domenica 8 aprile 2018

II DOMENICA DI PASQUA

Giovanni dice che Gesù fece molti altri segni che non sono stati scritti nel vangelo, e quelli che lui ha raccontato sono stati scritti perché noi crediamo che Gesù è il Figlio di Dio e così, credendo in lui, possiamo avere la vita eterna. Sono molto importanti queste parole. Il vangelo non è stato scritto per dimostrarci e convincerci che Gesù è risorto, ma vogliono raccontare l’esperienza fatta dai suoi
discepoli per far vedere in che modo quello che accadde a loro può accadere anche a noi, così ognuno di noi potrà scrivere il suo vangelo, non in un libro, ma nella vita. Perché, vedete, uno può andare anche avanti tutta la vita a discutere e a cercare le prove per capire se Gesù è risorto o no, ma è una cosa che non serve a niente. Io posso anche avere le prove che esistono gli extraterrestri, ma finchè non entro in contatto con loro, che ci siano o meno, non mi cambia niente. Io posso anche avere le prove che una persona che pensavo morta sia viva, ma se questa persona non mi interessa, che sia viva o morta non mi cambia niente. La prova che Gesù è risorto è solo una: se credendo in lui ho la vita eterna. La vita eterna è la vita di Dio dentro di me. La vita di Dio dentro di me vuol dire che sento dentro di me la sua presenza e questa presenza mi trasforma in meglio, mi dona pace, gioia, speranza, mi fa vivere la vita in un modo nuovo, mi fa essere meno egoista, mi rende cioè capace di amare come Gesù, mi fa vedere la morte con uno sguardo diverso. Altrimenti, anche essere cristiani e dire di credere che davvero Gesù è risorto non serve a nulla, è la stessa cosa di uno che dice che non ci crede. Perché credere concretamente vuol dire dare credito, fidarsi (da cui deriva la parola fede) e dunque agire di conseguenza. Guardiamo da vicino questa pagina di vangelo. Vedete che è divisa in due parti. La prima parte si svolge la sera di quel giorno, il primo della settimana, che sarebbe il giorno di Pasqua, quando Gesù è risorto, e la seconda parte otto giorni dopo. Sono importanti queste indicazioni. Il primo giorno della settimana è la domenica, ed è un richiamo alla creazione, al primo giorno della creazione, per dire che la risurrezione di Gesù è una nuova creazione, perché ci ha fatto passare da una vita mortale a una vita immortale, che non ha mai fine. Prima aveva raccontato quello che era successo all’alba di quel primo giorno, lo abbiamo ascoltato nel vangelo di domenica scorsa, quando la Maddalena incontra Gesù nel giardino, adesso racconta quello che succede la sera, e la sera richiama il buio, le tenebre, infatti ci sono i discepoli di Gesù, impauriti, nascosti nel cenacolo, a porte chiuse, perché avevano paura di fare la stessa fine di Gesù. Eppure è lo stesso giorno. Ma la sera richiama anche il momento in cui Gesù fece l’ultima cena, l’eucaristia, ed è in quel momento che Gesù appare loro. E si dice che Tommaso non era con loro. Otto giorni dopo accade la stessa cosa. Otto giorni dopo è oggi, e lì Tommaso c’era. Otto è il numero dell’infinito, della risurrezione. Ecco perché la domenica non è solo il primo giorno della settimana, ma è l’ottavo giorno: il settimo giorno per gli ebrei è il sabato, dopo il settimo si ricomincia daccapo nella numerazione, per cui la domenica è il primo giorno, ma è anche l’ottavo, che viene dopo il settimo. Vuol dire che domenica dura otto giorni, cioè sempre, che Gesù è risorto e non muore più, è sempre presente, non è che quello che accadde la domenica di Pasqua sia diverso da quello che accadde otto giorni dopo, per cui l’esperienza che fecero i discepoli allora, possiamo farla anche noi, e il primo modo in cui Gesù risorto si rende presente è nell’eucaristia: celebrando la messa noi oggi, anche se siamo nel buio, tristi e paurosi, possiamo incontrare Gesù risorto e gioire come accadde ai discepoli quel giorno. Ma essi riconobbero Gesù risorto quando egli mostrò loro le mani e il fianco sui quali c’erano i segni della crocifissione. Questo è un altro particolare importantissimo da capire. Essi pensavano che uno che era morto così, come un malfattore, come un maledetto da Dio, non fosse il Signore, e quindi che tutto quello che aveva insegnato non fosse credibile. Nel vangelo di Giovanni ci sono due beatitudini. La prima beatitudine Gesù la pronunciò dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, quando disse: se io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete fare la stessa cosa gli uni verso gli altri e sarete beati se queste cose le metterete in pratica. Che vuol dire: se anche voi vivrete un amore come il mio sarete beati. Adesso capiscono perché. Loro pensavano che uno che vive amando come Gesù, dando la vita, pensando agli altri e non a sé, fosse da stupidi (e infatti Gesù era morto), mentre adesso, vedendoselo risorto coi segni della croce, capiscono che invece aveva ragione: Gesù è risorto non perché era Dio, ma perché aveva vissuto amando, e questo vuol dire che se io vivo così risorgo anch’io già adesso. Ed è lui che nell’eucaristia continua a darmi il suo Spirito che mi rende capace di amare e di perdonare, lo abbiamo letto: soffiò su di loro e disse “ricevete lo Spirito santo”, e dà a loro un solo comando, quello di perdonare gli altri, come aveva fatto lui sulla croce, perché per Gesù uno risorge e ha la pace dentro di sé quando impara a perdonare. Bene, questo è quello che accadde il primo giorno della settimana, ma di quel giorno là, il giorno di Pasqua, quando Tommaso non c’era, e Tommaso è chiamato Didimo, che vuol dire gemello, quello che è uguale a me, quindi vedete che, come spiegavo all’inizio, queste cose sono scritte per me, perché anch’io quel giorno non c’ero, ma sono qui oggi, otto giorni dopo, come Tommaso. E anch’io, come Tommaso, per credere che Gesù è risorto, devo vedere e toccare le sue ferite. Cioè devo anch’io lavare i piedi agli altri, devo amare anch’io come Gesù: se lo faccio, posso sentire che Gesù è vivo dentro di me, se non lo faccio, se non amo, non solo non potrò crederci, ma anche se ci credessi non servirebbe a niente, perché infatti la mia vita andrebbe avanti lo stesso come prima, con tutti i miei egoismi e le mie paure. E qui Gesù, davanti a Tommaso, pronuncia la seconda e ultima beatitudine del suo vangelo. La prima diceva “beati voi se metterete in pratica le cose che mi avete visto fare”, e la seconda dice la stessa cosa per noi che invece non le abbiamo viste: beati quelli che crederanno in me e quindi faranno come me anche se non mi hanno visto farle. Beati perché se le fate, questo vuol dire credere, vuol dire fare, se cioè vivete del mio amore e col mio amore, guidati dal mio Spirito, facendovi pane che si spezza, perdonando, mettendovi a servizio gli uni degli altri, sarete nella pace, nella gioia, avrete dentro di voi la vita eterna, la vita di Dio che non muore mai.