domenica 15 aprile 2018

III DOMENICA DI PASQUA

Il vangelo di questa domenica ci ha fatto ascoltare le parole dette da Gesù dopo aver lavato i piedi ai discepoli. Sono gli ultimi momenti in cui sta con loro, e vuole rassicurarli, tranquillizzarli e spiegare cosa vuol dire che lui va a morire e risorgere. Parole che fa bene anche a noi riascoltare, perché anche noi quando una persona muore pensiamo che sia assente, non ci sia più (è venuto a mancare
all’affetto dei suoi cari, si usa dire), e crediamo che la risurrezione sia qualcosa che riguardi un remoto futuro, e questa cosa non ci consola. Invece non è così. Gesù dice loro: non sia turbato il vostro cuore. Quando si è turbati si può reagire in due modi, o con la fiducia o con la sfiducia, e la sfiducia è il modo migliore per andare in ansia, e Gesù dice: abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Gesù che ha sempre chiamato Dio suo Padre, qui lo chiama solo Dio perché Gesù verrà catturato, torturato ed assassinato in nome di Dio, come se fosse un nemico di Dio, e Gesù invece afferma che, tra lui e Dio, c'è la piena sintonia, e quindi sta dicendo: la fiducia che avete in Dio che è Padre continuate ad averla anche in me che sono il Figlio. Poi dice: nella casa del Padre mio vi sono molte dimore e io vado a prepararvi un posto perché dove sono io siate anche voi. Forse è proprio questa frase quella che rischia di trarci in inganno, come se Gesù stesse dicendo che lui va a prepararci un posto in Paradiso, tanto è vero che quando uno muore si usa scrivere negli annunci funebri: è tornato alla casa del Padre. Invece non è così. Infatti, più avanti Gesù dice: il Padre dimora in me e io e il Padre dimoriamo nel cuore di chi ama. Dunque la casa del Padre sono io se amo come Gesù. Ma perché Gesù dice: vado a prepararvi un posto? Perché noi non lo sapevamo, potevamo solo sperarlo, invece Gesù ce lo fa sapere. Dopo che me ne sarò andato verrò di nuovo e vi prenderò con me vuol dire: quando me ne sarò andato, vi darò il mio Spirito, il mio amore, e così sarò sempre in voi, vi riempirò del mio amore così voi potrete vivere di questo amore, mettere in pratica la mia parola e in questo modo Dio abita in voi e voi diventate la casa del Padre, non un giorno, ma subito, adesso. Infatti poi dice: “Dove io me ne vado, voi conoscete la via”. E qual è la via? È fare quello che ha fatto lui, lavare i piedi, perdonare, servire: vivete così e Dio è dentro di voi. E questo amore che è più forte della morte, per cui chi vive così è già risorto adesso, diventa adesso la casa del Padre, e quando il suo corpo muore, non è assente, ma entra pienamente in comunione con Dio, risorge, e dunque se io sono in comunione col Signore, lo sono anche con tutti i defunti che vivono uniti allo spirito di Dio che è dentro di me. Per aggiunge: Io sono la via, la verità e la vita. Gesù è la via di casa, che ci fa diventare la casa del Padre, e questa via è l’amore; è la verità perché ci fa vedere che la via dell’amore è la strada per diventare la casa del Padre; ed è la vita, perché solo percorrendo questa strada, quella che ha percorso lui, risorgiamo, diventiamo vivi, perché Dio abita in noi. E infatti aggiunge: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Sono cose talmente belle che Filippo, entusiasta, gli risponde: allora facci vedere il Padre e ci basta! E Gesù gli risponde quasi con ironia: ma come, sei con me da tanto tempo e ancora non hai capito che io sono venuto proprio per farti vedere il Padre? Il volto del Padre sono io, perché io ho fatto quello fa il Padre, e quindi ti ho fatto vedere chi è Dio. E conclude dicendo che se non gli vogliono credere per le sue parole, lo credano almeno per le opere, per le cose che egli ha fatto e che testimoniano tutto questo. Credere non vuol dire credere che Dio esiste, ma che Dio è un Padre che mi ama nel modo in cui Gesù mi ha fatto vedere e che amare come Gesù è la via che porta alla vita, alla risurrezione. E significa quindi agire di conseguenza. Il credere è un’opera, un fare, perché uno opera secondo ciò che crede, secondo ciò che ha dentro. La dimostrazione l’abbiamo nell’episodio del libro degli Atti degli Apostoli. Paolo e Sila sono in carcere: hanno fatto il bene e vengono perseguitati, eppure in carcere cosa fanno? Cantano. Poi accade un terremoto, le catene dei prigionieri si spezzano, il carceriere vorrebbe uccidersi per paura di venire ucciso da loro e invece essi gli dicono che non vogliono fargli del male. Di fronte a questa reazione inaspettata dice loro: cosa devo fare per essere salvato? Vedete quando il credere diventa un’opera? Questa reazione non di vendetta, ma di accoglienza, da parte di Paolo e Sila testimonia la loro fede, e così quest’uomo ne rimane talmente colpito che in pratica chiede loro: cosa posso fare per diventare anch’io come voi? E loro gli rispondono: credi nel Signore Gesù. E lui cosa fa? Andate a rileggere: li prese con sé in quell’ora della notte e ne lavò le piaghe. Una gara di carità, ecco le opere del credere, la via indicata da Gesù per avere la vita. Poi fu battezzato, e subito dopo li fece salire in casa e apparecchiò la tavola, cioè celebrarono l’eucaristia, e fu pieno di gioia per aver creduto in Dio. Dall’amore ricevuto nasce amore, da questo amore il desiderio di capire, poi il desiderio del battesimo, e dal battesimo l’eucaristia come luogo in cui continuare a ricevere l’amore di Dio. Un circolo virtuoso del quale non finiremo mai di stupirci, ma dentro il quale, soprattutto, vogliamo imparare ad entrarci, per non vanificare, cioè rendere inutile, il nostro essere qui anche quest’oggi.