domenica 10 settembre 2017

II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO

Dio non ha sesso, non è maschio o femmina. Gesù lo chiama Padre perché nel mondo ebraico si pensava che fosse il padre, non la madre, a generare, a trasmettere la vita al figlio, e Gesù chiama Dio col nome di Padre per dire che Dio è colui che ci comunica la vita. Ma quale vita? Dice Gesù: il Padre risuscita dai morti e dà la vita, e chi crede in lui ha la vita eterna e non va incontro al giudizio,
ma è passato dalla morte alla vita, e infatti, dice Gesù, il Padre non giudica nessuno, o meglio, giudica tutti come suoi figli, e un Padre vuole la vita dei figli, non la morte, altrimenti sarebbe non un padre, ma un assassino. Basterebbero queste parole così chiare per farci capire quanto siano stupide certe frasi che molti dicono quando muore una persona: “il Signore l’ha chiamato, l’ha preso”, o addirittura, se la persona morta è giovane “era maturo per il Paradiso, i fiori più belli il Signore li vuole con sé”. Tutte frasi anticristiane, come se Dio fosse un giardiniere pazzo ed egoista che strappa i fiori che piacciono a noi per star bene lui, si perché (altra frase scema) è “la volontà di Dio, sia fatta la sua volontà”. Possibile che la volontà di Dio sia sempre qualcosa che mi rende triste? Ma che Dio è questo? Certamente non quello di Gesù. Dio è Padre perché vuole dare a tutti la vita, inoltre un padre desidera che i suoi figli gli assomiglino, diventino come lui: questa è la sua volontà. Ecco perché Gesù continua a ripetere che lui, il Figlio, da se non può fare nulla, se non quello che vede fare dal Padre, e quindi vuole assomigliargli, e dare anche Lui la vita agli altri nel modo in cui Dio l’ha data a lui, però dice che la dà a chi vuole, e di primo acchito verrebbe da dire che non è giusto, invece no: il verbo volere vuol dire “volere bene”, e il Padre vuol bene a tutti i suoi figli, quindi Gesù sta dicendo: se il Padre da la vita a tutti, io lo imito e faccio la stessa cosa. Ma la vita eterna non è solo la risurrezione dopo la morte del nostro corpo, infatti Gesù dice che chi crede nel Padre ha la vita eterna adesso, “ha”, non “avrà”, il verbo è al presente. Dunque la vita eterna che Dio ci dà è prima di tutto la possibilità di avere e dunque vivere adesso la stessa vita di Dio. Cos’è la vita? Il fatto che respiriamo? No, uno può respirare fino a 100 anni e vivere da morto. La vita è quando io mi sento amato e amo gli altri come fratelli. Dare la vita, come Gesù, vuol dire dare amore, accogliere, servire, perdonare, accettare l’altro per quello che è come Dio accetta noi per quello che siamo. Questi, peraltro, sono aspetti femminili che esprimono non la paternità, ma la maternità di Dio. Dicevo all’inizio che Dio non ha sesso. Chiamarlo Padre vuol dire volergli assomigliare, ma assomigliare al Padre vuol dire anche diventare materni: materni come il Padre. E’ bello scoprire come Gesù, anche se ci insegna a chiamare Dio col nome di Padre perché ci dà la vita eterna e vuole che gli assomigliamo, nello stesso tempo ci fa vedere che Dio è anche madre perché ci accetta così come siamo: e meno male, perché così da un lato siamo stimolati ad assomigliare a Dio nell’amore per diventare come Lui, ma d’altro lato non dobbiamo scoraggiarci se non ci riusciamo perché sappiamo che Dio ci accetta così come siamo. E così come per alimentare la nostra carne dobbiamo nutrirci, allo stesso modo per far crescere in noi la vita di Dio che durerà per sempre, dobbiamo fare quello che ha fatto Gesù e che celebriamo ogni volta nell’eucaristia: essere noi che alimentiamo gli altri. Se io oriento la mia vita al bene degli altri, io comincio già ora a risorgere, mi trasformo, perché la mia persona, nella sua completezza, confluisce nella vita divina che durerà per sempre. Tutte le scelte positive, di amore, che saremo capaci di compiere nel corso della nostra esistenza ci rendono divini, e quindi capaci di superare la morte. Se siamo solo viventi, questa vita ha un inizio e avrà una fine. Se siamo invece vitali, che danno la vita agli altri, come Gesù, noi non faremo l'esperienza della morte. Per questo, dice san Paolo ai Corinti e anche a noi nel brano di oggi, se non crediamo nelle conseguenze del fatto che Cristo è risorto, ma nelle nostre paure, a cosa serve la fede? Poi usa un linguaggio molto difficile per esprimere una cosa meravigliosa che ora provo a ridire con altre parole più comprensibili, se no dovrei fare un’altra predica e non è il caso. Gesù aveva detto che Dio non giudica nessuno, ma ci giudica tutti come figli, e aveva aggiunto che però ha lasciato ogni giudizio al Figlio, a Gesù. Gesù cosa fa? Giudica Dio come Padre, ed è per questo che ci ama, perché ci considera fratelli. Se io giudico Dio non come Padre, ma come giardinaio pazzo, vivo nell’angoscia, nella paura, nell’egoismo, non amo i fratelli, sono morto già adesso, non ho la vita di Dio in me, butto via l’esistenza. Il problema, vedete, non è come Dio giudica noi, ma come noi giudichiamo Dio. Se anche noi, guardando cosa fa Gesù, giudichiamo Dio come Padre, come fa Gesù, allora amiamo i fratelli, apparteniamo a Gesù esattamente come il corpo di un individuo che appartiene al capo. Gesù è il capo e noi siamo il suo corpo, e allora, come quando uno nasce, se esce il capo, poi a seguire esce il corpo, vuol dire che come Cristo è risorto, anche noi risorgiamo. E quando ogni uomo avrà imparato ad essere materno come il Padre amando i fratelli, allora, conclude Paolo, Dio sarà tutto in tutti. Perché Dio, per essere "padre", ha bisogno di figli, e Dio non crea figli già belli e pronti, ma che liberamente lo vogliono diventare. Figli di Dio non si nasce, ma lo si diventa. E’ il compito che ci spetta nella vita. E se lo si diventa si risorge, perché si diventa come Gesù. E’ quello che dobbiamo chiedere ogni volta che celebriamo l’eucaristia.