la Chiesa è chiamata a
diffondere nel mondo la civiltà dell’amore. Se non stiamo attenti, anche noi
rischiamo di sdegnarci come i sommi sacerdoti, per questo abbiamo bisogno di
purificazione, di stare davanti a Dio con lo spirito dei bambini lodati da Gesù
che gridano Osanna, perché per i bambini + più facile sentire il bisogno del
padre e sentirsi figli, e Osanna, che anche noi tra poco canteremo, significa:
Signore, salvaci. Solo con questo spirito, che è lo Spirito di Gesù, diventa
possibile diventare asini anche noi e far si che la Chiesa sia davvero la casa
di Dio, il luogo della fraternità, splendida agli occhi di tutti, come diranno
le parole del prefazio, capace di irradiare a tutto il mondo la bellezza di
Dio, che è l’amore. La sola bellezza capace di salvare il mondo.
Una casa in dono. Com’è importante una casa.
A proposito dell’Apocalisse, san Girolamo diceva: ogni
parola comunica un mistero. Apocalisse è rivelazione della signoria cosmica di
Cristo: un libro di consolazione e speranza, tutt’altro che di sciagure e disgrazie.
Non è previsione del futuro, ma sforzo di leggere la storia alla luce della
rivelazione divina per annunciare che nella Pasqua tutte le promesse di Dio si
sono realizzate. Il contesto storico: i cristiani che vivevano ad Efeso,
provincia romana dell’Asia, nella seconda metà del primo secolo. Conflitti
interni ed esterni alla comunità. Interni: errori dottrinali, incostanza.
Esterni: coi romani, con la cultura ellenistica, col mondo giudaico. Dunque è
annuncio, nuova evangelizzazione ad una comunità cristiana che è in crisi.
Attraverso un genere letterario ben conosciuto (vedi Daniele). Nasce in un
contesto liturgico; è una rilettura cristiana dell’AT; comunica attraverso
simboli ( e dunque sempre validi anche oggi: ad esempio, Babilonia la prostituta
= Roma, vale anche oggi riferendosi a quelle realtà che a quel tempo si
identificavano con Roma). Nella liturgia, in pratica, viene letto l’AT alla
luce di Cristo, reinterpretandolo. Le visioni apocalittiche sono visioni
teologiche del mondo. L’Apocalisse, dunque, non prevede la storia della Chiesa
e del mondo; non parla della fine del mondo, ma del fine del mondo; non è
nemmeno un riassunto simbolico ed enigmatico dei fatti che accadevano a quei
tempi. Al contrario è una riflessione sulla storia della salvezza così come
accade e viene celebrata nell’Eucaristia, dove passato, presente e futuro si
intrecciano. Il Signore è venuto, viene e verrà. Quella di oggi, pagina
bellissima e luminosa. Giovanni sta parlando nel giorno del Signore, la
domenica, durante l’eucaristia. Nell’eucaristia si realizzano tutte le promesse
di Dio. Gerusalemme è nuova, viene dal cielo, proviene da Dio, non è una
conquista dell’uomo: è Dio che fa nuove tutte le cose, cose che non sono mai
esistite prima, perché Cristo ha fatto nuovo l’universo. Ed è sposa adorna per
il suo sposo. Cosa vuol dire essere adorni per lo sposo lo capiremo. Si
realizzano le scritture profetiche, e quindi il sogno, il progetto di Dio: la
nuova Gerusalemme è la tenda della sua presenza, la sua alleanza si compie, Dio
viene e consola, sconfigge la morte e allontana il pianto e l’angoscia. Il
vecchio mondo è finito. Non è solo una casa, ma questa casa è il sogno di Dio,
che Dio sogna per i suoi figli. Perché casa? Perché in quella casa c’è lui
(questa è la mia dimora tra di voi) e la presenza in una casa è fondamentale:
alla fin fine che cosa ce ne facciamo di case vuote? Dove la lacrime vengono
asciugate, dove la consolazione renderà capace di reggere il dolore e di andare
oltre il dolore, verso la luce e la vita. Questa è la casa che Dio sogna di
regalare ai suoi figli. La bellezza dei nostri edifici, come il duomo di
Milano, vuole richiamare sogno di Dio, luogo della presenza del Signore tra noi
dove non manchi mai la forza della consolazione.
Anche Paolo procede per immagini e lo fa con efficacia. Chi
ama la casa che ha sa che la questione del fondamentale è basilare perché essa
regga. Quando si mette la prima pietra si mette anche un nome, una data. Ecco,
il Signore conosce il nostro nome. Un luogo diventa casa quando uno sente il
proprio nome e sa di essere conosciuto: coloro che sono suoi. Siamo gente cara
al Signore. In una casa così ci entro, ci sto, volentieri. Ma Paolo constata,
senza legittimare, che vi siano anche vasi spregevoli. Si allontani dall’iniquità….
