domenica 26 marzo 2017

IV DOMENICA DI QUARESIMA

Normalmente noi usiamo il termine peccato per indicare tutto quello che non va. E’ un peccato che stasera piove, è un peccato un piatto che si rompe.....quante volte diciamo: è un peccato? E si rischia che quando tutto è peccato, niente è peccato. E il vangelo di oggi parla proprio del peccato. C’è un uomo cieco dalla nascita e la domanda che rivolgono a Gesù è: chi ha peccato, lui o i suoi genitori,
perché egli nascesse cieco? Ai tempi di Gesù si pensava che il male fosse il castigo che Dio dava a chi commetteva i peccati, e quando uno riconosceva di non avere peccati così grossi da dover subire un castigo così grande, si pensava che egli stesse scontando i peccati dei suoi genitori, nonni o bisnonni. E certe idee nefaste sono arrivate fino a noi. Finché va tutto bene, non ci viene in mente, ma quando le cose cominciano ad andare storte normalmente si dice: perché proprio a me? E verrebbe da dire: perché non al mio vicino? E poi dopo si dice: che cosa ho fatto per meritarmi questo? Allora ecco la risposta di Gesù molto chiara: né lui ha peccato, né i suoi genitori. Quindi Gesù esclude categoricamente qualunque conseguenza tra peccato e malattia. Però poi continua: “così si manifesteranno in lui le opere di Dio”. Cosa significa questo? Gesù si riferisce al Dio creatore, e in pratica sta dicendo che Dio non ha creato un mondo già perfetto che noi coi nostri peccati abbiamo distrutto, ma il contrario: che bisogna lavorare per creare il mondo come lo ha sognato Dio, e certamente coi nostri peccati noi non lavoriamo per costruire un mondo migliore. La creazione non è terminata: per arrivare a compimento ha bisogno della collaborazione degli uomini. Dio ha creato la luce, ma in quell’uomo la luce non è ancora arrivata e allora bisogna fare qualcosa per fargliela arrivare, e per fare qualcosa bisogna occuparsi di lui, e infatti Gesù compie su quell’uomo gli stessi gesti fatti da Dio nella creazione quando creò l’uomo col fango. Gesù fa del fango con la saliva, che è simbolo dello Spirito santo, glielo spalma sugli occhi e il cieco torna a vedere. E qui incominciano i guai, che però ci portano a capire cos’è davvero il peccato. Appena quell’uomo acquista la vista, nessuno lo riconosce più. Perché? perché è una nuova creatura. Solo che la reazione di tutti non è di gioia, come ci si aspetterebbe, ma di stizza. Inizia un vero e proprio processo, al cieco e quindi a Gesù, poi però sarà il cieco guarito che farà un processo verso i suoi accusatori. Il problema è che Gesù aveva aperto gli occhi del cieco in giorno di sabato, quindi aveva fatto un lavoro che di sabato non era permesso, e il riposo del sabato era considerato il comandamento più importante da rispettare. Gli avesse aperto gli occhi un altro giorno, andava bene. Conclusione: Gesù non è da Dio perché non osserva il sabato, e quindi è un peccatore. Chi osserva la legge sta con Dio, chi la trasgredisce è chiaro che non può venire da Dio. Già, ma quale Dio? Per loro Dio è quello che si preoccupa che tutti rispettino la sua legge, anche se causa di sofferenza per gli uomini. Per Gesù, Dio è quello che si interessa del bene degli uomini. Gesù sceglie sempre il bene dell’uomo, perché facendo il bene dell’uomo si è sicuri di fare anche il bene di Dio. Allora cos’è il peccato? Il peccato è la trasgressione di una legge divina? Se è così, Gesù appunto è un peccatore perché ha trasgredito una legge divina. Per Gesù invece il peccato non è una offesa che si fa a Dio, ma è il male che si fa nei confronti degli uomini. Il male che uno fa verso qualcuno, questo è peccato, e non prendersi cura di un uomo per guarirlo è peccato. Ecco perché guarisce quell’uomo proprio di sabato e conclude dicendo che i ciechi sono loro, e ciechi siamo noi finchè non vediamo la verità, come leggevamo nel vangelo di domenica scorsa: se rimanete nella mia parola, la verità vi farà liberi: la parola di Gesù ci fa vedere la verità, chi è davvero Dio. Che Dio non è uno che ci tiene schiavi. Il peccato da cui Gesù viene a liberarci è questo: credere in un Dio cattivo e severo, che bisogna onorare e tenere buono con tante preghiere, devozioni, penitenze, sacrifici. Per quegli uomini religiosi, e può essere così anche per noi, gli obblighi nei confronti di Dio sono più importanti dei doveri nei confronti degli uomini. Penso a chi, e posso essere anch’io, tanto per fare un esempio, se viene qualcuno a dirmi che ha bisogno, rispondo dicendo: ti ricorderò nelle preghiere! Ho le mani talmente giunte per pregare Dio, che non riesco ad aprirle per gli altri. Sono cieco perché penso di onorare Dio in questo modo, dimenticando la cosa fondamentale che Gesù ci ha rivelato già nel natale, facendosi uomo, e cioè che non siamo noi che dobbiamo salire verso Dio con le nostre devozioni, ma che è Dio ad essere sceso, ad essersi fatto uomo, e quindi se voglio incontrare Dio devo fare il bene degli uomini. Allora si che pian piano, con la nostra collaborazione, la creazione sarà portata a compimento. Perché quell’uomo è malato? Perché io me ne prenda cura. Perché ci sono ingiustizie nel mondo? perché gli uomini invece di vivere come agnelli, vivono come lupi, e allora io cosa devo fare? Vengo in chiesa non per fare un piacere a Dio, ma per nutrirmi del suo amore, di lui che si fa mangiare da me, per uscire di qui pronto a farmi mangiare dagli altri, non a mangiare gli altri. Finchè non capisco questo sono cieco. Se capisco questa cosa, il mio volto e la mia vita diventano raggianti, come quello di Mosè quando incontrò il Signore, perché la luce di Dio mi illumina e io, diceva san Paolo, rifletto come in uno specchio la gloria del Signore.