domenica 24 luglio 2016

X DOMENICA DOPO PENTECOSTE ANNO C 2016

 Come sapete, nel nostro rito ambrosiano, le letture delle domeniche dopo Pentecoste sono tenute insiem e da un tema comune, e il punto di partenza è sempre la pri ma lettura che di domenica in domenica ci fa riperc orrere le tappe principali della storia di Israele. Dopo aver visto la figura del re Davide domenica scorsa, ogg i è la volta di suo figlio Salomone che quando sale al trono chiede al
Signore il dono della sapienza. Ed è quello della s apienza il tema che unisce le tre letture di oggi, e dunque proviam o a riflettere su questa parola perché la sapienza non resti solo una parola o un concetto, ma si traduca davvero nel la nostra esistenza. La sapienza non va confusa con l’intelligenza. Una persona intelligente non è necessariamente sapi ente, mentre una persona sapiente è sicuramente int elligente. Sapienza deriva dal latino sàpere, un termine culin ario che significa salare, e gli antichi romani ave vano coniato questo verbo per tradurre quello greco di sophia, c he significa essere in grado di compiere scelte giu ste, e quindi sapienza vuol dire avere sale in zucca, sale nel ce rvello, usare l’intelligenza per compiere scelte gi uste. Ed è proprio questo che Salomone chiede a Dio nella sua stupenda preghiera che dovrebbero imparare a pronunciarla p rima di tutti i governanti del mondo e i nostri politici, c osa che evidentemente non fanno o fanno poco, però in ogni caso è altrettanto sapiente non guardare sempre gli altri, ma che ognuno guardi se stesso, perché sapere usar e l’intelligenza per compiere scelte giuste è una cos a troppo importante e riguarda ciascuno da vicino. Concedi al tuo servo, che è solo un ragazzo, dice Salomone nella s ua preghiera, un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male. E cco cos’è la sapienza. E Dio lo loda perché ha doma ndato questo e non una lunga vita, le ricchezze o la vita dei suoi nemici. Tanto è vero che poi questi saranno doni c he invece gli verranno nel corso della sua lunga vita, che però s i conclude male, perché, da vecchio, Salomone smett e di avere Dio come unico Signore, diventa schiavo di se stesso, d elle sue voglie, si costruisce gli idoli, e fallisc e. Solo avendo Dio e la sua Parola come nostro riferimento otteniamo la vera sapienza che ci conduce alla vera libertà, com e spiega san Paolo nella lettura. Il problema qual è? E’ sempre san Paolo ad indicarlo: che la sapienza di questo m ondo è stoltezza davanti a Dio, e viceversa, la sapienza divina a no i appare stoltezza, ed è per questo che buttiamo vi a la vita, la viviamo male e la facciamo vivere male agli altri, perché non ci fidiamo della sapienza divina che ci pare stupida. La riprova ci viene dalle parole di Gesù che abbiamo l etto nel vangelo, pronunciate dopo che un uomo ricc o era andato da lui a chiedergli cosa doveva fare per avere la v ita eterna. La vita eterna è la vita di Dio, ed è s inonimo di felicità, non solo dopo la morte, ma adesso. Una domanda sapi ente, un desiderio sapiente, ma Gesù cosa gli rispo nde? In un modo che a quell’uomo, che poi è ciascuno di noi, a ppare non sapiente, ma stupido e impossibile. Infat ti Gesù gli dice: dìsfati di tutte le tue ricchezze, dalle ai p overi e sèguimi, fai come me che sono povero, perch é Dio è povero, è povero perché ha dato tutto senza nulla trattenere, anche la vita, che infatti l’ha data a noi. Infatt i quell’uomo diventa triste perché da un lato capisce di essere attaccato alle sue ricchezze che non gli danno la f elicità, dall’altro però non ce la fa a staccarsi da loro. Gli appare s trana la proposta di Gesù, poco sapiente, e allora Gesù pronuncia le parole che abbiamo letto, perché vuole che quell’uo mo, e quindi ciascuno di noi, esca da questa triste zza, e cerca di far capire l’uso sapiente delle ricchezze. Dice: co me un cammello non può entrare per la cruna di un a go, allo stesso modo un ricco non può entrare nel Regno di Dio. Per ché? Detta così anche noi, come i discepoli, rispon deremmo: ma allora non si salva nessuno. Magari si salvano inve ce i tanti poveri che ci sono nel mondo. Ma non è d etto, perché in realtà anche i poveri vorrebbero diventare ricchi, e allora siamo daccapo. Il punto è un altro. Che da vvero non si salva nessuno, perché nessuno si salva da solo, ma ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio , infatti è Dio che ci salva tutti, perché ci considera per quello che siamo, suoi figli amati. Ma se io non capisco quest a cosa e non mi sento figlio amato, non considero neanche gli altri come miei fratelli, e allora penso solo a me stess o, ad avere, a possedere, ad avere un bel gruzzolo in banca e una bella villa vivendo però da povero nella taverna di casa, senza neanche andare in vacanza per non spendere i soldi che ho, e così vivo male io, non godo la vita e non la faccio nemmeno godere agli altri che magari non hanno null a, come zio Paperone che passa la vita solo a difen dersi dalla banda Bassotti. Ecco perché il ricco non si salva. Non perché ha i soldi, ma perché li sostituisce a D io. Gesù non condanna i soldi o le ricchezze. I soldi sono un be ne se vengono usati bene, e vengono usati bene se i o capisco di essere figlio, come Gesù, e li uso per il bene degl i altri che considero miei fratelli. Questa è la sa pienza di Dio che porta alla vita eterna. Ma il discorso si amplia. N on è solo questione di denaro. Le ricchezze possono essere anche la casa, la moglie, il marito, i genitori, i figli, i fratelli quando li ritengo mio possesso e non come dono che media l’amore di Dio. Sapienza è quella libertà interiore che mi rende capace di amare lasciando che l’altro sia se stesso, non roba mia. Tanto è vero che quando mi attacco an che alle persone come se fossero la mia vita, quand o le perdo, perdo la vita, e prima o poi, se non muoio prima io , le perdo tutte, e devo perderle, anche i figli, p erché ognuno deve fare la sua strada e se io lo impedisco, mi sto arr ogando un diritto che non mi appartiene, sto facend o dipendere la mia felicità non dall’amore che Dio ha per me e che io devo donare agli altri, ma dalle cose che ho e dalle persone che devono essere a mio servizio e che devono fare quello che dico io. E’ un discorso che merita di es sere approfondito, certamente. Nel frattempo lasciamoci almeno un po’ metterci in crisi, una crisi benefica perché, come dicevo, queste parole Gesù le pronuncia per toglier ci precisamente quella tristezza che ci procuriamo da soli fidandoci più del nostro istinto che della sua sapi ente Parola.