Vivici bene in questa casa, prendendo le distanze da ciò che rovina e inquina,
con l’animo pulito e il cuore limpido, con un desiderio di fraternità sincera.
Questa è la casa che Dio sogna per il suo popolo. Dove ci si aiuta a riprendere
slancio e ripartire. Esser parte della Chiesa vuol dire rendere forte il legame
con colui che ci conosce per nome e si vuole camminare lungo i suoi sentieri.
Bisogna diventare un popolo di gente bella, più bella anche del pur bellissimo
Duomo di Milano.
Le bancarelle buttatele via, anzi, ve le butto via io, i
poveri invece sono di casa. La casa è luogo di comunione e fraternità, non è
casa di Dio per le nostre belle liturgie: esse devono diventare segno che aiuta
noi a diventare belli come vuole Dio.
Giovanni
Battista Montini, nato a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897 in una
famiglia ricca di fede, fu ordinato sacerdote il 29 maggio 1920 e fu inviato
presso il Pontificio Seminario Lombardo in Roma, entrando presto al servizio
della Santa Sede. Dopo una breve esperienza diplomatica in Polonia, divenne
Assistente ecclesiastico dei giovani universitari cattolici della FUCI,
spronandoli all’impegno culturale e apostolico nella società: a molti dei suoi
discepoli si deve il volto dell’Italia democratica dopo gli anni tragici della
dittatura fascista e della seconda guerra mondiale. Il suo impegno pastorale e
formativo si accompagnò al servizio presso la Segreteria di Stato, ove divenne
collaboratore apprezzato del Venerabile papa Pio XII, che gli affidò
l’organizzazione degli aiuti profusi dalla Santa Sede durante la seconda guerra
mondiale ai prigionieri, alle popolazioni affamate, agli ebrei perseguitati dai
nazifascisti. Dopo averlo promosso suo Prosegretario di Stato, Pio XII il 1°
novembre 1954 lo nominò arcivescovo di Milano, ove fece il suo ingresso il 6
gennaio 1955. Il suo zelo pastorale lo portò in ogni angolo della diocesi,
cercando vie nuove di evangelizzazione. Tra esse emerge la Missione di Milano del novembre 1957, che fu ripresa anche da altre
diocesi nel mondo, per la novità della sua modalità e dei suoi contenuti.
Eletto papa il 21 giugno 1963, prese il nome di Paolo VI e condusse felicemente
a termine il concilio ecumenico Vaticano II, iniziato dal suo predecessore, san
Giovanni XXIII. Si fece pellegrino in ogni continente, baciandone sempre la
terra al suo arrivo, cominciando dal pellegrinaggio in Terra Santa, primo papa
dopo san Pietro a tornarvi. Tra le molte sue encicliche emergono, giustamente
famose, l’Ecclesiam suam, un intenso
invito al dialogo con tutti, la Populorum
Progressio, con la quale impegnò la Chiesa «esperta in umanità» al servizio
privilegiato dei poveri e degli oppressi. Cantore della «civiltà dell’amore»,
che trova pienezza in Cristo, esortò a farsene testimoni i sacerdoti con l’enciclica
Sacerdotalis caelibatus e gli sposi
con la Humanae vitae. In anni
travagliati dalle guerre, dalle rivoluzioni, dal terrorismo in tutto il mondo, continuò a esortare alla pace
istituendo la Giornata della pace,
divenuta ormai patrimonio dell’umanità, e indisse l’Anno Santo 1975, che
caratterizzò con due esortazioni apostoliche, la Gaudete in Domino, sul dovere della gioia cristiana, e l’Evangelii nuntiandi, sulla bellezza
dell’annuncio del Vangelo e della testimonianza personale, poiché gli uomini
«ascoltano i maestri solo se sono testimoni». Tra le molte e storiche riforme che
egli attuò in ossequio del Concilio Vaticano II spiccano la riforma liturgica e l’istituzione del Sinodo dei Vescovi, che hanno segnato
radicalmente il volto della Chiesa. Dopo breve malattia si spense il 6 agosto
1978, nel giorno della Trasfigurazione cui era stato sempre particolarmente
devoto. La fama della sua santità si diffuse rapidamente e si consolidò alla
luce dei frutti del suo pontificato, tanto che papa Francesco ne decise
personalmente la beatificazione il 19 ottobre 2014.
Giovanni
Battista Montini, nato a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897 in una
famiglia ricca di fede, fu
ordinato sacerdote il 29 maggio 1920. Prestò servizio alla Sede Apostolica,
finché nel 1954 venne nominato Arcivescovo di Milano. Eletto al Sommo
Pontificato il 21 giugno 1963, condusse felicemente a termine il Concilio
Ecumenico Vaticano II, impegnandosi in ogni modo nel dialogo con il mondo
contemporaneo e promovendo un’immagine di Chiesa «esperta in umanità», chiamata
a diffondere la «civiltà dell’amore» portata da Cristo. Morì il 6 agosto 1978.